RASSEGNA STAMPA
IL SECOLO XIX -
Diaz, assolto De Gennaro nessun mandante per il G8
Genova, 8 ottobre 2009
Diaz, assolto De Gennaro nessun mandante per il G8
Dopo otto anni si chiude il primo cerchio di processi sul G8 di Genova, e
dentro restano solo i pesci piccoli. Ma le ultime assoluzioni, quelle di
Gianni De Gennaro e di Spartaco Mortola dall'accusa di depistaggio sui
fatti della Diaz, non cancellano del tutto l'alone di sospetto che rischia
di marchiare per anni certa polizia.
Bisogna premettere qualche dato crudo, per ragionare a fondo e orientarsi
nella giungla dei processi sul G8. E ricordare che il poco carcere reale,
conseguenza dei disordini e della repressione spesso violentissima andati
in scena nel 2001, è toccato esclusivamente a un paio dei 24 manifestanti
condannati per le devastazioni. Quello a carico dei noglobal è stato
l'unico procedimento in cui il pugno dei giudici s'è rivelato alla fine
(più o meno) duro.
In fumo i processi ai poliziotti, con molte ombre
otto anni di indagini "in salita"
La Procura chiese di punirne 25 con una media di 9 anni a testa; il
tribunale ne ha condannati 24 e la media della detenzione è scesa a 4 anni
e mezzo, con picchi tuttavia clamorosi per i casseur Marina Cugnaschi e
Francesco Puglisi, lanciatori di molotov che hanno pagato con undici anni
ciascuno.
Tutt'altro discorso vale nelle inchieste sull'operato delle forze
dell'ordine, in particolare le torture nelle celle di Bolzaneto e il raid
alla Diaz. Nel primo caso, i pubblici ministeri richiesero 44 condanne,
drasticamente ridotte a 15 al momento della sentenza. E però il caso più
eclatante resta quello della scuola in cui gli antagonisti furono sorpresi
nel sonno: i pm Enrico Zucca e Francesco Cardona Albini proposero 29
condanne per le manganellate al buio, includendo alcuni fra i più alti
funzionari dello Stato, i «generali sul campo» compresi l'attuale guida
dell'Anticrimine Francesco Gratteri e l'esperto di terrorismo Giovanni
Luperi. Il tribunale assolse i "big", punendo di fatto i semplici
picchiatori: nessuno è andato dentro, nessuno è stato sospeso.
Perché i processi alle forze dell'ordine hanno infine prodotto così poco,
comprese le due assoluzioni di ieri? Perché la montagna di carte,
testimonianze, audizioni (il solo affaire Diaz ha contato 427 udienze) ha
partorito un topolino? Molte risposte stanno proprio nell'ultimo "stralcio", il processo ai depistaggi dal quale sono usciti indenni l'ex
capo della polizia - e attuale coordinatore dei servizi segreti - Gianni
De Gennaro e l'ex numero uno della Digos genovese Spartaco Mortola. Aldilà
del singolo episodio contestato (aver fatto pressioni sull'ex questore del capoluogo ligure Francesco Colucci, affinché cambiasse versione sui
contatti con la stampa nella notte dell'irruzione) il teorema della
Procura era assai "allargato": i poliziotti - sostengono - ordirono un
autentico «complotto» per pilotare in corso d'opera le indagini più
imbarazzanti. Lo hanno messo nero su bianco nella richiesta di rinvio a
giudizio per Mortola e De Gennaro, parlando della «diffusa esistenza d'un
codice corporativo, quasi un codice d'onore» in seno a un «Corpo
autoreferenziale che non accetta controlli di legittimità se non al suo
interno». E le lacune con le quali ha fatto i conti chi indagava su
Bolzaneto, i testimoni reticenti o assenti, i verbali d'arresto a dir poco
disordinati, possono essere inseriti nello stesso solco.
Eccoci quindi ai due rovesci della medaglia, al bivio. Da una parte
l'entourage del Viminale e i difensori degli imputati, che definiscono
«inevitabili» le assoluzioni a raffica, spiegandole in modo semplice: gli
inquirenti hanno costruito teoremi indimostrabili, letto trame dove non ce
n'erano, parlato d'una polizia endemicamente malata e facendo così di
tutta l'erba un fascio, anziché cercare singole responsabilità per singoli
episodi (strategia scelta, con buoni risultati, dai pm che hanno indagato
sui manifestanti violenti, ndr). E hanno pagato raccogliendo briciole rispetto ai loro obiettivi. È andata davvero così? La Procura, in quelle
considerazioni sulla deriva dello spirito di gruppo, anticipava
implicitamente l'unica replica possibile: non si è potuto dimostrare
granché perché gli agenti stessi hanno ostacolato in ogni modo
l'accertamento della verità, ovunque; perché gli inquisiti si parlavano
fra loro, concordavano strategie e studiavano quali capri espiatori
avrebbero potuto drenare gli addebiti senza dolori. Hanno dunque sparato
troppo alto i pubblici ministeri, arrivando addirittura a mettere
sott'inchiesta il "capo", o il trust fra divise è riuscito nello scopo di
limitare (parecchio) i danni?
Restano due dettagli-chiave, da ricordare per un'analisi completa. È
palese che Gianni De Gennaro esca riabilitato da questa storia, assolto in
tutto e per tutto. Ed è logico che, dati i ruoli di altissima
responsabilità ricoperti negli ultimi anni, incassi congratulazioni
bipartisan. È altrettanto indubbio che Spartaco Mortola sia una specie di
figura straordinaria nel romanzo del G8: imputato in quattro diversi
procedimenti, sempre assolto. Sui singoli, insomma, l'assoluzione con
formula piena deve far tabula rasa dei sospetti.
Però. Nel mandare alla sbarra Francesco Colucci (che ha scelto di essere
giudicato con rito ordinario, quindi in tempi sfalsati rispetto ai due che
avevano optato per l'abbreviato) ieri mattina il giudice ha ammesso quali
«fonti di prova», e dunque come pilastro delle accuse, 152 file audio,
tutte intercettazioni di telefonate fra poliziotti: colleghi che non sanno
nulla (o sanno troppo) della vicenda Diaz e del G8, ma pronti a
complimentarsi con chi ha il solo merito di «azzerare» le udienze
confondendo le carte in aula; decine di (oscuri e non) commissari,
vicequestori, dirigenti da tutt'Italia che nel momento in cui Colucci
viene iscritto sul registro degli indagati per falsa testimonianza, gli
attestano solidarietà«a prescindere». O, più sottilmente, gli fanno capire
che nonostante l'impiccio giudiziario sta facendo bene così, che è quella
la linea da seguire nell'interesse di famiglia e che le udienze sui
fattacci di Genova sono solo un fastidio, da dribblare in qualunque modo.
Ecco allora che i "graduati" escono dal processo sui depistaggi, e di
conseguenza cede la tesi dell'altissimo complotto . Eppure il retrogusto
di quelle telefonate a senso unico tra personaggi magari mai finiti
sott'accusa, che presto daranno corpo a un nuovo dibattimento, resta molto
sgradevole. E getta una luce sinistra sugli ostacoli (innegabili)
incontrati dai procuratori che hanno provato a indagare sulla polizia.
Pure questo è un dato di fatto.
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