Lettere tra il Consigliere Loris D'Ambrosio e il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano
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Lettera del Consigliere D'Ambrosio al Presidente della Repubblica 18 giugno 2012
I fatti di questi giorni mi hanno profondamente amareggiato
personalmente, ma, in via principale, per la consapevolezza che la loro malevola
interpretazione sta cercando di spostare sulla Sua figura e sul Suo altissimo ruolo
l istituzionale condotte che soltanto a me sono invece riferibili.
Come il procuratore di Palermo ha già dichiarato e come sanno anche tutte le
autorita giudiziarie a qualsiasi titolo coinvolte nella gestione e nel coordinamento
dei vari procedimenti sulle stragi di mafia del 1992 e 1993, non ho mai esercitato
pressioni o ingerenze che, anche minimamente potessero tendere a favorire il
senatore Mancino o qualsiasi altro rappresentante dello Stato comunque implicato
nei processi di Palermo, Caltanissetta e Firenze.
Con quelle autorità giudiziarie, mi sono comportato con lo stesso rispetto che,
sia in questi anni sia dall'inizio della mia attività professionale, ha ispirato i miei
comportamenti con chi è chiamato a esercitare in autonomia e indipendenza le
funzioni di magistrato, Qualunque miocollega puo esserne testimone.
Quel che, con espresso riguardo ai procedimenti sulle stragi, ho invece sempre
ritenuto e poi stigmatizzato in qualunque colloquio è che le criticità e i contrasti
sullo svolgimento di quei procedimenti non giovano al buon andamento di indagini
che imporrebbero, per la loro complessità, delicatezza e portata, strategie unitarie,
convergenti e condivise oltre che il ripudio di metodi investigativi non rigorosi o
almeno, non sufficientemente rigorosi nella ricerca delle prove e nella loro verifica
di affidabilita; oltre che, ancora, l'abiura di approcci disinvolti non di rado più attenti
agli effetti mediatici che alla finalità di giustizia.
Il procuratore generale della Cassazione, il procuratore nazionale antimafia, il
Consiglio Superiore della Magistratura, la Commissione parlamentare antimafia
sanno bene che le criticità e i contrasti esistono e sono gravi, ma che a essi non si
riesce a porre effettivo rimedio. Mi ha turbato leggere nei resoconti di un'audizione
all'Antimafia, le dichiarazioni di chi ammette che della c.d. trattativa Stato- mafia
uffici giudiziari danno interpretazioni diversificate e spesso confliggenti, ma che ciò è
fisiologicamente irrimediabile come se, fosse la stessa cosa trattare lo stesso
soggetto da imputato o da testimone o parte offesa da fonte attendibile o da
pericoloso e interessato depistatore.
A tutto ciò consegue però un effetto perverso. Quello che anche interventi
volti a stimolare adeguati coordinamenti finalizzati a raggiungere o consentire
univoche verità processuali vengano poi letti come modi obliquamente diretti a
favorire l'una o l'altra interpretazione di fatti o situazioni indiziarie o solo sospette
su episodi gravissimi della nostra Storia. E, in genere - perché mediaticamente più
conveniente - come un modo per impedire che escano "dai cassetti" procedimenti
che toccano o lambiscono apparati o rappresentanti istituzionali.
È cosi accaduto che qualche politico o qualche giornalista sia arrivato ad
accostare o inserire chi, come me, non accetta schemi o teoremi prestabiliti
all'interno di quella zona grigia che fa di tutto per impedire che si raggiungano le
verità scomode del "terzo livello" o , per dirla con altre parole, è partecipe di un
"patto col diavolo", non sta dalla parte degli italiani onesti ed è disponibile a fare di
tutto per ostacolare un pugno di "pubblici ministeri solitari che cercano la verità sul
più turpe affare di Stato della seconda Repubblica: le trattative fra uomini delle
istituzioni e uomini della mafia".
Tutto ciò è inaccettabilmente calunnioso, Ma non mi è difficile immaginare
che i prossimi tempi vedranno spuntare accuse ancora più aspre che cercheranno di
"colpire me" per "colpire Lei".
Non conosco il contenuto delle conversazioni intercettate, ma quel tanto che
finora è stato fatto emergere serve a far capire che d'ora in avanti ogni più
innocente espressione sarà interpretata con cattiveria e inquietante malvagità.
Ne saro ancor più amareggiato e sgomento anche perché, come ho detto
anche quando sono stato sentito a Palermo come persona informata sui fatti del
1992 e 1993, sono il primo a desiderare che sia fatta luce giudiziaria e storica sulle
stragi; perché quei tempi li vissi accanto a Giovanni Falcone poi dedicandomi,
assieme a pochi altri, senza sosta a comporre quel sottosistema normativo antimafia
che ha minato la forza di Cosa Nostra e di organizzazioni similari.
Lei sa che di ciò ho scritto anche di recente su richiesta di Maria Falcone. E sa
che, in quelle poche pagine, non ho esitato a fare cenno a episodi del periodo 1989-
1993 che mi preoccupano e fanno riflettere; che mi hanno portato a enucleare
ipotesi - solo ipotesi- di cui ho detto anche ad altri, quasi preso anche dal vivo
timore di essere stato allora considerato solo un ingenuo e utile scriba di cose utili a
fungere da scudo per indicibili accordi.
Non Le nascondo di aver letto e riletto le audizioni all'Antimafla di
protagonisti e comprimari di quel periodo e di aver desiderato di tornare anche io a
fare indagini, come mi accadde oltre 30 anni fa dopo la morte di Mario Amato,
ucciso dal terroristi.
Ecco, che tutti questi sentimenti siano ignorati per compromettere la mia
credibilità e, quel che è peggio, per utilizzare tale compromissione per "volgerla"
contro di Lei, non è per me sopportabile.
Sono certo che, per come mi ha conosciuto in questi anni e nel dieci anni
precedenti, Lei comprende ll mio stato d'animo.
A Lei rimetto perciò, il prestigioso incarico di cui ha voluto onorarmi,
dimostrandomi affetto e stima.
Con devozione e deferenza,
Roma, 18 giugno 2012
suo Loris D'Ambrosio
Lettera del Presidente della Repubblica al Consigliere D'Ambrosio 19 giugno 2012
Caro dottor D'Ambrosio,
l'affetto e la stima che le ho dimostrato in questi anni, sempre accresciutisi sulla base dell'esperienza del rapporto con lei, restano intangibili neppure sfiorati dai tentativi di colpire lei per colpire me. Ce ne saranno ancora, è probabile: li fronteggeremo insieme, come abbiamo fatto negli ultimi giorni. E la sua vicinanza e collaborazione resterà per me preziosa fino alla conclusione del mio mandato. Preziosa per sapienza, lealtà e generosità.
Ciò non significa che io non comprenda il suo stato d'animo e la sua indignazione (dire amarezza è poco). Le sue condotte, così come le ha ricostruite nella sua lettera, sono state, e non solo in questi sei anni, ineccepibili; e assolutamente obbiettiva e puntuale è la sua denuncia dei comportamenti perversi e calunniosi - funzionali a un esercizio distorto del proprio ruolo, di quanti, giornalisti magistrati e politici, non esitano a prendere per bersaglio anche lei e me.
Non penso, però, che invitarla a uno sforzo di rasserenamento e di ferma, distaccata predisposizione a reagire agli sviluppi della situazione. Traendo conforto anche dall'apprezzamento e dal rispetto che nutrono per lei tutti i galantuomini che operano nel mondo della giustizia o hanno comunque avuto modo di conoscerla e seguirla.
Lo sforzo a cui la invito non è facile; e lo so perché non solo a esemplari servitori dello Stato, ma anche a politici impegnati in attività di partito e nelle istituzioni, possono essere toccate amarezze e trattamenti tali da ferire nel profondo.
Lo potrà rilevare leggendo qua e là la mia Autobiografia politica, che le invio - pur avendone lei forse già copia - come segno di amicizia e fiducia.
Con viva cordialità
Giorgio Napolitano