RASSEGNA STAMPA
La Repubblica - Diaz, le strane verità dei celerini
Genova, 27 marzo 2008
"I black bloc sono scappati, noi abbiamo protetto i no-global"
Dichiarazioni spontanee senza contraddittorio, già confutate su tutta la
linea durante il dibattimento
MASSIMO CALANDRI
Anche la democrazia ha il suo rovescio della medaglia. Lo hanno ricordato
loro malgrado quattro sottufficiali della Celere romana rendendo spontanee
dichiarazioni sull´irruzione nella scuola Diaz, una delle pagine più nere
della storia della Polizia di Stato. Imputati per il massacro e l´arresto
illegale di 93 no-global, i quattro per anni si sono guardati bene dal
presentarsi in aula per rispondere alle domande della pubblica accusa.
Contumaci, fino a ieri. Quando hanno democraticamente usufruito di un loro
diritto, quello di parlare senza contraddittorio. Ne sono usciti racconti
sconcertanti, almeno per chi questo procedimento lo ha seguito in tutte le
sue udienze. Grosso modo, i ricordi dei quattro - che hanno nominato un
secondo avvocato difensore: Ignazio La Russa, onorevole di An - coincidono
su alcuni punti. Primo: «Ci dissero che nella scuola c´erano terroristi,
anarco-insurrezionalisti, soggetti molto pericolosi che occupavano
abusivamente i locali». Secondo: «Quando arrivammo in via Battisti,
venti-trenta sconosciuti vestiti di nero (incappucciati, con i caschi,
tutti in fila indiana) riuscirono ad allontanarsi indisturbati». Terzo:
«Entrando nella scuola, fummo bersagliati da oggetti lanciati dall´alto,
tanto che i colleghi dovettero proteggerci con gli scudi». Quarto:
«Nell´istituto c´erano già dei colleghi in borghese, alcuni con la
pettorina della polizia. Qualcuno di loro prendeva a manganellate i
presenti». Quinto: «Noi non abbiamo alzato un dito, anzi: abbiamo protetto
e difeso i no-global presenti». I "celerini" del disciolto VII Nucleo di
Vincenzo Canterini hanno in sostanza spiegato che furono altri, a menare
le mani. E che comunque gli occupanti della scuola non erano quegli
angioletti che si vuole far credere. Non varrebbe neppure la pena
rammentare che tutte le loro affermazioni sono state ampiamente confutate
nel corso del dibattimento, ma è senz´altro il caso di sottolineare quanto
uno degli imputati ha dichiarato, ricordando la guerriglia urbana del G8:
«Due dei miei uomini ad un certo punto hanno preso fuoco, raggiunti da una
molotov. Avremmo potuto sparare, era legittima difesa. Ma siamo rimasti
calmi. Perché gli uomini che comandavo erano degli eroi». Un altro ancora
ha spiegato di aver fatto irruzione in un bagno della Diaz, mettendoci un
minuto a sfondare la porta (chissà perché, il bagno era vuoto, n. d. r.):
«Ho visto un crocefisso spezzato usato in maniera inadeguata, come uno
scopettino. E poi l´ho rivisto messo accanto ad una pozza di sangue, nelle
riprese di una televisione». Questo ha detto, senza che nessuno potesse
fargli delle domande. E´ il rovescio della medaglia.