RASSEGNA STAMPA

IL SECOLO XIX - Caso Diaz, pubblici ministeri e forze dell'ordine

Genova, 23 settembre 2008

Caso Diaz, pubblici ministeri e forze dell'ordine
Enrico Zucca

Il Secolo XIX ha proposto ai suoi lettori un commento e una riflessione in merito alle considerazioni processuali espresse in una lunga memoria scritta dai pubblici ministeri nel processo Diaz. Spiace constatare come il verdetto del giornalista, in veste di Giudice supremo, che taccia di intemperanza lessicale il pubblico ministero, sia basato su un grossolano errore linguistico. Viene infatti stigmatizzata l'espressione "politica criminale", definita nell'articolo - per ciò che essa sottende e per il tono - un'accusa nei confronti dei vertici della Polizia "che stavolta fa la differenza"; insomma: questo è troppo!
Il fatto è che le direttive di "politica criminale"di cui si scrive, lo capirebbe anche un ragazzino, non sono la politica "dei delinquenti", ma la linea di azione sul crimine, cioè nei confronti dei delinquenti.
Se la mancata padronanza della lingua italiana non è stata d'aiuto al giornalista, che si erge a censore dell'altrui lessico, certo non lo ha soccorso la diligenza, cioè lo sforzo di leggere integralmente lo scritto, non le sole ultime tre pagine di conclusioni, le quali, secondo il significato della parola stessa, procedono da premesse.
Era doveroso collocare le espressioni, fra cui quella citata, o le altre frasi estrapolate, nel contesto ampio in cui sono inserite e che ne rende inequivoco il significato.
È bene informare correttamente i lettori che i pubblici ministeri non hanno mai inteso di loro spettanza esprimere censure sulle legittime direttive di politica criminale perseguite dai vertici della Polizia.
Direttive di cui hanno riferito sotto giuramento testimoni nel processo.
Qual è dunque il tormento che affiora dietro il dilemma del giornalista pensatore?
La sua visione catastrofica non è, a ben intendere, la "appalling vista" che rifiutava di vedere il Giudice Lord Denning, nel suo intento di sacrificare la dolorosa verità di uno spergiuro commesso dai poliziotti alla tenuta dell'intero sistema; intento da cui traspare il retaggio filosofico utilitaristico alla Bentham.
La vista che tormenta il dottor Menduni (che ha già scelto il corno del dilemma) è invece quella per cui se il Giudice assolve, è l'Accusatore che deve diventare accusato. Conseguenza che appare al giornalista necessitata, secondo una più contemporanea variante nostrana delle concezioni del sistema giudiziario.
Occorrerebbe invece preoccuparsi dell'insidia insita nell'aspirazione per cui il colpevole o l'innocente entrano già tali nel Tribunale, magari preceduti dalle uniformi campagne di stampa. Al pubblico ministero converrà perseguire solo il delinquente prescelto, magari nella solita cerchia, quella "classe criminale" di cui si parlava nell'Inghilterra vittoriana.
Così non potrà mai fallire e il plauso sarà assicurato.

Enrico Zucca è sostituto procuratore della Repubblica, pubblico ministero nel processo per i fatti della scuola Diaz, al G8 di Genova.

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La lunga precisazione del dottor Zucca parte da un assunto oggettivamente stupefacente e da questo fa seguire conclusioni che, per il vizio all'origine, sono decisamente stravaganti. Vedere nel giornalista che esprime una sua opinione su una vicenda conosciuta alla perfezione, avendone seguito tutte le fasi, la figura di un giudice supremo che emette sentenze inappellabili, è probabilmente frutto di una distorsione professionale del pubblico ministero, ma non corrisponde al vero.
Il giornalista esprime una sua valutazione, la offre ai lettori, la firma con nome e cognome, cerca di suscitare un dibattito, si espone ad approvazioni e critiche.
Mai potrebbe (e, per carità, mai vorrebbe) influire sulla realtà giudiziaria degli eventi, che spetta ad altri: i giudici, quelli veri.
Né, come scrive il dottor Zucca, il sottoscritto ha già scelto "il corno del dilemma".
Anzi: la mia argomentazione era, semmai, aperta a più ipotesi e lasciava un finale del tutto "aperto". L'"intemperanza lessicale" dei pubblici ministeri, lungi dall'essere un verdetto, era solo una delle eventualità sul piatto del ragionamento, insieme ad altre.
E spiace che il dottor Zucca, obbligato dalla sua professione a utilizzare la lingua italiana nella sua concretezza più oggettiva, non abbia colto l'atmosfera di quel che ho scritto.
Già dalle prime immagini (l'ex capo della polizia, Gianni De Gennaro, immaginato come il Joker, il nemico di Batman) il commento lasciava intendere che il mio era un ragionamento per assurdo, che dilatava alle estreme e paradossali conclusioni la portata degli avvenimenti, ma che in realtà invocava il reciproco rispetto tra i servitori dello Stato. Dall'una e dall'altra parte: quindi anche delle forze dell'ordine nei confronti della magistratura che fa il suo mestiere.
Riguardo all'espressione "politica criminale" prendo atto delle precisazioni del pubblico ministero.
Ma, avendo letto tutta la relazione, non si può non constatare che da quelle direttive di "politica criminale"è discesa a cascata una serie di avvenimenti che poi ha portato al blitz nella scuola Diaz e alla sanguinosa irruzione che è il cardine di questo processo.
Mi pare che, al di là della scelta del lessico, il risultato delle argomentazioni dei pubblici ministeri sia esattamente lo stesso.

Marco Menduni