COMMISSIONE D'INDAGINE
Seduta 11 - 14 Settembre 2001
BOZZA NON CORRETTA
COMMISSIONI RIUNITE
I (AFFARI COSTITUZIONALI, DELLA PRESIDENZA DEL CONSIGLIO E INTERNI) DELLA CAMERA DEI DEPUTATI E 1a (AFFARI COSTITUZIONALI, AFFARI DELLA PRESIDENZA DEL CONSIGLIO E DELL'INTERNO, ORDINAMENTO GENERALE DELLO STATO E DELLA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE) DEL SENATO DELLA REPUBBLICA
COMITATO PARITETICO
INDAGINE CONOSCITIVA
Seduta di venerdì 14 settembre 2001
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La seduta comincia alle 10.25.
Indagine conoscitiva sui fatti accaduti in occasione del vertice G8 tenutosi a Genova.
(Il Comitato approva il processo verbale della seduta precedente).
Esame dello schema di documento conclusivo.
PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sui fatti accaduti in occasione del vertice G8 tenutosi a Genova, l'esame dello schema di documento conclusivo.
Ho atteso mezz'ora prima di cominciare i nostri lavori, ma forse sarà necessario concordare una sospensione, affinché i colleghi possano leggere il documento che verrà loro consegnato e prender conoscenza del suo contenuto.
Prego di dare inizio alla distribuzione delle copie del documento conclusivo ai membri del Comitato.
Do lettura del testo della lettera che ci è stata inviata dal Presidente della Camera:
«Il Presidente del Parlamento europeo Nicole Fontaine, il Presidente della Consiglio europeo Guy Verhofstadt, il Presidente della Commissione europea Romano Prodi, il Presidente del Consiglio Affari generali Louis Michel e l'Alto Rappresentante per la politica estera e di sicurezza comune dell'Unione europea Javier Solana hanno annunciato, a nome dell'Unione europea, che venerdì 14 settembre sarà una giornata di lutto e di solidarietà con il popolo americano.
Alle ore 12, inoltre, in tutta l'Unione europea si osserveranno tre minuti di silenzio e tutte le attività saranno interrotte.
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Ho ritenuto di informarti di quanto sopra affinché tutti gli organi della Camera possano dare seguito a questa iniziativa di solidarietà, con la quale gli organi dell'Unione europea hanno inteso associarsi al dolore del popolo americano».
A mezzogiorno, dunque, sospenderemo i nostri lavori per tre minuti.
Poiché è ancora in corso la distribuzione del testo del documento conclusivo, sospendo i nostri lavori per un quarto d'ora...
MARCO BOATO. Signor presidente, le chiedo mezz'ora.
PRESIDENTE. Sta bene. Sospendo per mezz'ora i lavori del Comitato, al fine di consentire ai colleghi la lettura del documento conclusivo. Alla ripresa, stabiliremo le modalità con le quali procedere.
La seduta, sospesa alle 10.30, è ripresa alle 11.30.
PRESIDENTE. Devo comunicare che a pagina 31 del documento in esame non è stato citato un testo che, invece, era agli atti. Dopo la frase che si conclude con «Piazza Verdi.14», si deve inserire: «In pari data dispone la rimozione dei cassonetti.15» e nell'allegato dei documenti si inserisce la nota 15: «Sindaco di Genova, prof. PERICU, VI, 6 Questore di Genova)». Non cambia nulla, ma è una precisazione. Quel documento era allegato ad una lettera del sindaco, e non era stata data contezza.
Sull'ordine dei lavori.
PRESIDENTE. Non essendovi obiezioni, l'organizzazione dei tempi di discussione, per lo svolgimento di ogni singolo
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intervento, prevede l'assegnazione a ciascun gruppo di un tempo calcolato nel modo seguente:
Forza Italia: 1 ora;
Democratici di Sinistra-L'Ulivo: 48 minuti;
Alleanza Nazionale: 33 minuti;
Margherita, DL-L'Ulivo: 30 minuti;
Misto: 30 minuti;
Lega Nord Padania: 24 minuti;
CCD-CDU Biancofiore: 24 minuti;
Rifondazione comunista: 18 minuti;
Misto-Verdi-L'Ulivo: 18 minuti;
Autonomie: 18 minuti.
Comunico altresì che i gruppi di Forza Italia, Alleanza Nazionale, Lega Nord Padania e CCD-CDU svolgeranno i loro interventi con un rappresentante per ciascun gruppo. La discussione sarà effettuata con l'alternanza di un rappresentante della maggioranza ed uno dell'opposizione.
Sulla pubblicità dei lavori.
PRESIDENTE. Prima di dare inizio alla discussione in titolo, ricordo che la pubblicità delle sedute del Comitato è realizzata secondo le forme consuete previste dagli articoli 65 e 144 del regolamento della Camera, che prevedono la resocontazione stenografica della seduta. La pubblicità dei lavori è garantita, salvo obiezioni da parte di componenti il
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Comitato, anche mediante l'attivazione dell'impianto audiovisivo a circuito chiuso, che consente alla stampa di seguire lo svolgimento dei lavori in separati locali.
Non essendovi obiezioni, dispongo l'attivazione dell'impianto audiovisivo a circuito chiuso.
Si riprende la discussione.
PRESIDENTE. Passiamo agli interventi dei colleghi. Do la parola al senatore Turroni, che è il primo degli iscritti a parlare.
SAURO TURRONI. Nella precedente seduta, presidente, ho detto alcune cose che ci tengo a ribadire oggi, perché voglio motivare il mio dissenso nei confronti del documento.
Dovevamo accertare i fatti e abbiamo cercato di farlo con rigore, ascoltando le persone, acquisendo i documenti, i filmati e le foto. Le avevo dato atto, signor presidente, dell'equilibrio con cui aveva condotto - fino ad allora - i lavori del Comitato, comprendendo lo spirito che aveva informato il primo documento consegnato da lei, che ritenevo solamente insufficiente, in alcune parti, a descrivere i fatti così come risultano, non riuscendo ad individuare la loro concatenazione e a darne compiutamente conto. Se avessi avuto più di 18 minuti, avrei voluto illustrarle tutte le questioni che avevo potuto rilevare, attenendomi ai documenti, ai fatti, alle foto ed ai filmati. E le avevo detto, presidente, che sull'argomento la pensavo alla stesso modo di Joschka Fischer, avendo l'obiettivo (credo comune a tutti noi) di non consegnare una nuova generazione alla violenza. È per questo che le istituzioni - a cominciare dal Parlamento - si devono impegnare massimamente nella individuazione di tutti i fatti, di tutte le circostanze, senza
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offrire coperture: né ai manifestanti violenti né ai comportamenti che questi potrebbero avere coperto. Ma neppure a quei tentativi encomiabili posti in atto da singoli. Esiste un filmato, che ho visto ieri, in cui i manifestanti tolgono il cappuccio ad uno di questi violenti, e ce ne sono tanti altri: a loro rischio e pericolo li bloccano, ma queste cose non le diciamo. Ugualmente, non dobbiamo neppure dare copertura e tacere sugli errori e le bugie dei vertici dell'ordine pubblico né sui comportamenti delle forze dell'ordine nelle varie circostanze.
Ebbene, credo che la relazione presentata da lei, signor presidente, non risponda in alcun modo a tali sollecitazioni che sono il mio obiettivo (ma come mio obiettivo, sono anche un mio dovere, che dovrebbe essere anche quello del Parlamento).
Lei prima mi ha invitato a leggere la conclusione; ebbene essa comincia da una cosa che non ci compete: l'espressione di un giudizio politico sull'andamento del vertice. Noi, però, dobbiamo accertare i fatti e non giudicare politicamente, perché ci è precluso. Ma insieme - volendo ritornare ai fatti - vorrei mettere in evidenza come nelle conclusioni lei abbia attribuito al Genoa social forum addirittura la costituzione di un movimento composito nel quale convive un'anima guerrigliera, i black bloc, in cui la logica del sabotaggio si trasforma in attacco finalizzato. Non è vero, presidente, e lo abbiamo visto in tutti modi; noi vediamo che i black bloc attaccano le piazze tematiche. Non facciamo perciò un buon servizio e non rendiamo giustizia a coloro che avevano le mani alzate, mentre i black bloc li assalivano.
Se avesse avuto la bontà ed il tempo - forse - di guardare anche i filmati, non si sarebbe fermato alle dichiarazioni dei tanti che ci hanno mentito. Ho detto al ministro quando è venuto in quest'aula, che avevano mentito a lui, non solamente
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a noi e al Parlamento. Ora io mi fido solamente dei miei occhi, ed è perciò che in questi giorni ho guardato con insistenza tutti filmati giunti, cercando di collocare ciascun fatto, in ciascun luogo e in ciascun tempo; confrontando le cose che ci erano state dette, le cose che avevamo letto, i verbali e tutti gli altri documenti forniti.
Ho potuto, allora, sincerarmi che molte cose che sono state scritte nel documento non corrispondono alla verità e sono false al di là dei giudizi. Mi dispiace dirglielo, perché lei sa quanto la stimi.
Le faccio un esempio, uno per tutti: si dice che quando si sono sbagliati a compiere la perquisizione non è stato asportato niente, ma io ho qui una relazione di servizio (che è stata distribuita) del dottor Spartaco Mortola, che afferma «non hanno portato via niente», - perché ascolta e si fida solamente di quelli che ci hanno raccontato delle bugie - «anche se poi risulterà che effettivamente sono state acquisite quattro cassette di videocamere, una delle quali sviluppata, che illustra le fasi di ingresso da parte del reparto mobile all'interno della Diaz». Queste cose non le dice Sauro Turroni, le dice il dottor Mortola; egli dice che là dentro sono andati a fare tutto ciò, così come i filmati mostrano i locali dei legali, nei quali ci sono i computer che sono stati manomessi e da cui sono stati asportati gli hard disk. Presidente, tutte queste cose nella relazione non ci sono. Le ho fatto questo esempio, ma ne potrei fare moltissimi altri. Potrei farle il caso, che risulta dalle relazioni di servizio, di come si sono svolti i fatti in via Tolemaide: le descrizioni sono del tutto diverse da come lei ci racconta quell'episodio, così come sono diversi tanti altri episodi; sarebbe stato sufficiente leggere i verbali, guardare i filmati, confrontarli.
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Vede, signor presidente, in via Tolemaide si è verificato un vero disastro, alle 14,45 del 20 luglio, dopo che i black bloc sono passati (non inseguiti); la invito a guardare il filmato che il registra Ferrari ci ha fatto avere, che dimostra come dalla mattina, dalla piazza Paolo Da Novi fino al carcere di Marassi, quei soggetti abbiano potuto scorrazzare ovunque indisturbati, senza essere mai bloccati; anzi, tutte le volte che un reparto delle forze dell'ordine si avvicinava a loro, venivano «randellate» le persone inermi che si trovavano sul posto, a piazza Manin o nella stessa piazza Paolo Da Novi. Ebbene, signor presidente, ci si può rendere conto di come le forze dell'ordine, invece di inseguire le ultime propaggini dei black bloc che si infilavano nel tunnel di via Tolemaide, per andare a devastare tutto ciò che si trova a monte, improvvisamente abbiano caricato da una parte il gruppo di contatto e dall'altra parte il corteo, che era immobile, senza lanciare sassi o pietre. Tutto ciò si vede dalle immagini fornite da diversi soggetti, perché non dobbiamo accettare, senza confrontare un elemento con gli altri solamente la versione di chi ha bisogno di coprire le proprie responsabilità. Ebbene, si può chiaramente vedere che a partire da quell'attacco ad un corteo autorizzato, che si trovava ancora a diverse centinaia di metri lontano dal termine della sua conclusione, da quell'attacco reiterato, svolto addirittura più volte da mezzi blindati, senza che vi fosse una via di scampo per i dimostranti, contravvenendo alle regole dettate dallo stesso prefetto Andreassi circa le modalità di comportamento, da tutto ciò solamente alla fine, quando il corteo si disgrega, si sono scatenate quelle violenze, che io condanno, signor presidente, ma che sono state sicuramente la risposta sbagliata ad un comportamento ancora più sbagliato di chi aveva il dovere di garantire che quel corteo giungesse al termine del suo percorso.
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Perché, signor presidente, i cortei non hanno avuto una testa e una coda costituite dalle forze dell'ordine, come prevedeva l'ordinanza? E perché non ci sono stati, a destra e a sinistra del medesimo corteo, altri componenti delle forze dell'ordine che dovevano accompagnarlo per tutelare il diritto costituzionale di quel corteo a partire ed arrivare sano e salvo? Le forze dell'ordine non ci sono state il giorno 20 (per questo corteo autorizzato), ma non ci sono state neanche il giorno 21 per l'altro corteo autorizzato, addirittura ipotizzato alcuni mesi prima. Ad esempio, (lo dicono le relazioni) il 21 si lascia che un piccolo gruppo di 300 persone scateni tutto quel «casino», e poi solamente alla fine i black bloc arrivano e ne combinano di tutti i colori; il corteo viene inseguito, ma chi viene inseguito? La seconda parte del corteo viene inseguita fino in fondo, ci sono le immagini di tutte le televisioni del mondo - a cominciare da quelle delle reti Mediaset - che dimostrano la presenza dei blindati e dei finanzieri ad inseguire e «randellare», malmenando anche persone anziane ed in carrozzella. Non possiamo non dire queste cose.
E come non dire che le cose che qui sono raccontante sulla Diaz non tengono conto dei fatti? C'è un filmato che mostra - ci sono tre videocamere, perché non sono riuscite a sequestrarle tutte, perché quella era la ragione dell'errore, dovevano sequestrare tutte le videocamere e tutti i documenti di coloro che si erano lamentati delle «randellate» prese nei giorni precedenti - che le luci sono accese, che essi sono entrati nella scuola a luci accese, che l'ingresso che loro sfondano per primi vede passare gli uomini del dottor Canterini, che passano velocemente nella palestra (perché la porta dà sulla palestra) nella quale i ragazzi sono fermi, e vengono randellati a decine. Come si fa a non dire tutte queste cose e dar credito, invece, alle affermazioni false che ci sono
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state raccontate in proposito? Credo che rendiamo un cattivo servizio al ministro e alle forze dell'ordine. Così come dividiamo i violenti da coloro che sono pacifici, dobbiamo distinguere, nell'interesse del nostro paese, anche coloro che hanno sbagliato, esercitando il proprio potere e la propria forza nei confronti dei cittadini, da coloro che, invece, si sono comportati correttamente: questo è il nostro compito, signor presidente, e dobbiamo assolutamente farlo. Non possiamo affermare che vi è un doppio gioco da parte del Genoa social forum. Al Genoa social forum si aderiva sulla base di una carta - e lei l'ha allegata, probabilmente la cita anche - nella quale ci si rifiutava di fare una qualsiasi violenza alla città, alle persone e alle cose di Genova, questo era il documento sulla base del quale il Genoa social forum si è organizzato e costituito. Si tratta di un dato di fatto che non possiamo ignorare, così come non possiamo ignorare, a proposito delle piazze tematiche, quello che c'è scritto in tutte le relazioni, e ieri mi sono letto tutte le relazioni di servizio di polizia e carabinieri.
Allora possiamo discutere sul fatto che dal punto dell'immaginario collettivo, tirare con una corda (agganciata ad un moschettone) una griglia, o sbattere violentemente una griglia, o arrampicarcisi sopra, possano essere atti contro le norme; ma al di là di questi singoli episodi, vi erano le piazze tematiche, che giustamente erano state concesse ai manifestanti, pur essendo adiacenti alla zona rossa, per poter dar sfogo alla loro volontà di manifestare anche contro il fatto che erano state sollevate delle barriere e posta una limitazione alla libertà di spostamento, che era stato separato il luogo di discussione effettiva dalla possibilità dei manifestanti di confrontarsi con questo luogo. Come possiamo, presidente, considerare quei gesti quando coloro che hanno redatto le
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relazioni di servizio, quindi non il sottoscritto, hanno detto che sostanzialmente le cose sono andate come dovevano andare, quando le due persone che sono andate oltre sono state un signore anziano ed una ragazza francese? Presidente, quelle persone che cosa hanno fatto? Infatti, non gli ha fatto niente nessuno, ciò era nell'ordine delle cose, fa parte del normale conflitto tra chi difende una posizione e chi ne sostiene un'altra.
Ebbene, costoro pagheranno, se hanno compiuto qualche violazione; ma pagheranno solo per quanto effettivamente può essere loro ascritto. Nel complesso, però, le piazze tematiche, signor presidente, hanno tutte avuto buon esito. Come negarlo? Difficoltà sono insorte solo al momento dell'arrivo dei black bloc, difficoltà che, tuttavia, si sono ripercosse proprio sui manifestanti pacifici. Si sono, cioè, ripercosse su quanti noi dobbiamo in realtà difendere, attirare dalla nostra parte dichiarando che il Parlamento si attiva in loro difesa e cerca il dialogo affinché si stabilisca un terreno comune sulla cui base discutere le proposte dei movimenti pacifici.
Presidente, dopo Genova le circostanze sono cambiate: si comincia a discutere seriamente di Tobin tax e di quant'altro; è evidente che le idee, la cui forza è maggiore della violenza dei manganelli e di qualsiasi altra coercizione, non possano essere ingabbiate neanche da un documento quale quello in discussione oggi. Tra l'altro, le prossime volte, cosa diremo loro? Forse, diremo che il futuro gli riserva solo randellate, cariche, blindati, eccetera? No. Credo, piuttosto, che la prossima volta si debba dire che non sussiste alcun rischio per manifestare; parimenti, si dovrà esigere, da quanti parteciperanno alle manifestazioni, una condotta tale che nessuno di loro tiri un sasso ad un poliziotto. Tanto dobbiamo avere la forza ed il coraggio di chiedere; altrimenti, avremo fallito.
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Dunque, presidente, mi avvio alla conclusione esprimendo sul suo documento un'opinione che deve basarsi su una lettura molto veloce. Mentre altri gruppi hanno avuto più tempo per ponderarlo, il mio...
PRESIDENTE. No, onorevole Boato.
SAURO TURRONI. Comunque, come è possibile consegnare questo testo a colleghi delle Commissioni che, non essendo stati tra i componenti del Comitato paritetico, hanno ora bisogno di conoscere le reali vicende svoltesi e non fatti tanto parzialmente documentati ed opinioni così fortemente connotate? A lei, presidente, sembra che vada tutto bene? Neppure il ministro lo asserisce; anzi, ha riferito tutt'altro. Veramente gli accadimenti si sono svolti come risulta dallo schema di documento conclusivo? Nelle prime righe si succedono affermazioni di questo tenore: è andato tutto bene; si sono raggiunti tutti gli obiettivi, anche il mantenimento dell'ordine pubblico ha avuto un esito eccellente... Ma allora, chiedo, perché tre alti funzionari sono stati rimossi? Per quale motivo? Se, davvero, tutto fosse andato bene, non avrebbe dovuto esserci alcuna rimozione o indagine della magistratura o problema qualsivoglia. In realtà, il corso degli eventi è stato diverso; l'abbiamo visto. Molto dell'accaduto ci ha raccapricciato; ad esempio, tutto il sangue che abbiamo visto scorrere, la violenza, persone bastonate. Davvero, noi, a nome del Comitato, non dovremmo spendere alcuna parola a tale proposito? Eppure manca nel documento, qualsiasi riferimento in questo senso. Mi riferisco alle tantissime persone inermi bastonate, ai manganelli impugnati al contrario, ai tonfa impugnati a mo' di martello. Tutti abbiamo ascoltato l'esposizione di un ospite del Comitato quando ha ammesso:
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dobbiamo imparare ad usarli un po' meglio. Devo dire, però, che hanno imparato benissimo ad impugnarli dalla parte sbagliata; parlo, ovviamente, dei tonfa.
Dunque, presidente, questi dovrebbero essere i risultati che dovremmo proporci di conseguire: non più un solo sasso scagliato verso una poliziotto; non più una randellata inferta impugnando il manganello dalla parte sbagliata. Mi dispiace veramente che tali obiettivi lei non abbia saputo perseguirli, almeno a mio avviso. Questa è la ragione per cui esprimo la mia posizione contraria sullo schema di documento in discussione.
PIETRO FONTANINI. Abbiamo ascoltato dall'onorevole Turroni una serie di critiche; tuttavia, suggerirei ai colleghi di leggere l'ultima parte, le conclusioni del documento, nelle quali è contenuta la seguente affermazione: «la violenza non è e non deve essere strumento di azione politica». E ancora: «in un paese democratico la legalità è un valore fondamentale». Nel contempo, il documento «sottolinea un richiamo forte all'inviolabilità dei principi costituzionali di libertà di manifestazione del pensiero». Questi sono i valori fondamentali ai quali una democrazia deve sempre ispirarsi, difendendoli gelosamente.
A Genova, le manifestazioni hanno avuto momenti, per così dire, pacifici, nel senso che le opinioni sono state espresse senza violenza; mi riferisco, in particolare, alla manifestazione del 19 luglio. Successivamente, tuttavia, gli eventi sono precipitati perché all'interno dei movimenti, compreso il Genoa Social Forum, ha agito un'anima cosiddetta movimentista (nel documento la si è definita un'anima violenta), un'anima guerrigliera, che ha attaccato non solo le forze dell'ordine, ma anche gli emblemi delle istituzioni: il carcere di Marassi e la
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sede della comando dei carabinieri. Sono stati altresì attaccati due istituti di credito, cioè due emblemi della nostra società; dunque, già a Genova, i simboli avevano una pregnanza tale da dover essere abbattuti con la violenza.
Questi fatti non possono essere tollerati in una società democratica nella quale il confronto deve sempre ispirarsi ai principi costituzionali di libertà.
A nome del mio gruppo, la Lega Nord Padania, esprimo apprezzamento per il contenuto dello schema di documento; anzi, vorremmo ulteriormente rimarcare le modalità preparatorie del vertice G8. Si tratta di un aspetto che mette in luce le carenze dell'azione del Governo Amato, rivelatosi non all'altezza di questi compiti. Nella relazione si legge un passaggio fondamentale nel quale si segnala un blocco, una stagnazione - come dice, appunto, la relazione - operativa a livello governativo; probabilmente, tale stagnazione ha provocato effetti che nessuno avrebbe voluto si producessero, in quei giorni, a Genova.
PRESIDENTE. Onorevole Fontanini, essendo le 12, dobbiamo sospendere i nostri lavori. Come ho preannunciato all'inizio della seduta, infatti, osserviamo adesso tre minuti di silenzio (Il Comitato osserva tre minuti di silenzio in segno di lutto e di solidarietà con il popolo americano).
Le do nuovamente la parola, onorevole Fontanini.
PIETRO FONTANINI. Oltre ad affermare i principi fondamentali previsti dalla nostra Costituzione, in particolare la libertà di espressione del pensiero, la relazione rileva che, in quei giorni, a Genova, non tutto è andato per il meglio. Si riconosce, infatti, che anche da parte di rappresentanti delle
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istituzioni qualcosa deve ancora essere chiarito. Cito testualmente: «ove emergano fatti di rilevanza penale o di violazione disciplinare, l'autorità giudiziaria e gli organi amministrativi identifichino i responsabili e ne sanzionino i comportamenti». Quindi, è ancora aperto questo aspetto, che non è di competenza della nostra Commissione ma di altri organismi, di fare piena luce su tali questioni.
Il nostro gruppo condivide la relazione e spera che non avvengano più fatti simili a quelli accaduti a Genova. Auspica anche che possa proseguire quanto è stato fatto, in particolare dal Governo Berlusconi, per portare all'interno di questo G8 anche i paesi poveri, aprendo loro uno spiraglio di confronto, o meglio la volontà di confrontarsi su tematiche importantissime che, purtroppo, una globalizzazione distorta provoca nei confronti dei più poveri del mondo.
La strada è stata aperta. Noi dobbiamo contribuire affinché non venga chiusa, anche perché il confronto con i poveri del mondo deve continuare e deve anche portare, rapidamente, al raggiungimento di risultati concreti a favore di questi ultimi.
LUCIANO VIOLANTE. La ringraziamo, signor presidente, per il suo lavoro e, in modo non formale, le siamo grati per il modo in cui lei ha coordinato e diretto i nostri lavori, perché non era un compito facile. Nei tempi stabiliti abbiamo terminato le audizioni e abbiamo acquisito una massa di documenti rilevante. Devo dare atto a lei, e agli uffici che hanno con lei lavorato, del raggiungimento di questo tipo di obiettivi.
Con la stessa chiarezza, devo esprimere il fermo disaccordo in relazione al suo testo, per ragioni che attengono, per un verso, alla ricostruzione degli episodi, alla ricostruzione della struttura del Genoa social forum ed al mancato giudizio nei
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confronti dell'operato complessivo delle forze di polizia, con particolare riferimento a quella minoranza che ha compiuto atti di violenza ingiustificati, per un altro verso, ad obiezione sul piano politico.
Per quanto riguarda la prima questione, quella cioè relativa alla ricostruzione degli episodi, non insisto, perché sicuramente altri colleghi torneranno su questo argomento; ma sulle questioni principali, che sono la morte di Giuliani, Via Tolemaide, la scuola Diaz-Pertini e Bolzaneto, devo dirle che, a nostro avviso, la ricostruzione è del tutto insufficiente e non corrisponde ai dati in nostro possesso. Dati generalizzati: per esempio, quell'elemento abbastanza preoccupante della conversazione fatta in stato di detenzione da due tedeschi o austriaci - credo - in ordine alla possibilità di simulare violenze subite attiene, se non erro, a Forte San Giuliano e non a Bolzaneto; nel testo è messa in modo tale da illuminare di una luce un po' strumentale tutte quante le vicende, mentre noi sappiamo che i fatti non sono andati in questo modo.
I colleghi si soffermeranno sui singoli dati, ma voglio dire che il primo dato critico riguarda la ricostruzione degli episodi chiave. Il secondo riguarda la ricostruzione delle componenti del Genoa social forum, perché il testo fa rientrare nel GSF ciò che invece ad esso non appartiene.
C'è una componente parassitaria - è stata così definita, se non ricordo male, dal dottor Andreassi ed abbiamo sottolineato questo aspetto -, cioè ci sono dei gruppi che, approfittando di manifestazioni, vi si inseriscono al fine di devastare quelli che loro ritengono simboli di una società della quale, pur vivendovi, non ne condividono i valori. Questi gruppi eversivi, violenti, di tipo paraterroristico, sono gruppi che non hanno niente a che fare con il Genoa social forum. Si infilano nelle manifestazioni che riguardano squadre di calcio e
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quant'altro; sono gruppi che usano la violenza inserendosi all'interno di contesti che possono agevolarla. Ecco, a noi sembrano piuttosto dei guerriglieri, come sono stati definiti, e non mi pare, dunque, che abbiano a che fare con il GSF. Pertanto, questa lettura del Genoa social forum è, a nostro avviso, sbagliata.
All'interno del GSF vi sono due componenti: una che potremmo definire di tipo radicale, un'altra che potremmo definire di tipo riformista. Quella di tipo radicale, a sua volta, contiene una componente che si ispira ad una forma di neoanticapitalismo e ritiene che l'essere antiglobalizzazione sia il modo migliore per essere anticapitalisti; mentre un'altra componente è di carattere comunitario (credo che la Lega sia un po' l'espressione di questo dato - ricordo interventi in aula e alcuni cenni appena fatti dal collega Fontanini)e ritiene legittimamente, che la risposta alla globalizzazione sia la riduzione all'interno di microcomunità, caratterizzate dall'identità di status, dell'identità di cittadinanza e così via. Cioè, c'è chi rifiuta il meticciato che porta con sé, inevitabilmente, la globalizzazione e si rifugia dentro forme di microcomunità.
Probabilmente, anche alcune manifestazioni di agricoltori francesi, i quali chiedono che vengano abbattute le barriere doganali per i loro prodotti ma chiedono, allo stesso tempo, barriere doganali a tutela dei propri, si inseriscono all'interno di questo tipo di componente.
A questa ala radicale si aggiunge un'ala che potremmo tra noi definire di tipo riformista, la quale, per un verso, chiede un'altra globalizzazione, quella dei diritti delle povertà, dell'abbattimento delle barriere doganali, dell'abbattimento e della riduzione dei brevetti per i farmaci e così via, e che è dunque un'ala riformista sul piano più sociale. C'è poi, invece, la versione più istituzionale di tale ala riformista, che chiede
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la riforma del WTO, della Banca mondiale e del Fondo Monetario Internazionale. Si potrebbe andare avanti, comunque le componenti reali sono queste.
La classificazione fatta in questo testo, mi sembra, invece, che non colga la complessità del movimento. Sia ben chiaro, poi, che all'interno di alcune di queste ali, in particolare in quella radicale, vi sono le componenti che non hanno distinto, e qui c'è un punto di fondo. Il dottor Agnoletto ha detto una cosa, a proposito del linguaggio, che mi ha colpito. Quando qualche collega ha evidenziato il linguaggio usato, egli ha risposto: è vero, abbiamo sbagliato, è un problema culturale che non abbiamo superato. Personalmente, ritengo vi sia anche un altro elemento: in alcuni, il confine tra disobbedienza civile e violenza non è stato così netto come deve essere. Ci sono, quindi - sia ben chiaro -, dei rimproveri da fare, e certamente alcuni comportamenti del Genoa social forum sono stati tali da aver contribuito a creare un clima di tensione. Credo, però, che la questione possa essere messa in questi termini. Se invece si esprime un giudizio che veda, a parte la componente definita come componente cristiana, il GSF come complessivamente violento o tendente alla violenza, si commette un errore, perché non è così. Si rischia, così, di aprire - è un punto politico sul quale tornerò dopo -, una divaricazione fra il sistema politico e questa parte delle generazioni. Questo credo sarebbe il peggiore effetto di un lavoro di questo genere.
Il terzo dato è il mancato giudizio su coloro che, all'interno delle forze di polizia, hanno commesso atti di violenza. Ritengo non si tratti di una questione secondaria. Capisco che in questo caso la finalità è quella di tranquillizzare le forze di polizia; però queste ultime non si tranquillizzano su una posizione di parte. L'ha detto con grande chiarezza il ministro Scajola: questa parte del suo intervento è condivisibile, perché,
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mi scusi presidente, devo dirle che il ministro Scajola è andato un po' più in là rispetto al testo in esame, quando ha detto che alcune cose non sono andate, ha sospeso alcuni funzionari e così via. Se il quadro fosse quello qui delineato, per quale ragione avete sospeso il questore Colucci? Per la mancanza di coordinamento? Ma se è così, la responsabilità non è la sua. Per quale motivo sono stati sospesi Andreassi, La Barbera ed anche gli altri? In questo testo non si legge alcunché che faccia riferimento a elementi in tal senso ed anche la spiegazione che è stata data, cioè di voler evitare che queste persone potessero in qualche modo turbare le indagini o che l'istituzione da loro diretta fosse coinvolta nelle indagini stesse, è sicuramente una spiegazione cortese, non adeguata. Tant'è che sono stati inseriti in una struttura che è un po' un'area di parcheggio, per cui non sono state utilizzate appieno le loro competenze. Sulla base di quanto esposto non si capisce perché il ministro abbia fatto questo, né quali siano le ragioni. E devo dire - ripeto - che si lede un punto di fondo perché il rapporto tra democrazia, forze di polizia e società è un rapporto al quale tutti dobbiamo tenere. Guai se accade, come è accaduto in quelle giornate, che una forza o alcune forze di polizia ritengano di assumere da sole, e contro altre, il patronage di tutte le forze di polizia, trattandosi di soggetti che possono esercitare la coercizione. Questa è la ragione per la quale, quando c'è un eccesso di coercizione, è tutto il sistema politico che deve condannarlo.
Il tentativo di assumere un patronage o - come dire - una parentela particolarmente stretta nei confronti delle forze di polizia, passando sopra gli atti di violenza commessi dai singoli, rappresenta un grave errore in quanto stabilisce una separazione tra società e forze di polizia e attribuisce a queste ultime una collocazione di parte: ciò è sbagliato. Sono grato
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al ministro che ha posto la questione e credo che, presidente, se lei riterrà di dover correggere in qualche parte il testo dopo questa discussione, tale aspetto - mi scusi se mi permetto di dirlo - dovrebbe essere affrontato. Anche per il futuro, infatti, l'unità del sistema politico attorno ad alcune istituzioni, specialmente a quelle che esercitano la coercizione, è fondamentale in una democrazia.
Sul piano politico, a noi sembra che manchi la consapevolezza di ciò che Genova ha rappresentato. Come accennava l'onorevole Turroni nel suo intervento precedente al mio, dopo Genova sono cambiati vari aspetti. È importante ciò che ha detto il ministro Ruggiero, nell'intervento che ha svolto in questa sede, a proposito di Göteborg. Quando l'onorevole Boato ha chiesto cosa fosse cambiato dopo tale vertice in Svezia abbiamo avuto, per un verso, la posizione, che a me è sembrata riduttiva, espressa, in una sede diversa da questa, dal Presidente del Consiglio, il quale ha detto che dopo Göteborg si è temuto che a Genova si sarebbero verificati disordini. Per altro verso, ministro Ruggiero, dimostrando in questo caso un livello di statista che gli fanno onore, ha detto che dopo il vertice in Svezia si è capito che quelle domande erano giuste, che su di esse avremmo dovuto misurarci e che occorreva aprire un dialogo con quei soggetti (quindi la linea di cui io sto parlando adesso).
È importante il giudizio su Genova e su cosa da essa è scaturito, sulle novità e sulle questioni aperte. In precedenza si è accennato che dopo Genova Jospin ha cominciato a parlare di Tobin tax, Schroeder ha sposato tale questione; il 21 e il 22 vi sarà la riunione dell'Ecofin, dei ministri finanziari dell'Unione europea, che discuteranno sulla possibilità di tassare a breve le transazioni finanziarie puramente speculative: è la prima volta che si pone tale questione. Si tratta di
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un tema che è entrato nell'agenda politica, così come credo che sia entrata anche la drammatizzazione che, purtroppo, hanno avuto i fatti di Genova. La morte di Giuliani ha attribuito un segno completamente diverso alla situazione. Credo che se non vi fosse stata tale morte noi non saremmo qui a discutere, non avremo svolto un'indagine conoscitiva, non avremmo lavorato su ciò, ma quell'evento tragico, con la sua drammaticità e con la secchezza che ha la morte in sé, ci ha costretto a riflettere su un insieme di questioni. Tenga presente che l'aspetto accidentale è rappresentato dalla morte di un ragazzo che la mattina andava al mare: non era un black bloc, non era associato all'uno o all'altro gruppo. Allora cosa può far scattare quel meccanismo di violenza? La ricostruzione dei fatti di via Tolemaide, nel modo in cui sono stati posti, non fa capire cosa sia accaduto, in quanto, almeno da ciò che a me è capitato di considerare, non è esatto affermare che vi sia stata la tendenza del corteo a sfondare la barriera: i manifestanti si trovavano molto prima del limite e sono stati caricati prima di oltrepassarlo da coloro che, invece di seguire i violenti che erano andati sotto la ferrovia, sono tornati e hanno caricato il corteo. A prescindere da ciò, la questione che mi preme sottolineare è la mancanza di giudizio sul cambiamento della situazione dopo Genova. Noi stessi, il nostro paese, dopo tali fatti, abbiamo affrontato la questione dell'altra globalizzazione; non so se l'avremmo fatto se non vi fossero stati i fatti di Genova.
La seconda questione politica è rappresentata dal rapporto tra le domande che ha posto il movimento antiglobalizzazione e la nostra democrazia. Devo dire, presidente, onorevoli colleghi, che se alcuni o molti dei ragazzi e delle persone adulte che hanno partecipato a quella manifestazione dovessero leggere tale testo non si riconoscerebbero in esso: non vi
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è ciò che loro hanno visto e non vi è quello che hanno portato. So che possiamo anche affermare che il testo deve contenere una pura descrizione dei fatti, ma facciamo parte di un'istituzione politica, rappresentiamo la nazione senza vincolo di mandato; il Parlamento costituisce un momento di sintesi politica e una parola, un giudizio, una valutazione sulla riforma della democrazia politica e il modo in cui tale democrazia possa affrontare tali domande è essenziale, altrimenti si apre anche in tal caso una divisione, tra noi e loro, che non ha soltanto carattere generazionale, trattandosi di una divisione di valori, di culture, di punti di vista, di colpi d'occhio sul reale e sull'esperienza. Ciò rappresenta l'aspetto che ci preoccupa. Ci allarma il fatto che dall'altra parte poi possano nascere segnali, allusioni, lusinghe che indirizzano sul terreno illegale, non democratico, come è avvenuto due decenni fa. Se qualcuno si aspetta che in tale testo vi sia un giudizio, una valutazione, una apertura, una attenzione del sistema politico, in esso non trova tutto ciò e credo che questo non sia un fatto positivo.
L'ultimo punto che vorrei sottolineare l'ho già accennato in precedenza. Abbiamo bisogno di ricostruire un rapporto di fiducia complessivo tra tre soggetti: sistema politico, società e forze di polizia, nel senso che società civile, forze di polizia e sistema politico devono sentirsi parte di un paese. Tale dato non scaturisce in quanto vi è stata un po' la tentazione - e ritorno agli aspetti già sottolineati - di porre un puro e semplice avallo a tutto ciò che è stato fatto, dimenticando gli errori commessi, non valorizzando in modo adeguato il comportamento positivo della stragrande maggioranza dei ragazzi e delle ragazze appartenenti alle forze di polizia che erano lì (gli aiuti che sono stati forniti da parte di alcuni poliziotti, il fatto che moltissimi si sono presi insulti e pietre
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e sono comunque rimasti al loro posto): tale dato non è neanche stato valorizzato e credo che, invece, debba esserlo. Insomma, anche ciò va valorizzato in quanto ci consente di dare poi un giudizio negativo su chi si è comportato male (la ristretta minoranza). Altrimenti, se mettiamo tutto sullo stesso piano, scaturisce una parentela corporativa - mi scusi l'espressione - ma non si giunge ad un giudizio politico su cosa è accaduto e su cosa debba essere tale rapporto.
Per quanto riguarda la questione del mancato coordinamento, di tale aspetto in Italia si discute da decenni. In questo caso, però, vi sono due livelli di mancato coordinamento: uno di tipo generale, un altro di tipo pratico, sul territorio e ciò va detto, perché è lì che vi è stato un problema. Il fatto, per esempio, stando a ciò che è emerso, che il funzionario non riuscisse a dare un ordine perché l'ufficiale si trovava in un altro luogo e i carabinieri non obbedivano rappresenta, insomma, un punto sul quale non possiamo non soffermarci. Aspettiamo che si verifichino altre vicende di questo genere? Non so se questo sarà un tema che affronteremo in Commissione o in questa sede, ma credo che su tale argomento una parola debba essere spesa. Mi metto nei panni di quel funzionario che ci ha fatto la sua esposizione e poi vede tutto questo; capisco la drammaticità dei momenti in cui lo ha vissuto e che sono sintetizzati nella formula generica del mancato coordinamento. Ciò rappresenta un altro degli elementi per i quali rischiamo di non farci capire né da chi stava in piazza a protestare e a contestare, né da chi vi si trovava al fine di difendere le istituzioni democratiche, l'ordine democratico, il vertice, eccetera. Questo è il complesso delle ragioni - mi scusi per la lunghezza del mio intervento - per le quali non condividiamo il suo testo.
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FABRIZIO CICCHITTO. Si sta avviando, in questa sede, una discussione che, per alcuni aspetti, va anche al di là del merito dei compiti del Comitato, ma io non voglio sottrarmi a tale tematica, rilevando, per quello che ci riguarda, che riteniamo che il documento presentato risponda fondamentalmente, sia alla descrizione dei fatti per come sono emersi durante le audizioni che abbiamo svolto, sia ad alcune questioni di fondo con le quali dobbiamo misurarci anche in chiave politica. Voglio dire, però, che non è esatto rilevare (secondo me è un'osservazione profondamente ingiusta) che la maggioranza e specialmente il Governo, forse quest'ultimo più della maggioranza, non si siano posti il problema di ciò che andava emergendo a livello internazionale in seguito al percorso che il movimento antiglobalizzazione aveva assunto da Seattle in poi. Sarebbe, a mio avviso, il peggiore servizio che si può fornire ai giovani o a quel pezzo di gioventù, anche perché qui dobbiamo stare attenti a distinguere: non esiste una indifferenziata società civile che si riconosce nell'antiglobalizzazione e un pugno di governanti che invece cavalcano la globalizzazione. La questione è molto più complessa, anche perché in questo pugno di governanti vi è una parte cospicua della socialdemocrazia europea.
Il Governo del quale fanno parte sia l'onorevole Berlusconi, sia il ministro degli esteri, sia il ministro dell'interno, si è posto alcuni problemi. Il primo è quello di riflettere e aprire un confronto sul tema della globalizzazione. Questa tematica, secondo me, è fondamentalmente ineludibile poiché avvertiamo in settori cospicui della contestazione qualcosa che ci richiama a coloro che contestavano la prima civiltà industriale, il macchinismo (e così via) e che esercitavano una contestazione di tipo luddista. Anche in quel caso vi saranno stati tanti giovani; tuttavia, la storia, è andata oltre, emarginando quel
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tipo di contestazione e registrando l'esigenza che l'industrializzazione avrebbe dovuto essere governata e regolata sia dalle leggi, sia dalla libera organizzazione sindacale sia da una modifica del dato bruto. Orbene, con il G8 il Governo si è posto esattamente il problema (non affrontato dai vertici precedenti), di dare per buona la globalizzazione che non ha alternative, pur con tutti i limiti che i vertici presentano. Non bisogna essere ipocriti in materia: sappiamo infatti che alcuni vertici, il G8, il G7, svolgono il proprio ruolo, presentando in sé alcuni limiti; possono mettere in moto alcuni processi che la società nel suo complesso fa propri o respinge. Nei limiti di una operazione di questo tipo, il Governo si è posto due questioni (per questo, è grave ciò che il GSF e una parte dei contestatori hanno messo in evidenza durante gli avvenimenti a Genova). Non vi era, infatti, un Governo arroccato nella mitizzazione della globalizzazione, né un Governo che voleva esercitare la mano dura relativamente ai meccanismi di contestazione, ma un Governo che, in poco tempo, rispetto a quanto è stato compiuto dal Governo Amato, è stato molto più avanzato sui due terreni della dimensione della globalizzazione (a cui in precedenza non è stata fornita alcuna risposta) e della gestione dell'ordine pubblico. Pertanto, respingo questi rilievi, perché non li ritroviamo nella realtà.
Il Governo ha operato due aperture: la prima, per cercare di far sì che la versione di questo G8 fosse la più avanzata possibile con riguardo alla tematica riformista di un intervento riformista nei confronti della globalizzazione e la seconda, in merito ai rapporti con il GSF e alla tematica dell'ordine pubblico (addirittura da cogestire) .
Se mi consentite la battuta, il modo con cui il Governo ha impostato le cose, sia per quanto riguarda il ministro degli esteri, sia per quanto riguarda il ministro degli interni,
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potrebbe essere paradossalmente attaccato da destra, ma non da sinistra, poiché ha tentato un'evoluzione riformistica nel confronto sul tema della globalizzazione e nell'apertura ai contestatori (invece il Governo Amato, fino al 14,15 maggio non aveva cercato di instaurare un rapporto con i contestatori, secondo le dichiarazioni del GSF).
Voi mi insegnate che in queste cose per svolgere un'operazione consensuale bisogna che vi siano due o più soggetti. Il Governo è arrivato al punto da confrontarsi con quello che era diventato il gruppo dirigente del GSF a causa degli errori politici del Governo Amato. Tutti noi abbiamo una visione dialettica del GSF; tuttavia, il fatto che il Governo Amato, per lungo tempo, non abbia fatto i conti fino in fondo con il GSF, non so se consapevolmente o strumentalmente, dando per scontato che le manifestazioni concomitanti avrebbero avuto luogo comunque, è stato un atto di grande responsabilità che ha inciso molto negativamente sull'andamento della situazione, perché alle componenti riformiste e cristiane di tale movimento si sono progressivamente sostituiti gli avventurieri della politica quali sono stati Agnoletto e Casarini. Questa è la realtà dei fatti. C'è stato un trapasso di egemonia all'interno del GSF, determinato anche da una angustia politica del Governo Amato che, preoccupato di altre cose e ritenendo a termine il suo modo di far politica, passava una patata bollente al Governo Berlusconi. Questa è la realtà con cui dobbiamo misurarci.
Quanto alla gestione del G8, all'apertura che si è determinata (abbiamo assistito ad un confronto molto più vasto e articolato che ha riguardato il governo di una parte del mondo, cioè di coloro che sono emarginati) e alle sue conclusioni, si è verificato un salto di qualità, nei limiti di un
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confronto di tipo internazionale, relativamente ad una serie di tematiche quali la povertà, la sanità e così via seguitando.
Purtroppo, l'angustia, o meglio l'estremismo in cui si era chiuso il GSF, ha interrotto qualunque possibilità di dialogo e di confronto sui temi e sui contenuti; le stesse piazze tematiche non hanno consentito un terreno di confronto perché tutto è stato superato per la questione dell'ordine pubblico. Il problema dell'ordine pubblico non lo ha certamente introdotto il Governo Berlusconi.
I testi parlano chiaro. Le parole possono rappresentare, quando si è in quella dimensione, pietre o dichiarazioni di principio. Quando il GSF cavalca una fraseologia che è quella di abbattere la zona rossa e una parte di esso la mette in campo nelle manifestazioni, non vi sono parole, ma pietre, come abbiamo visto.
Quando il Governo ha fornito alle forze dell'ordine le indicazioni con il discorso di Berlusconi del 18 giugno, con il discorso del ministro Scajola il 13 luglio, e con il vademecum che è stato distribuito, non ha condotto una finta operazione, ma ha giocato tutte o una larga parte delle sue carte in un'operazione di consenso che, d'altra parte, era nella logica. Ho sentito alcuno accenti francamente grotteschi anche in questo nostro confronto, per cui sembra quasi che il Governo fosse interessato al fatto che i black bloc sfasciassero tutto, in una logica dissennata «del tanto peggio, tanto meglio». Non è stato affatto così.
Il fatto è che in questi momenti di riformismo sia in ordine alla globalizzazione sia in ordine ad una gestione consensuale e cogestita dell'ordine pubblico, quest'ultimo rappresenta - come tutti sappiamo - una condizione essenziale, in presenza di cortei con circa 150 mila persone, quindi molto rilevanti. In
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una città chiusa, e per certi aspetti e asfittica, come Genova o c'è una gestione consensuale oppure si rischia il peggio.
L'interlocutore dal punto di vista dell'ordine pubblico è venuto meno; è stato un interlocutore in parte passivo, in parte connivente. È stato detto anche in questa sede che la Polizia non si è collocata alla testa, in coda al corteo e così via.
Nelle audizioni è risultato anche che vi sono stati dei parlamentari che chiedevano questo mentre altri chiedevano esattamente il contrario, cioè che la polizia si togliesse di mezzo perché ciò era un fatto provocatorio. Quindi, vi è stata un'ambiguità anche dal punto di vista politico a cui è seguita una criminalizzazione indifferenziata delle forze di polizia. In questo documento non vi è un'assoluzione indifferenziata delle forze dell'ordine, ma vi è un ragionamento molto articolato.
Non c'è dubbio che noi, anche di fronte alle tensioni che emergono in questa società, abbiamo dovuto fare e dobbiamo fare - e il Governo deve fare - un'operazione di ricostituzione di un rapporto di fiducia con le forze dell'ordine, perché altrimenti rischiamo di andare incontro ad estremismi e ad avventurismi che, nel contesto generale (quello per cui abbiamo fatto prima tre minuti di silenzio), rischiano di essere estremamente pericolosi.
Questa relazione risponde ad una logica su cui ognuno di noi può esercitarsi in tante contestazioni, riflessioni e critiche; neanch'io mi riconosco in tutto e per tutto nella relazione, ma riconosco che il presidente ha compiuto uno sforzo importante e significativo: sono importanti le linee generali di una riflessione che si riflette nella realtà.
Il Governo, per quello che riguarda i risultati del G8, ha lavorato al meglio in una dimensione non acritica, ma in quella che assume la globalizzazione e cerca di governarla e di gestirla con regole antiche e nuove. Con riferimento
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all'ordine pubblico, il Governo è stato saldo rispetto ad una situazione straordinaria perché è difficilissimo gestire una realtà di ordine pubblico nella combinazione fra 10 mila guerriglieri e 150 mila manifestanti che non hanno in se stessi la forza, la capacità e anche la cultura della contrapposizione reale ai 10 mila guerriglieri (questo è ciò che è emerso). Inoltre, secondo me, rispetto anche all'indirizzo politico del Genoa social forum e delle nuove generazioni, e così via, è stata assunta una posizione acriticamente schiacciata sul movimentismo più estremistico e non critica rispetto ad una serie di dati che sono emersi in modo clamoroso come, in primo luogo, il tipo di direzione politica che il Genoa social forum ha impresso, e in secondo luogo il fatto che non sia stato capace di essere la controparte reale del Governo, malgrado l'esecutivo avesse speso una parte cospicua della sua azione politica proprio per avere un interlocutore con cui gestire in modo pacifico le manifestazioni di Genova in quanto il Governo stesso non aveva nessun interesse, da questo punto di vista, a giocare al peggio. Il fatto è che, rispetto ad un'avvenuta operazione di criminalizzazione, il problema della tenuta e della fiducia nelle forze dell'ordine non è di una parte politica, ma è di un Governo che deve governare il paese e misurarsi con fenomeni che certamente prendono tutti alla sprovvista; non c'è dubbio che da Genova emerga un problema enorme così come in questo momento sta succedendo nel mondo (per cui la tenuta di uno Stato è assolutamente fondamentale).
Per tutte queste ragioni, qui esposte in modo certamente disordinato e schematico, credo che la relazione che è stata presentata meriti il nostro appoggio. La riflessione, che va al di là di qualunque relazione parlamentare si voglia presentare, deve sfuggire agli schematismi e agli estremismi e deve evitare
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di passare da un estremo all'altro (perché qui si è passati, da parte di qualche forza politica, dall'avere organizzato e gestito e dall'essersi riconosciuto totalmente nel G8, addirittura a partecipare al corteo del 21; anche se ciò ha riguardato alla fine solo una parte di tale forza politica), in una schizofrenia che, a mio avviso, non ha portato aiuto nella situazione. Ancor di meno viene facilitato l'indirizzo politico delle nuove generazioni se si assume acriticamente la difesa di meccanismi di contestazione o si passa dall'acriticità sulla globalizzazione alla contrapposizione totale; perché si mettono in moto dei meccanismi di schizofrenia che rischiano di essere pericolosi in un contesto ancora più pericoloso come quello che ci si presenta. Quindi, noi, come forza centrale, di equilibrio, ci riconosciamo in un ragionamento che coglie gli elementi essenziali di mediazione, di centralità e di coniugazione dello Stato di diritto con la difesa della sicurezza, e siccome la relazione risponde a questi elementi e a queste esigenze centrali, noi riteniamo che questa rappresenti la conclusione dei lavori che abbiamo svolto e come tale ne diamo una valutazione positiva, anche rispetto ai lavori che devono svolgersi alle Commissioni Affari costituzionali della Camera e del Senato.
FRANCO BASSANINI. Come hai già detto il presidente Violante, il compito che noi avevamo era quello di accertare i fatti e, come lei ha ripetutamente ricordato, non quello di esprimere valutazioni politiche. Mi rendo conto che è difficile non esprimere qualche valutazione politica e, per quanto mi concerne (e, credo, ci concerne) condivido le dieci righe finali di questo testo, con la forte riaffermazione che la violenza non può essere strumento di azione politica in nessun caso, per nessuna finalità e per nessuna ragione, che la legalità è un valore fondamentale e che vi sono principi costituzionali
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fondamentali come la libertà di manifestazione del pensiero ed il rispetto della persona, anche e soprattutto quando è privata della libertà perché in arresto, e così via. Su questo possiamo essere d'accordo; per il resto, tuttavia, come già è stato detto, la lettura di questo testo non si concilia con la finalità che noi avevamo.
È un testo che non accerta i fatti, ma in molti punti li travisa, ed esprime giudizi politici contrastanti con tali fatti. Questo non è il compito che ci è stato affidato. In ordine all'accertamento dei fatti - come diceva prima il presidente Violante -, noi non abbiamo solo testimonianze che purtroppo si sono rivelate, su molti punti delicati, contraddittorie fra di loro. Quello che è più imbarazzante è che non c'era contraddizione solo tra le testimonianze di esponenti delle forze dell'ordine ed esponenti dei gruppi dei manifestanti, ma che vi era contraddizione anche tra le testimonianze di esponenti delle forze dell'ordine fra di loro. Per l'accertamento dei fatti abbiamo messo in opera altri strumenti come era giusto e come era necessario; abbiamo acquisito documentazione, documenti scritti e documenti filmati. Io non sono uno che ignora che anche i documenti filmati possano avere aspetti di parzialità (possono inquadrare una scena da un certo punto di vista e non farcela vedere tutta), però noi abbiamo acquisito una cospicua serie di documenti, in particolare, di filmati sullo svolgimento dei fatti che ci vengono da fonti diverse; dalle televisioni Mediaset (che non credo siano accusabili di parzialità da parte della maggioranza), dalle televisioni della RAI (spero che esse siano obiettive) e da una serie di televisioni private locali che hanno svolto un lavoro estremamente apprezzabile, possiamo dare una ricostruzione dei fatti evidentemente e platealmente contraddittoria rispetto ai documenti
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che abbiamo acquisito e che tutti i componenti di questo Comitato, che hanno ritenuto proprio dovere visionarli, hanno potuto constatare e verificare?
Io penso di no. Sotto questo profilo, se concludiamo - nell'accertamento dei fatti - con affermazioni, ancorché basate su alcune testimonianze (ma non su altre), che sono in palese contrasto con i documenti che abbiamo acquisito, non svolgiamo il compito che ci è stato affidato il testo, su molti punti delicatissimi, fa proprio questo! Sono punti molto rilevanti ai fini dell'interpretazione dei fatti e della ricostruzione complessiva della vicenda.
I fatti di via Tolemaide sono molto rilevanti a tale riguardo; dai filmati emerge che gli episodi di violenza non sono attribuibili alla manifestazione autorizzata (uso il termine «autorizzata» nell'accezione comune). Essa si svolgeva lungo un percorso autorizzato ed era lungi dall'aver raggiunto il termine del percorso stesso. Se fosse andata oltre piazza Verdi non sarebbe stata più una manifestazione autorizzata e sarebbe stato assolutamente legittimo impedirne il proseguimento; se, nonostante ci fosse stato, il tentativo di proseguire, ci sarebbero state tutte le ragioni per opporsi, anche con la forza (legittima in questo caso), perché la manifestazione sarebbe diventata non autorizzata e si sarebbe avvicinata alla zona rossa. Ma non si era giunti a quel punto! Anzi, vi si era lontani, e ciò è evidentissimo: i filmati sono chiari e le testimonianze non li contraddicono. Lo ripeto, i manifestanti erano lontani dal punto finale del percorso autorizzato.
Gli episodi di violenza qui citati si svolgono lungo corso Torino; se non protagonisti non coloro che partecipavano alla manifestazione, non coloro che possono essere ricondotti ad organizzazioni comprese nel Genoa social forum, ma gruppi di persone vestite di nero che devastano ed incendiano (ciò
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risulta chiaramente) e che sono seguiti; passo dopo passo, da plotoni di carabinieri che, per un discreto periodo di tempo, non intervengono. Ad un certo punto decidono di inseguirli: iniziano l'inseguimento, le persone scappano lungo corso Torino, attraversano via Tolemaide e si infilano nel sottopassaggio che porta a corso Sardegna, i carabinieri inseguono, giungono all'incrocio di via Tolemaide, vedono avanzare da destra, su via Tolemaide - su un percorso autorizzato - la testa del corteo autorizzato e, a quel punto, si fermano, cessano di inseguire quelli che avevano commesso reati e devastazioni e vanno a fronteggiare un corteo che stava procedendo lungo il percorso autorizzato e dal quale, in base a tutti i filmati di cui disponiamo, non partono affatto - come qui viene detto - lanci di sassi e di bombe molotov! Quando avviene la carica non ci sono provocazioni! Questo è un punto decisivo nella ricostruzione dei fatti, che qui viene esposto esattamente in contrasto con i documenti di cui noi disponiamo: come si fa a fare questo? Noi non pensiamo che sia possibile, perché è esattamente l'opposto di quello che ci è stato chiesto: ricostruire i fatti!
Siccome anche il tragico episodio di Giuliani avviene in quel contesto (parte da lì), non si tratta di un fatto irrilevante così come non è irrilevante ricostruire quanto avvenuto il giorno successivo, il 21 luglio, cioè ricostruire esattamente dove si svolgono le violenze, da parte di chi e con quale rapporto con i cortei pacifici ed autorizzati.
Dai documenti risulta che il 20 luglio, nello stesso giorno, sono stati tenuti due comportamenti assolutamente diversi: a piazza Dante, un tentativo di sfondamento della zona rossa è stato legittimamente impedito da appartenenti alla polizia di Stato anche con l'uso della forza, ma in modo corretto e proporzionato all'attacco subito (questo è indiscutibile). Nello
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stesso momento, a via Tolemaide è stata compiuta una carica ingiustificata nei confronti di un corteo che in quel momento non stava compiendo nulla di illegittimo ma stava percorrendo il tragitto autorizzato, rinunciando, invece, ad inseguire coloro che avevano commesso reati e nei confronti dei quali la repressione sarebbe stata assolutamente giustificata, in quanto necessaria ad impedire che si proseguisse con le devastazioni, sia nel corso della medesima giornata, sia in quella successiva.
Mi sono soffermato su questo episodio e su quelli del giorno seguente - altri lo faranno anche meglio di me - perché tali ricostruzioni, che sono in contrasto con i documenti in nostro possesso, portano poi ad una affermazione che non consente di dare il senso di ciò che è avvenuto. Abbiamo a lungo discusso di questo: non si può dire che la separazione tra violenti e pacifici fosse impossibile, i documenti in nostro possesso non ce lo consentono.
Gli appartenenti ai gruppi violenti erano facilmente identificabili (ripeto quanto affermato dal presidente Violante) e non facevano parte - come lei sa bene, signor presidente - del Genoa social forum, almeno i black bloc si predisponevano all'azione, a pochissima distanza da cospicui plotoni di forze dell'ordine, attraverso cerimonie, tamburi, vestizioni e così via. Bisogna ricordare che in quei momenti essi erano completamente separati dal corteo pacifico. Quando, invece, hanno agito devastando ed incendiando - non si possono attribuire le devastazioni a quanti non ne hanno colpa, perché questo è esattamente l'opposto di ciò che siamo chiamati a stabilire - in molti casi visibile -come a poca distanza siano presenti unità delle forze dell'ordine numericamente cospicue e preponderanti: perché non si interviene? Perché noi non riferiamo che questo è successo? Non possiamo non farlo!
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Signor presidente, nella sua relazione, è contenuto un dato che, per la verità, non è stato affatto accertato, ossia che sarebbero 10 mila gli appartenenti ad organizzazioni violente. Il ministro Scajola ci ha fornito un'altra cifra mentre altri, da noi ascoltati, ci hanno parlato di qualche migliaio; 10 mila è una cifra rilevante! Prima di darla per acquisita, forse avremmo dovuto dire qualcosa di più.
Non parlerò dei casi della scuola Diaz e di Bolzaneto - altri lo faranno -, ma desidero svolgere una valutazione finale. Nel documento si esprime un giudizio positivo sui risultati del G8 e si afferma che tutti gli obiettivi politici del vertice sono stati conseguiti; non è nostro compito compiere queste valutazioni politiche e non abbiamo fatto alcunché per accertare, nel merito, se i risultati del vertice G8 siano stati effettivamente conseguiti. Vorrei aggiungere che di questo si può fortemente dubitare!
Il problema che in tutto il mondo ci si pone - almeno nelle componenti più serie e diffuse della società - non è la globalizzazione e la sua inevitabilità, ma il modo e la direzione del governo dei processi di globalizzazione. Sotto questo profilo, se si vuole, questa può essere anche un'autocritica che noi rivolgiamo ai Governi che hanno preceduto l'esecutivo Berlusconi, ma che è molto diversa da quella che l'onorevole Cicchitto ha poc'anzi sottolineato.
Il problema è che oggi non abbiamo - il G8 non ha la legittimazione democratica per esserlo - uno strumento efficace di governo dei processi di globalizzazione.
Quando il G8 - come ci ha detto il ministro Ruggiero e come hanno fatto sia il Governo Amato sia il Governo Berlusconi - si preoccupa di discutere i rimedi al problema della povertà e del sottosviluppo nel mondo, nello stesso momento fa qualcosa che, da un lato, appare generoso e
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lungimirante, ma che, dall'altro, aggrava la carenza di legittimazione democratica di un organismo che riunisce i rappresentanti legittimi e democratici di meno di un quinto della popolazione mondiale. Il fatto di aver associato i governi di alcuni paesi del terzo e del quarto mondo non significa molto, perché anche insieme a questi non si supera un quinto della popolazione mondiale. Grandi paesi del mondo come l'India, il Brasile, la Cina, l'Indonesia, il Pakistan erano assenti.
Il problema che ci si sarebbe dovuti porre è come riuscire a rendere efficace ed effettivo il ruolo delle Nazioni Unite quale strumento di governo della globalizzazione; chi pone questo problema solleva legittimamente una questione enorme che il G8 non ha minimamente affrontato.
Di fronte a ciò, come facciamo ad esprimere un giudizio sui risultati politici del G8 noi che non dovremmo dare valutazioni politiche e che non abbiamo discusso di questo?
Sotto tale profilo, questa relazione non è adeguata al compito che abbiamo: in una parola, che la prego di non interrompere in modo polemico, essa è in qualche modo irricevibile, perché doveva accertare i fatti mentre, in molti punti, li travisa. Non dovevamo fare - almeno noi - valutazioni politiche ed invece la relazione è costellata di valutazioni di tal genere che i fatti non consentono di legittimare.
LUCIANO MAGNALBÒ. Signor presidente, prima di tutto la ringrazio anch'io per il suo modo di coordinare questo Comitato e per l'equilibrio e la competenza che hanno contraddistinto il suo operato.
Il Comitato avrebbe dovuto essere una Commissione d'inchiesta che avrebbe dovuto portare alla «caduta» del ministro Scajola: questo era l'obiettivo della parte oltranzista del centrosinistra, mentre la parte moderata, pensante, già da
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allora si era rifiutata di sottoscriverlo al Senato. La definimmo parte pensante e comprendeva Del Turco, Dini, Mancino e, per i Democratici di sinistra, Manzella e forse anche Morando.
Questo doveva essere un processo alle forze dell'ordine con inevitabile - dico: inevitabile - appoggio alla logica della violenza che, come ha riconosciuto lo stesso onorevole Violante in quest'aula, è contigua a quella del terrorismo. Queste sono state le parole usate oggi da Violante; che ha definito alcuni movimenti presenti a Genova preterrorismo, paraterrorismo.
Tale processo non sarebbe stato gradito all'opinione pubblica; ne abbiamo preso atto durante i lavori ed è stato riconosciuto anche da Violante, il quale, all'inizio dell'indagine conoscitiva, diede una «sterzata» anche oggi è tornato sull'argomento non solo della non criminalizzazione delle forze dell'ordine, ma del sostegno ad esse. Ciò, al di là dei motivi politici, è molto apprezzabile perché tutti noi fautori della democrazia dobbiamo agire in questa direzione.
Signor presidente, nel corso dei lavori abbiamo vissuto momenti di vera sofferenza e di indignazione quando Casarini è venuto qui a tenere la sua lezione di sociologia eversiva, una stantia lezione di sociologia eversiva. Egli ha parlato di furia omicida dei carabinieri in occasione dell'uccisione del giovane Giuliani, tant'è che ho pensato di chiederle la trasmissione degli atti alla competente procura: non si può parlare, infatti, di furia omicida con riferimento all'operato della polizia.
Altri disagi li abbiamo sofferti quando ci siamo trovati di fronte a contrastanti versioni da parte di alcuni soggetti in merito a determinati fatti; ciò è stato definito un difetto di coordinamento.
Tutte queste cose sono e saranno oggetto d'indagine da parte della magistratura; noi, quindi, attenderemo il responso proveniente da tale sede.
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Signor presidente, avremmo anche voluto sottolineare con più forza che la parte violenta non è stata isolata a dovere malgrado le tante promesse fatte dai cosiddetti non violenti, dai rappresentanti del GSF, da ultimo nel corso di un incontro che questi hanno avuto con il ministro Scajola e con il ministro Ruggiero.
Ciò non è avvenuto perché, in effetti, la gestione di tutta la manifestazione, la gerenza, apparteneva alle tute bianche, che non erano proprio la parte interamente non violenta. Tutte le altre organizzazioni, che pure sono venute qui a rispondere, sono state emarginate, i veri non violenti sono stati emarginati. Ciò lo si è visto anche nella collocazione che hanno assunto in occasione dell'audizione svoltasi in questa sede: da una parte i veri non violenti, dall'altra tutti i violenti ed i paraviolenti, comunque nessun non violento. Questa è la verità e, forse, avremmo dovuto sottolineare tale circostanza; altrimenti dovremmo pensare che questa è stata un'operazione suicida da parte dei cosiddetti non violenti che, non isolando i violenti, hanno fatto sì che le forze dell'ordine non potessero più distinguere, subendo così le misure che i responsabili dell'ordine pubblico dovevano adottare.
Riconosciamo che questo documento, nel suo complesso, contiene un'analisi profonda ed articolata del tutto e lascia spazi a chi, la magistratura, ha la competenza di procedere in ordine a certi fatti, a certi eventi.
Signor presidente, anche Alleanza Nazionale ritiene condivisibili le sue conclusioni.
GIANNICOLA SINISI. Signor presidente, anch'io mi unisco ai ringraziamenti per l'attività che lei ha svolto, per il modo
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in cui ha condotto i lavori di questo Comitato e per la quantità di attività compiuta da tale Comitato in un così breve arco di tempo.
Le devo dire che mi sono «affacciato» a tale attività di indagine parlamentare, con la seduzione del ricordo di altre indagini parlamentari che hanno segnato la storia del nostro paese. In particolare, per chi come me si è occupato per qualche tempo di attività legate a quel mondo che ha desiderato vedere più giustizia nel nostro paese, il riferimento è alla relazione Sonnino e Franchetti di fine '800, la quale, aprendo uno squarcio sulla società meridionale, in realtà tracciò una linea di indirizzo strategica che ad ognuno di noi ha insegnato a comprendere maggiormente gli eventi di quel tempo e rappresenta ancora oggi un'utile indicazione per capire come alcuni fatti possano inserirsi in una società senza che questa li comprenda sin dal loro nascere.
Non avevo l'ambizione di partecipare ad una relazione di tal fatta. Avevo ben chiaro in mente che anche la relazione di Sonnino e Franchetti fu una relazione di minoranza in quel Parlamento.
Avrei però desiderato che da questo lavoro si fosse potuta raggiungere un'intesa maggiore intorno a quei valori comuni di verità e di giustizia che credo non dovrebbero trovare tra noi nessun punto di distinzione. Mi sarebbe piaciuto che in questa sede vi fosse stata un'analisi più approfondita di come sta cambiando il mondo e di come sta cambiando il nostro paese, di come mai si è aperta una frattura così grande fra società e istituzioni e tra politica e società.
Alcune indicazioni ci sono state fornite - lo voglio ricordare perché mi ha davvero impressionato l'espressione del ministro Ruggiero - nell'invitare noi stessi ad aprire un dialogo con la società, essendo gli stessi partiti insufficienti
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oramai in questa funzione e incapaci talvolta di interpretare questi nuovi fermenti . Ebbene, mi sarebbe piaciuto che in ordine a tutto ciò si fosse potuto fare un punto della situazione.
Sarebbe anche stato utile che dall'intera analisi dei fatti, non una ricostruzione analitica al punto da essere infine persino burocratica, bensì una ricostruzione significativa di taluni eventi dai quali poter ricavare delle proposte, il nostro sistema istituzionale e le nostre forze dell'ordine avessero potuto trarre ancora maggiori certezze e maggiore efficacia nel loro operare. Ecco, anche questo mi aspettavo da tale lavoro.
Devo dire con franchezza che un contributo in tale direzione abbiamo cercato di darlo. Tuttavia, con altrettanta franchezza, osservo che non lo ritrovo nella sua proposta di schema di documento, dal momento che più che una mediazione - e la mia non vuole essere una polemica, signor presidente - fra opinioni diverse e tra maggioranza e opposizione, mi è sembrata troppo concentrata a cercare una mediazione tutta interna alla maggioranza. Non vi è traccia, invece, delle tante osservazioni che noi, in termini di proposta sul ruolo dell'autorità nazionale, sul ruolo della funzione di pubblica sicurezza nell'attività di ordine pubblico, abbiamo cercato di avanzare.
Vorrei aggiungere che in alcuni tratti ho riscontrato persino delle ingenuità, mi permetta l'espressione. Mi sembra infatti che manchi la comprensione sino in fondo di come in una società mediatica, al di là di alcune parole e frasi, l'immagine travolga anche la più leziosa delle espressioni formali.
Siamo stati destinatari di una documentazione fatta di filmati ed immagini che è molto più potentemente espressiva di tante convinzioni ed espressioni formali che sono state riportate. Quelle immagini gireranno il mondo, signor presidente!
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Gireranno nel nostro paese e sedurranno, molto più di quanto possiamo scrivere, le intenzioni dei giovani e le convinzioni delle nostre forze dell'ordine. Per questa ragione, probabilmente si sarebbe dovuto fare un po' di più anche in questa direzione.
Vorrei infine rivolgere una critica a noi stessi: parte del tempo del nostro lavoro lo abbiamo dedicato ad una sterile polemica sulle responsabilità del Governo. Ciò non perché non vi fossero responsabilità del Governo o di singoli ministri, bensì nel tentativo di creare un formale scaricabarile su chi è stato responsabile del G8. Questa cosa mi ha colpito. Infatti, avendo fatto un'esperienza di Governo, ho imparato che, quando si ha una responsabilità, nella Repubblica italiana si risponde di tutto ciò che è accaduto dai tempi di Cavour, senza distinguere tra ciò che è stato fatto dal Governo precedente e ciò che ha fatto quello successivo.
In tal senso, l'indirizzo che è stato dato - è colpa del Governo Amato - rappresenta una semplicistica ed unilaterale, nonché assolutamente infondata (come siamo abbondantemente in grado di dimostrare sulla base dei documenti) visione degli avvenimenti. È questo che vedo «trasudare» in una frase del suo documento, addirittura nelle conclusioni. Non è modo, non è stile, signor presidente! Non è modo, non è stile per chi ha responsabilità di governo. Infatti, chi ha responsabilità di governo dovrebbe assumere, come ha fatto con grandezza d'animo il Presidente Bush in questi giorni, su di sé ogni responsabilità e non certo affermare che è stata colpa di Clinton se qualcosa non ha funzionato nell'apparato informativo del suo paese.
Siamo tutti americani davanti alle grandi tragedie e ai grandi eventi! Questo avrebbe dovuto insegnare: cultura di
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governo, senso dello Stato e volontà di interpretare davvero lo spirito di difesa delle istituzioni che talvolta abbiamo ritrovato in alcune espressioni, anche stamattina.
Ma anche stamani è riecheggiata una criminalizzazione generalizzata delle forze dell'ordine. Affermo questo perché uno degli elementi da noi riscontrati in questi eventi, e che merita un approfondimento per il senso delle istituzioni e per la difesa delle forze dell'ordine, è il tentativo strumentale di separare il legame fra le istituzioni e le forze dell'ordine, tra la rappresentanza di tutto il paese ed una parte politica. Questo è sbagliato! Questo è sbagliato!
Quando abbiamo fatto presente che non ci si reca in un comando provinciale dell'Arma dei Carabinieri mentre vi sono delle operazioni in corso, non l'abbiamo detto perché volevamo fare una polemica politica, bensì perché intendevamo difendere il ruolo del ministro dell'interno, il quale ha una responsabilità esclusiva dinanzi al Parlamento e dinanzi al paese.
Questo abbiamo voluto dire, non altro, al di là delle risibili considerazioni che sono state fatte intorno alla possibilità o meno di allontanarsi da quel luogo (circostanza che, evidentemente, quando ci si recava in questura non ricorreva mai). Su questa sensibilità istituzionale, su tale sensibilità politica, su come essa abbia potuto incidere su un governo efficace ed effettivo delle forze dell'ordine, su questo aspetto volevamo richiamare l'attenzione.
Allo stesso modo, abbiamo cercato di richiamare l'attenzione sulla circostanza che alcune norme sul coordinamento informativo ed operativo non sono state applicate; si tratta di norme che sono poste a presidio dei doveri di collaborazione istituzionale e di coordinamento fra le forze di polizia, non finalizzate a che le forze di polizia vadano d'accordo fra di
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loro, bensì a garantire la sicurezza dei cittadini e dello Stato. L'obiettivo non è regolamentare i rapporti; l'obiettivo è dare sicurezza al paese: è un obiettivo diverso.
Vi sono norme (quelle della legge n. 121, le norme del «pacchetto sicurezza») vigenti nel nostro ordinamento. Vi è il CED del Ministero dell'interno con la sua capacità di essere il collettore informativo. Ma alcuni soggetti questo bagaglio di informazioni dovute non lo hanno riversato nei confronti nei confronti di chi era tenuto a riceverle. Quale attività preventiva poteva svolgersi se le norme non venivano osservate? Voler recuperare la centralità della responsabilità del funzionario di pubblica sicurezza nell'attività di ordine pubblico in piazza non è soltanto una norma che dobbiamo far rispettare, ma è un presidio democratico, è una responsabilità istituzionale che dobbiamo difendere, perché a causa della confusione dei ruoli si generano situazioni di incertezza. Non vogliamo accusare questo o quello, ma vogliamo che, attraverso l'analisi del Parlamento, quelle funzioni e le nostre forze dell'ordine, escano rafforzate nella capacità di rendere un servizio efficace nei confronti del nostro paese; in tal modo guadagneranno in dignità, e ne ricaverà un beneficio il nostro paese.
La mancanza di concretezza della funzione di comando del funzionario di pubblica sicurezza è emersa in una assoluta e clamorosa espressione nelle parole di un giovane funzionario di polizia. Non fare tesoro di questo e non comprendere come alcuni eventi accadono e si radicano non solo in responsabilità amministrative o giudiziarie ma anche in responsabilità politiche sarebbe un errore grave. Sarebbe un errore grave, perché le responsabilità individuali che appartengono alla sfera della giurisdizione o a quella amministrativa in termini disciplinari non sono in grado di evitare che questi fatti si ripetano. Se noi riprodurremo le stesse condizioni, nella prossima occasione,
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essi accadranno ancora. Ciò non vuol dire essere una Cassandra o profetizzare una sciagura, né certamente è mia intenzione volerla evocare perché essa accada; vorrei, invece, che, attraverso una storia profetica, fossimo capaci di leggere nella storia quegli elementi che ci aiutino a vincere queste situazioni e a cambiarle radicalmente. Io sono per la storia profetica, non per le profezie che si autoavverano; non sono qui a dire ciò perché accadano, ma sono qui a dirlo perché dalla storia si tragga una lezione, così come una lezione mancata (come coniugare i diritti di libertà di manifestazione del proprio pensiero con il diritto - altrettanto di libertà - dei cittadini ad essere sicuri).
Noi non abbiamo contestato al ministro Scajola e al ministro Ruggiero il dialogo: ci mancherebbe! Noi non abbiamo mai pensato di contestare una pratica che riteniamo persino ovvia, che si è sempre realizzata in tutti i regimi democratici, sempre! Sempre le nostre forze di polizia hanno dialogato con i manifestanti per trovare le modalità con cui rendere compatibili questi diritti di libertà dei cittadini. Quello che abbiamo contestato è che da tale dialogo non si siano ricavate le conseguenze in termini di gestione operativa dei fatti, tanto da impedire che quegli eventi si verificassero, che è una cosa ben diversa. Abbiamo detto che abolire la zona gialla in quei modi è stato un gesto - diciamo - non prudente, che consentire le manifestazioni senza tenere conto e senza approntare le misure per isolare in concreto quelle manifestazioni di violenza ampiamente previste è stato un errore. Abbiamo detto ciò, non altro. A nessuno di noi è venuto in mente di dire che il dialogo non avrebbe dovuto esserci o, peggio, che sia stato un dialogo sbagliato; tutt'altro, abbiamo detto che il dialogo era giusto, ma che le conseguenze che ne
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sono state tratte non erano adatte a creare le condizioni di sicurezza dei cittadini genovesi e di tutela della città di Genova. Questo abbiamo detto.
Signor Presidente, in conclusione, prendere atto di questa proposta non gioverà a nessuno, perché questa proposta, al di là delle cose che hanno detto i colleghi in merito ad una non corretta lettura dei fatti, non ci aiuterà. Non aiuterà noi, non aiuterà il nostro paese, non aiuterà i nostri giovani e non aiuterà nemmeno le forze di polizia. In definitiva, quello che desideravamo era realizzare un intento alto, un intento nobile: cercare di dare un contributo al futuro del nostro paese attraverso la più alta delle funzioni politiche, quella consistente nel vedere lontano. Riteniamo che questa proposta non guardi lontano, anzi, temiamo che non guardi da nessuna parte. Pertanto, non possiamo aderire a questo schema di documento conclusivo e cercheremo di lasciare comunque, come Sonnino e Franchetti, una testimonianza al nostro paese che possa essere domani utile per i giovani.
GRAZIELLA MASCIA. Signor presidente, anche io la ringrazio sinceramente per il lavoro svolto e per l'equilibrio che ha caratterizzato il suo ruolo. Ringrazio anche le funzionarie e i funzionari che ci hanno assistito con grande pazienza. Anch'io non mi soffermerò sulla prima parte della relazione, anche se avrei delle cose da dire. I tempi a mia disposizione, però, mi costringono a porre l'accento sulle questioni che considero più rilevanti, al fine di segnalare la non condivisione da parte mia dello schema di documento conclusivo. Si dice - e si dice giustamente - che si è difesa la zona rossa e che la riuscita del vertice c'è stata; il vertice ha svolto i propri lavori, ma non è stato tutelato il diritto a manifestare di tutti i partecipanti. A mio avviso, le considerazioni finali che
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motivano quanto è avvenuto a Genova, non solo non sono condivisibili, ma non corrispondono ai fatti concreti che si possono leggere, invece, nella ricostruzione fornitaci dalle testimonianze, dai filmati e persino dalla messa a confronto di questi con le relazioni di servizio di diversi dirigenti di pubblica sicurezza e dai comunicati radio. Ho svolto tutto questo lavoro anche perché avevo bisogno, forse più di altri, di comprendere se i gravi fatti a cui noi abbiamo assistito a Genova avessero una causa, una ragione; comunque, questa ragione doveva essere compresa fino in fondo.
Ritengo che non sia condivisibile il giudizio contenuto nel documento sul Genoa social forum, ovvero che esso non sia rappresentativo della realtà e dell'articolazione di questo movimento; non solo non si comprende cosa sia questo movimento, ma si scaricano su di esso delle responsabilità - a mio avviso - assolutamente inaccettabili. Non condivido neanche quanto si cerca di cogliere nel documento (ma anche in tante dichiarazioni che qui ho sentito) rispetto all'incapacità o all'impossibilità delle forze dell'ordine di isolare i violenti e di consentire il diritto a manifestare. Io credo che non siamo di fronte solo ad eccessi individuali di una parte delle forze delle polizie, che hanno commesso degli errori, e che non siamo solo di fronte, seppure vi è stata, ad una carenza, anzi ad una inadeguatezza assoluta del coordinamento tra le forze dell'ordine.
Peraltro, ritengo che questa inadeguatezza di coordinamento sia anche la conseguenza della riforma dell'Arma dei carabinieri, che ha riportato indietro un processo che fino a quel punto, invece, si era cercato di far avanzare. Credo invece, e non dico assolutamente questo per criminalizzare le forze dell'ordine, che, se si vuole ristabilire - almeno per quelle migliaia di persone o di ragazzi che erano là - un rapporto
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di fiducia con le forze dell'ordine, si debba cogliere fino in fondo quanto è avvenuto, ricostruire i fatti e ristabilire le cause vere. La mia critica non è rivolta solo agli accessi individuali, che sicuramente ci sono stati, ma alla gestione dell'ordine pubblico a Genova. E lo dimostrano, ripeto, i filmati, le testimonianze e persino la ricostruzione di quanto è avvenuto sui fatti più gravi.
Ciò che ha caratterizzato tutte le situazioni di Genova, dalle piazze tematiche ai cortei, non è stato solo il fatto che i violenti, o i cosiddetti black bloc, non venissero isolati, ma che essi siano stati il pretesto per caricare i manifestanti pacifici. Questo è il punto fondamentale, e si può ricostruire persino con gli orari ed incrociando le testimonianze. Quando questo avviene in piazza Manin, in piazza Dante, in piazza Da Novi, in tutte le piazze, dove c'erano i cristiani, dove c'erano i pacifisti, dovunque, allora bisogna cercare una spiegazione. E tale spiegazione non può essere semplicemente che, da una parte o dall'altra, c'è qualcuno che eccede nella repressione. Lì c'è stato molto di più. E questo molto di più si é visto in particolare nella vicenda di piazza Tolemaide. Io ho insistito dal primo giorno su questo, perché lì è morto un ragazzo ed io ho apprezzato, da questo punto di vista, quanto ha detto il ministro dell'interno circa l'indagine amministrativa da lui disposta; sono ancora convinta, infatti, che se le cose non fossero andate in quella maniera dall'inizio, l'escalation della giornata sarebbe stata, forse, diversa.
A questo proposito, sottolineo che partecipando al Comitato d'indagine ho potuto almeno capire come è avvenuta la prima carica. Noi non lo sapevamo all'inizio. Non è stato il dirigente Gaggiano titolare di quella posizione, ma è stato un altro dirigente che arrivava da tutt'altra parte ed inseguiva i black bloc: egli ha interrotto l'inseguimento, ha caricato, poi, però,
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tutti hanno caricato e le cariche sono andate avanti sino a sera, inseguendo il corteo che cercava di ritirarsi, con migliaia di ragazzi, fino al Carlini. E lì è intervenuto il battaglione Tuscania, lì è intervenuto il dottor Donnini, lì è intervenuto il nucleo sperimentale; sono intervenuti tutti e le cariche sono state continue e lì, ripeto, si è verificato un evento che è il più grave di tutti: la morte di un ragazzo. Ma c'è stata anche la carica continua sui ragazzi inermi e le violenze specifiche che, purtroppo, sono riscontrabili anche in nei filmati.
Ritengo che la ricostruzione sia necessaria proprio per cercare di dare una risposta circa il motivo per cui l'ordine pubblico è stato gestito in quella maniera.
Devo dire che non ho apprezzato neanche la parte relativa alla ricostruzione della morte di Carlo Giuliani. Io mi sarei astenuta su questo punto, evitando di entrare nei dettagli; tra l'altro, i dettagli posti in questo documento non descrivono neanche tutto quello che si vede dai filmati ma solo una parte. Allora, se si vuol fare una ricostruzione precisa, almeno bisognerebbe dire tutto; comunque, nel documento si affrontano già questioni che mi pare non siano chiare neanche alla magistratura che sta ancora indagando. Io mi sarei astenuta. E, infatti, il mio atteggiamento non a caso anche in questa vicenda è stato quello di tentare di ricostruire le dinamiche precedenti, astenendomi dall'esprimere qualcosa di più compiuto sulla ricostruzione di un fatto specifico così delicato, anche perché, se dobbiamo approfondire la vicenda, persino dai filmati è visibile tutto ciò che non ha funzionato, anche in termini di comunicazione fra le forze dell'ordine. Dunque, i dettagli sarebbero anche altri.
Ma vorrei arrivare anche a parlare brevemente dei fatti verificatisi alla scuola Diaz ed a Bolzaneto, perché anche in questo caso non sono d'accordo. Io credo non soltanto che non
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sia stata legittima la perquisizione alla scuola Diaz ma anche che questo sia stato uno degli episodi più inquietanti delle giornate di Genova. Non abbiamo avuto modo di appurare tutte le responsabilità e le dinamiche dell'operazione, ma i silenzi, le contraddizioni ed i risultati inconsistenti dell'operazione di polizia giudiziaria aggravano gli interrogativi supportati anche dalle voci che già nel pomeriggio si susseguivano, annunciando l'operazione stessa in una sede del GSF. Rimane il dubbio, secondo me, circa la possibilità che qualcuno abbia voluto cogliere o determinare un'occasione per stabilire una sorta di connivenza tra GSF e black bloc. Il bilancio di questa giornata, infatti, sono 93 persone arrestate: per 80 di esse l'arresto è risultato illegittimo; in 12 casi l'arresto è stato convalidato solo formalmente e le persone sono state scarcerate perché non vi erano indizi di colpevolezza; in un solo caso è stata adottata una misura cautelare. Rimangono invece 62 feriti, anche gravemente, la distruzione di attrezzature e computer, l'indebita sottrazione di documenti e video cassette. Questi sono i dati della vicenda Diaz; non possono essere quelli i giudizi espressi nel documento.
Anche su Bolzaneto credo che le questioni siano tre. Da una parte, abbiamo avuto violenze specifiche sui fermati, circa le quali la magistratura sta indagando, da un'altra parte, però, abbiamo accertato, anche qui, che moltissime persone sono state costrette a stare con gambe larghe, mani alzate, anche con le braccia rotte: ho letto tutti i verbali mandati dalla magistratura di Genova, le dichiarazioni dei fermati che sono passati di lì, con la faccia rivolta al muro per diverse ore. Dunque, c'è un punto, anzi, c'è ne più di uno. Per cominciare, c'è il fatto che il provvedimento anticipato e collettivo per il differimento dei colloqui tra gli arrestati ed i difensori, adottato in Italia per la prima volta prescindendo dai requisiti
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del codice di procedura penale che prevede un provvedimento ad personam ed in presenza di determinate esigenze, ha impedito alle persone arrestate di incontrare e comunicare fin da subito con i propri avvocati ed ha, quindi, oggettivamente favorito il determinarsi di un clima in cui le eventuali violenze potevano essere commesse con maggiore libertà. E c'è il fatto che le strutture di Bolzaneto e Forte San Giuliano, aldilà delle tensioni con cui sono state istituite, si sono rivelate essere strutture mostruose. Avremmo voluto sentire dal ministro della giustizia che simili esperienze non si debbono più ripetere.
Allora qual è la mia opinione sui fatti di Genova? Prendo in considerazione anche valutazioni che condivido rispetto ai fatti avvenuti, e che ho sentito qui dai colleghi del centrosinistra, tuttavia considero insufficienti le risposte che essi si sono dati e che rimandano tutto, così mi pare di capire, alla gestione del momento e, comunque, a cose che non hanno funzionato nel coordinamento delle forze dell'ordine. Io penso che quanto avvenuto a Genova sia anche il frutto, invece, di un nuovo sistema di ordine pubblico che si chiama globalizzazione o, se vogliamo, si chiama polizia internazionale. Non ho bisogno di richiamare qui gli ingenti investimenti in termini di risorse economiche ed organizzative che hanno preparato il vertice: é tutto scritto nella relazione. Sono chiare le riunioni tra servizi, la polizia a livello internazionale, le collaborazioni tra paesi del G8 e non solo per esaminare i filmati, le carte, le informazioni circa il movimento antiglobalizzazione da Seattle a Göteborg. Diversi esponenti delle forze dell'ordine hanno qui confermato una sorta di continuità tra Napoli e Genova, almeno in parte riscontrabile dalle denunce svolte nelle interrogazioni di Rifondazione comunista in Parlamento, nonché da un libro bianco che raccoglie testimonianze di un
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comportamento delle forze dell'ordine che, al di là di eccessi individuali - se così si possono chiamare -, già allora segnava discontinuità rispetto al sistema di ordine pubblico che abbiamo conosciuto in questi decenni.
Molti di noi ricordano come negli anni settanta ogni giorno ci fosse una contestazione di piazza e come diverse giornate fossero caratterizzate da scontri tra manifestanti e forze dell'ordine. Ho in mente forze dell'ordine che agivano sempre nella logica della riduzione del danno: garantire l'ordine pubblico, reprimere anche le espressioni di violenza, ma sempre sul terreno della difesa, mai su un terreno offensivo, quasi. Gli strumenti che si utilizzavano, anche cariche e lacrimogeni, erano gli ultimi strumenti cui si ricorreva; l'efficienza, l'autorevolezza, la professionalità garantivano interventi di contenimento. Non ho mai assistito ad inseguimenti dei manifestanti, non ricordo che un corteo che si ritirava venisse caricato comunque, tanto meno è mai successo che venisse caricata ripetutamente e spezzettata una manifestazione di popolo di 300 mila persone. Genova segna una discontinuità nel sistema di ordine pubblico che abbiamo conosciuto e, contemporaneamente, un salto di qualità rispetto a Seattle, Praga, Nizza e così via; lo testimoniano i fatti e le innovazioni sul piano delle dotazioni, dei mezzi e degli equipaggiamenti. I responsabili delle forze dell'ordine che qui abbiamo ascoltato, circa gli addestramenti, hanno testimoniato di aver disposto direttive intese a diversificare le repressioni di piazza a seconda delle caratteristiche dei manifestanti: quelle differenze non si sono viste. Il dottor Donnini, a questo proposito, nel sottolineare la riorganizzazione dei reparti mobili, ed in particolare la formazione del nucleo sperimentale, ha riferito di una selezione psicologica nonché della capacità di uso dei nuovi strumenti di piazza. Il bilancio che
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registriamo è di oltre seimila lacrimogeni utilizzati in due giorni: è un record assoluto. Le immagini dei filmati ed i referti medici confermano, tra l'altro, un uso improprio dei manganelli, sia quelli classici sia i nuovi tonfa; le ferite sui manifestanti segnalano tutte anche lacerazioni e tagli.
Il dottor Donnini, nel rispondere ad una mia domanda, aveva assicurato che non s'era verificato mai di simulare prove di piazza in cui dalla parte dei manifestanti comparissero bandiere rosse. Ho consultato il manuale relativo ai concetti tecnico-tattici di impiego delle unità organiche a vario livello nei servizi di ordine pubblico: nelle foto relative alle simulazioni compaiono manifestanti con il fazzoletto rosso al collo e striscioni con scritte del movimento antiglobalizzazione. Ma non basta.
Ho esaminato accuratamente le ordinanze del questore di Genova, ordinanze - come è ovvio - discusse con i massimi responsabili delle forze dell'ordine a livello nazionale. Vorrei sottolineare tre cose. L'ordinanza del 12 luglio viene costruita sulla base delle informative dei servizi contenute nei 300 fascicoli che abbiamo potuto leggere: non si tratta soltanto di ricostruzioni delle caratteristiche dei movimenti antiglobalizzazione e dei vari blocchi emersi a livello internazionale, si tratta di tutte le informative allarmistiche, già comparse sulla stampa prima delle giornate di Genova, che parlavano di palloncini con sangue infetto e cose del genere e la cui attendibilità è stata smentita qui dal dottor La Barbera. Si riscontra una differenza sostanziale tra la meticolosa ed accurata organizzazione e disposizione delle forze dell'ordine prevista e descritta nell'ordinanza e quanto effettivamente è avvenuto a Genova: la necessità di cambiare in corso d'opera tali disposizioni, determinando contingenti più numerosi e quindi meno flessibili, sarebbe stata, secondo lo stesso questore,
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la ragione per cui le forze dell'ordine non sono state in grado di isolare e colpire solo le frange più violente che agivano con metodi di guerriglia. Tale necessità è stata argomentata con un'altra informativa dei servizi circa il rischio che qualche poliziotto potesse essere preso in ostaggio, pericolo anche questo non confermato dal responsabile dell'Ucigos.
L'ordinanza del 19 luglio, quella che introduce le modifiche per il 20 sulla base delle manifestazioni autorizzate, nella disposizione dei reparti sottolinea in ben due capitoli la possibilità di sfondamento della zona rossa, nonostante gli impegni in senso contrario assunti formalmente da parte del Genova social forum nei diversi incontri.
Il capo della polizia, il questore Colucci, il colonnello dei carabinieri Tesser hanno detto o scritto che la manifestazione di via Tolemaide non era autorizzata: come si è dimostrato non era così!
Allora, se queste erano le attese, con quale stato d'animo sono andati a Genova i 6 mila 800 uomini che hanno lavorato per le forze dell'ordine fuori dalla zona rossa? Va evidenziato, altresì, che, per la prima volta dalla fine della guerra, a Genova sono stati impiegati per l'ordine pubblico reparti attinenti alle forze armate, come i paracadutisti del Tuscania. Ancora, è stato qui sostenuto che gli obiettivi da perseguire erano tre: la difesa della zona rossa, la tutela dei cittadini e il diritto a manifestare; tuttavia, quest'ultimo obiettivo non l'abbiamo visto realizzare, non solo perché la situazione era, forse, più difficile del previsto, e tantomeno perché si sarebbero determinate complicità e connivenze tra manifestazioni pacifiche e violenti.
La tutela dei manifestanti non è stata concretamente organizzata attraverso lo schieramento di piazza: non si era
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mai vista una manifestazione di 300 mila persone senza il cordone di polizia che aprisse il corteo. Quest'ultimo, nonostante le considerazioni del questore che l'ha definito un'invasione, riesce a sfilare fino a piazza Kennedy, poi il 21 luglio viene spezzettato e ripetutamente caricato. Chi di noi (me compreso) ad un certo punto del pomeriggio ha chiesto al questore di togliere la polizia, domandava di toglierla alle spalle perché erano ormai ore che i manifestanti pacifici venivano inseguiti dalle cariche, sempre con il pretesto dei black bloc che li tallonavano.
Voglio aggiungere e sottolineare un'ultima questione, che spero il ministro Scajola consideri. Il ministro dell'interno, nel corso dell'incontro del 28 giugno con il rappresentante del Genoa social forum, sulla base della richiesta, dopo i fatti di Göteborg, di non armare in piazza gli agenti, aveva assicurato: «Finché sarò io ministro, nelle piazze italiane non si sparerà». La tragica morte di Carlo Giuliani l'ha purtroppo smentito. Inoltre, alle relazioni di servizio dei carabinieri risulta che, oltre alle pallottole che hanno ucciso il giovane Giuliani, i soli carabinieri hanno sparato in aria 15 colpi, e a questi vanno aggiunti almeno quelli di un agente di pubblica sicurezza, come risulta dalle relazioni e dall'ispettore Cernetig circa i comportamenti di piazza ritenuti censurabili.
Nel 1990 venne emanata una circolare dall'allora capo della polizia Parisi che, nel corso di manifestazioni di ordine pubblico, disponeva il divieto di sparare colpi di arma da fuoco, neppure a scopo di intimidazione. Allora vorrei provare a trarre due suggerimenti e lascerei alla disponibilità del presidente, e al suo eventuale interesse, la decisione di utilizzarli o meno; sono indicazioni che credo potrebbero essere utilizzate come conclusioni di questo lavoro e come suggerimenti da fornire al Parlamento: ritengo che si dovrebbero
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svolgere una verifica degli effetti della riforma dell'Arma dei carabinieri prima citata, perché il coordinamento è stato assolutamente inadeguato, e una discussione approfondita nel Parlamento circa il sistema di ordine pubblico che si vuole realizzare nel nostro paese.
Sarebbe grave se le sostanziali innovazioni cui stiamo assistendo fossero delegate a sedi internazionali o alle forze dell'ordine, in una sorta di processo di autonomizzazione delle stesse. Le nuove strategie vanno riportate e discusse in Parlamento e con i sindacati di polizia: nessun esperimento di nuovi manganelli o pallottole di gomma sia realizzato senza che se ne discuta con il Parlamento o il sindacato di polizia. L'uso improprio del manganello è già stato citato, la pericolosità delle pallottole di gomma è insita persino nell'incentivo, che indirettamente ne deriva, dell'uso delle armi.
Chiederei, inoltre, che venisse abolito il termine «antisommossa» - che crea un equivoco assolutamente inopportuno perché in Italia non ci sono sommosse ma, forse, solo problemi di ordine pubblico - e formulerei una sollecitazione e una raccomandazione affinché le garanzie di uno Stato democratico, che sono le stesse istituzioni e l'informazione, vengano sempre e comunque salvaguardate. Le testimonianze della federazione della stampa e dei parlamentari presenti a Genova ci dicono che lì determinate prerogative sono venute meno.
Infine - spero che questo possa essere almeno un suggerimento condiviso unanimemente - vorrei che si proponesse al Governo un provvedimento, perché solo di questo c'è bisogno, finalizzato al riconoscimento personale del singolo operatore delle forze dell'ordine: un numero identificativo posto sulla divisa, sul casco, nella parte anteriore e posteriore, nonché sui manganelli in dotazione.
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PRESIDENTE. Considerato che sono quasi le 13,40, credo che alle 14 possiamo sospendere i lavori.
MARCO BOATO. Presidente, capisco che lei lo faccia per senso di umanità, ma credo che sarebbe opportuno evitare sospensioni della seduta.
PRESIDENTE. Sta bene. Dato che molti desiderano intervenire, lo dicevo per organizzare al meglio i lavori e perché mi sembrava opportuno. Tuttavia, raccolgo l'invito a continuare sino alla fine.
ANDREA PASTORE. Intervengo per due notazioni di servizio; non vorrei che questo mio intervento apparisse uno strappo alla disciplina di gruppo, dato che era concordato che sarebbe intervenuto un solo rappresentante del mio gruppo e l'onorevole Cicchitto l'ha fatto in maniera egregia. Delle notazioni di servizio, che riguardano entrambe le considerazioni conclusive, la prima riguarda un accenno - che ritengo opportuno, se non doveroso -, laddove si dà atto al Governo Berlusconi di aver aperto il G8 verso i paesi poveri, anche agli interventi in tal senso del Presidente della Repubblica Ciampi, che su questo tema ha concordato, invitato e sollecitato il Governo a questo tipo di scelta politica, confermando sia la sua sensibilità politica sia quella del nostro esecutivo.
La seconda questione concerne probabilmente un'omissione significativa, sempre nella parte delle considerazioni conclusive, laddove si indicano gli obiettivi raggiunti dall'organizzazione del vertice; qui si parla dell'aspetto logistico-amministrativo, della tutela dell'ordine pubblico, ma non si fa riferimento - probabilmente si tratta di una mancanza - alla sicurezza del vertice stesso.
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Tutto ciò è importante prima di tutto per la completezza, poi perché ritengo che, da un punto di vista di valutazione politica dei fatti - sarò brevissimo per non debordare dal mio scopo, cioè due semplici notazioni di servizio - tutto quello che è avvenuto a Genova va visto sotto il profilo della sicurezza. Credo che gli avvenimenti di questi giorni ci confermino l'importanza di questo dato, che nell'indagine è stato in qualche modo messo ai margini, perché non è stato oggetto, per fortuna, di episodi clamorosi, in quanto tutto ha funzionato nel migliore dei modi (Commenti del deputato Boato).
Tuttavia, ritengo che anche i fatti singoli, le valutazioni sugli episodi che sono stati oggetto di critiche da parte dei colleghi, forse potrebbero essere rivisti o comunque attenuati sotto il profilo critico se si guardasse tutta la questione del G8 dal punto di vista della sicurezza che, ripeto, gli avvenimenti di questi giorni ci confermano essere un profilo assolutamente prevalente. Su questo piano mi sembra che l'organizzazione del vertice abbia funzionato in maniera assolutamente egregia e con un livello di totale soddisfacimento per tutti.
PRESIDENTE. Per quanto riguarda la sicurezza, credo si tratti proprio di un refuso. Per quanto concerne la Presidenza della Repubblica, valuterò al riguardo, ma ritengo che l'aggiunta possa essere inserita come indicazione.
ANTONIO DEL PENNINO. Debbo rinnovarle, come altri colleghi, il ringraziamento per il lavoro da lei svolto nella direzione dell'attività del nostro Comitato e nello sforzo di cercare di sintetizzare i risultati dei nostri lavori stante la difficoltà di giungere a conclusioni univoche e obiettive in una materia come questa, anche al termine di udienze conoscitive
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e dell'esame di documenti che hanno evidenziato forti contraddizioni nelle dichiarazioni e nelle valutazioni di coloro che sono stati i protagonisti di questi avvenimenti. Certamente, con riferimento alle conclusioni cui lei è pervenuto nel dibattito in seno al Comitato e nel documento finale, alcuni aspetti potranno essere meglio puntualizzati, al fine di fornire per il futuro indicazioni che possano essere di aiuto all'attività del Governo e di quanti sono preposti alle forze dell'ordine.
Credo, però, che debbano essere svolte alcune considerazioni di carattere generale. Innanzitutto, mi sembra che dai lavori del Comitato sia emerso con chiarezza un dato: nel fronte del rifiuto del G8 e dei movimenti antiglobalizzatori va mantenuta una precisa distinzione fra le diverse componenti. Come già hanno detto anche altri colleghi, credo che se ne possano individuare almeno tre: la cosiddetta componente pacifica, la componente dei black bloc, cioè della violenza, che era estranea al GSF, ed un'ampia zona grigia che, pur distinguendosi dai black bloc, talvolta essendo presente (basti pensare a Ya basta!) e talvolta essendo solo confinante con il GSF, ha certamente giocato un ruolo di tensione e ha dato vita a episodi di violenza nelle vicende di Genova.
Inoltre, dobbiamo ricordare come nei comportamenti (per molti versi encomiabili) delle forze dell'ordine, di cui si deve riconoscere lo spirito di sacrificio, siano mancati non solo il coordinamento, ma anche un'adeguata preparazione per fronteggiare fenomeni così difficili e complessi come quelli di fronte ai quali si sono trovate a Genova.
Come ha sottolineato lo stesso ministro Scajola, credo che si debba fornire un'indicazione: la necessità di fornire alle nostre forze dell'ordine una diversa e migliore preparazione per fronteggiare tali situazioni. Infatti, oltre alla mancanza di
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coordinamento, abbiamo assistito, in alcuni casi, anche alla mancanza di capacità di direzione di alcuni funzionari preposti alle manifestazioni stesse.
Credo, comunque, che tutti noi possiamo riconoscerci nelle ultime espressioni della sua relazione in cui si afferma che il Comitato, a conclusione dell'indagine, ribadisce che la violenza non è e non deve essere strumento di azione politica e ribadisce che il rispetto della persona, anche, forse e soprattutto quando è privata della libertà, perché in arresto, nonché la necessaria tutela dei cittadini rimangono il punto centrale di ogni azione di difesa dell'ordine pubblico; dopodiché rinvia alla magistratura, come doveroso, gli accertamenti degli abusi, che certamente vi sono stati, ma la cui dimensione dovrà essere accertata da un organo a ciò deputato, non essendo questo un compito specifico del nostro Comitato.
GIANCLAUDIO BRESSA. Signor presidente, desidero associarmi in maniera convinta ai ringraziamenti rivolti a lei per la qualità della conduzione dei nostri lavori e per l'intelligenza e l'equilibrio con cui ha saputo assolvere ad un compito molto delicato.
Credo che si debba rivolgere un ringraziamento altrettanto sincero a tutti coloro che hanno collaborato con lei, alle strutture e agli uffici di Camera e Senato.
Tuttavia, con altrettanta sincerità e franchezza non posso nascondere la delusione e in un certo qual modo l'imbarazzo, con cui ho preso atto della relazione conclusiva dei lavori.
La delusione è dovuta al fatto che questo documento è arretrato sul piano culturale e sul piano della ricostruzione dei fatti, anche rispetto alle cose che abbiamo ascoltato dai ministri Scajola e Ruggiero. È arretrato sul piano culturale perché il ministro Scajola ha fatto un'affermazione che ritengo
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importantissima - soprattutto alla luce di quanto sta accadendo in questi giorni nel mondo - secondo la quale la questione della sicurezza è un patrimonio comune alla democrazia di un paese e non può essere strumentalmente utilizzata per fini di parte.
Credo sia giusto ricordare (ma mi pare di capire che alcuni colleghi abbiano ascoltato con troppa distrazione) le cose importanti che il ministro Ruggiero ha affermato innanzi a questo Comitato. Egli ha ricordato il suo imbarazzo e la sua incomprensione a Göteborg, quando all'interno del Palazzo si discuteva di alcune cose fondamentali e fuori da esso si contestava quella riunione ponendo domande che in qualche modo erano in linea con i temi messi in discussione. Credo che tale separazione fra i luoghi della decisione e i luoghi della manifestazione debba farci politicamente riflettere.
Il documento è arretrato dal punto di vista dei fatti perché non si comprende l'atteggiamento del ministro Scajola, il quale ha voluto assumere a nome del Governo alcuni atti amministrativi importanti: mi riferisco ai provvedimenti di sospensione riguardanti il vicecapo della polizia, il prefetto La Barbera e il questore di Genova. Per quanto concerne la ricostruzione dei fatti, il ministro ci ha detto di aver attivato alcune inchieste amministrative in merito ad alcuni eventi che in tale testo sembrano essere considerati normali. Non svolgiamo un buon lavoro senza una capacità di lettura delle cose che abbiamo ascoltato e - lo sottolineo - di quelle che abbiamo visto. Infatti, la parte più importante dei lavori del Comitato non è tanto ciò che abbiamo ascoltato, ma ciò che abbiamo visto. E ricordo che ciò che abbiamo visto è frutto non di ricostruzioni di parte, ma di immagini trasmesse in diretta da televisioni non sospettabili di nulla; non mi riferisco
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a ricostruzioni compiute da qualcuno, bensì alle immagini che la RAI, le televisioni locali e Mediaset hanno trasmesso in diretta per ore ed ore.
Questo documento finale non tiene conto di ciò che abbiamo visto, non solo di ciò che abbiamo ascoltato. Oltre ad un sentimento di delusione provo anche imbarazzo (fatto ancor più grave), perché mi sembra che abbiamo dimenticato quale compito ci siamo assunti; in quanto componenti del Comitato, non abbiamo solo responsabilità personali, ma anche istituzionali perché dobbiamo rispondere al Parlamento della ricostruzione dei fatti; oltre a una responsabilità verso il Parlamento, esiste anche una responsabilità del Parlamento italiano verso altre istituzioni che saranno chiamate ad indagare, conoscere, capire che cosa è successo a Genova. Mi riferisco, in primis, al Parlamento europeo, ma nessuno di noi può dimenticare - credo che dovremmo averlo capito - che anche la Corte di giustizia europea valuterà ciò che è avvenuto a Genova.
Davvero ci sentiamo sicuri di aver compiuto fino in fondo il nostro dovere, fornendo all'Assemblea (se esso vi arriverà) o ad altre istituzioni importanti quale il Parlamento europeo o la Corte di giustizia, un documento come quello che siamo chiamati oggi a valutare? Vorrei che riflettessimo anche su questo aspetto, che invece mi pare sia stato rimosso per certi versi, da alcuni di noi. Ciò è imbarazzante anche per un'altra ragione: questa mattina l'onorevole Cicchitto ha affermato che, paradossalmente, l'azione del Governo poteva essere contestata da destra. Direi che tale paradosso si è verificato proprio con la presentazione di questo documento, appesantito da alcune dichiarazioni che anche questa mattina abbiamo ascoltato onorevole Cicchitto e senatore Magnalbò, avete attaccato duramente da destra questo Governo, non siete stati capaci
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nemmeno di interpretare correttamente ciò che in maniera molto responsabile il ministro Scajola ed il ministro Ruggiero hanno riferito al Comitato! Questo documento finale è un attacco da destra a quanto il Governo ha riferito in questa sede: ciò è terribilmente grave. Sembra quasi che il Comitato, nell'assumere il documento finale, non voglia ricostruire i fatti avvenuti a Genova trovando una chiave di interpretazione, non utilizzabile per fini politici, di parte, dalla maggioranza o dall'opposizione: invece è decisivo che tali fatti vengano chiariti al paese, ai cittadini di questa nostra Repubblica. Pare invece che non si voglia - non mi permetterei mai di dire che non si sappia - ricostruire ciò che è accaduto e si rimanga, in qualche modo, prigionieri di schematismi che appartenevano ad una discussione che non ho difficoltà a giudicare improvvida, avvenuta prima dell'istituzione di questo Comitato. Il documento oggetto del nostro esame non aiuta a gettare luce sui fatti che sono avvenuti a Genova, sia dal punto di vista dell'ordine pubblico che da quello politico-culturale.
Davvero riteniamo che si possa liquidare tutta la vicenda che riguarda il Genoa social forum con le poche battute contenute nel documento finale?
Il Comitato è formato dai membri delle Commissioni affari costituzionali di Camera e Senato; almeno per una curiosità intellettuale ciascuno di noi dovrebbe essere al corrente che, da alcuni anni a questa parte, la dottrina sta discutendo dei cosiddetti diritti costituzionali di terza generazione: la pace, lo sviluppo, l'ambiente inteso nei termini della salute e della sua conservazione. La dottrina discute di ciò! A Genova le nuove generazioni hanno posto domande rispetto a questi temi che interpellano un'autorità istituzionale quale quella che rappresentiamo - le Commissioni affari costituzionali di Camera e Senato - e noi non sappiamo rispondere nulla? Non riusciamo
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a cogliere che a Genova si poneva una richiesta, una domanda, culturalmente fortissima, di garanzia dei nuovi diritti costituzionali. Davvero siamo così poveri di cultura e di spirito da risolvere il giudizio sul Genoa social forum con le battute così approssimative e così poco approfondite, quali quelle che il documento contiene?
Ho ricordato prima che il ministro Ruggiero ha reso una testimonianza importante alla Commissione, dicendoci che la prossima settimana l'Ecofin discuterà della Tobin tax. I ministri delle finanze dei paesi europei, sull'onda di ciò che è accaduto a Genova, si sono posti un problema che sembrava non essere scritto nell'agenda dei governi europei. Davvero facciamo finta di non accorgerci che Genova è stato anche questo? Non ci siamo accorti di molti aspetti, anche di ciò che Genova ha rappresentato positivamente. È passato sotto silenzio il fatto che il G8 abbia cominciato a dare risposte a grandi problemi del paese, perché si è trasformato in un problema di ordine pubblico, più che in un evento di politica internazionale. Abbiamo però il dovere di non cancellare ciò che è avvenuto e ciò che di importante abbiamo visto ed ascoltato, anche rispetto alla questione gravissima della gestione dell'ordine pubblico. Non vorrei ripetere le parole già pronunciate da altri colleghi, ma gli episodi avvenuti nella scuola Diaz, a Bolzaneto, a via Tolemaide, non possono essere ascritti alla responsabilità personale di qualcuno che ha perso la testa; essi sono fatti più complessi, più gravi. Davvero riteniamo che sia utile rimuovere completamente la conoscenza e l'approfondimento dei motivi per i quali si arriva a ciò? Davvero riteniamo che questo sia un buon lavoro, svolto a vantaggio di qualcuno? Oppure stiamo commettendo un peccato di omissione?
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Ripeto quello che ho già affermato con il mio intervento, con le domande rivolte al ministro Scajola e nella discussione svoltasi l'altro giorno: l'impressione che si ricava dalla lettura del documento finale è che si tenti di far passare il diritto a manifestare ed il diritto alla sicurezza pubblica come non contemplati in un ambito di diritti eguali e costituzionalmente garantiti, ma in una sorta di selezione tra chi è a favore della Polizia, in grado di garantire la sicurezza pubblica, e chi è a favore dei manifestanti, che non ha a cuore questi problemi. È un errore considerare in maniera antagonista due diritti costituzionali così importanti, così come è un atto di irresponsabilità politica, che non possiamo assumere e trasmettere al paese, dividerci tra chi si schiera con i tifosi della Polizia e chi con i tifosi dei manifestanti. Ciò che è avvenuto l'11 settembre produrrà una stagione di maggiore rigore della sicurezza pubblica - sottolineo il termine rigore e non severità, che credo sia indispensabile - che potrà avere successo non, onorevole Cicchitto, se il Governo saprà ricostruire un rapporto di fiducia con le forze dell'ordine, ma se il paese ed i cittadini sapranno costruire un senso civile di reciproca fiducia con le forze dell'ordine sul tema dei diritti fondamentali della persona, che non devono mai essere violati. Questo è in gioco, soprattutto dopo l'11 settembre: lo era anche prima, a maggior ragione lo è dopo quello che è accaduto.
Ci apprestiamo a consegnare un documento che, su questo tema, non consente di andare da nessuna parte, né di non ripetere quanto di grave e sbagliato è successo a Genova. È in atto un tentativo di interpretare i fatti di Genova come una sorta di notte in cui tutte le vacche sono nere, in cui non è possibile distinguere le responsabilità; si immagina che questo atteggiamento possa trasformarsi - dicendo che tutto si è
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svolto correttamente e che non sono stati rilevati fatti di qualche importanza - nel rafforzamento del rapporto fra le forze dell'ordine e con il paese. Non c'è niente di più sbagliato, perché dobbiamo avere la capacità di affermare che quelle giornate sono state terribili.
Credo che mai in Europa, da trent'anni a questa parte, si sia assistito ad un momento di tensione così forte, che ha prodotto un clima difficile da gestire. Non avere, però, la capacità di distinguere cosa c'è stato di buono e cosa di sbagliato, è un atto di irresponsabilità. Quel giorno c'erano 11 mila poliziotti ed oltre 200 mila manifestanti, ma il documento finale non è in grado di distinguere le responsabilità di alcune centinaia di poliziotti e di alcune migliaia di manifestanti, considerando alla stessa stregua e allo stesso modo sia gli 11 mila poliziotti sia i 200 mila manifestanti. È un atto profondamente sbagliato per la democrazia e per il Parlamento di questo paese.
ERMINIA MAZZONI. Anch'io mi unisco ai ringraziamenti alla presidenza ed agli uffici, che hanno svolto un lavoro eccellente essendo riusciti a coordinare una tale mole di lavoro in tempi rapidi, da veri professionisti.
Sicuramente, però, non aggiungo alcun ringraziamento a noi, componenti il Comitato; mi rammarico, infatti, che i lavori si concludono senza un documento unitario. Ho auspicato sin dall'inizio, nonostante il Comitato fosse stato istituito senza uno spirito «pacifico» (utilizzando un termine ormai abusato in questi giorni), che si arrivasse ad una conclusione unitaria; gli argomenti affrontati ed i presupposti della nascita del Comitato dovevano indurre tutti noi - rappresentanti istituzionali seri - alla redazione di un documento unitario su temi non di parte, che appartengono a tutti i cittadini e che
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incidono sulla ripresa del rapporto di fiducia con lo Stato, che è tale a prescindere dal particolarismo politico e dalla faziosità di parte. È un grosso rammarico che non posso non sottolineare in questa sede.
La sua relazione, signor presidente, favorisce una doppia riflessione, che riguarda la prima e la seconda parte - quella descrittiva e quella conclusiva - e che trova la sua unità nel raggiungimento degli obiettivi che il Comitato doveva perseguire e che ha raggiunto, rappresentati dalla ricostruzione oggettiva ed obiettiva dei fatti accaduti in quei tragici giorni, per una valutazione degli eventuali errori e delle carenze nelle fasi organizzative e gestionali degli eventi, e dalla focalizzazione degli strumenti da adottare per correggere tali mancanze, al fine di restituire la fiducia dei cittadini verso le istituzioni, non solo verso le forze dell'ordine.
Nella parte descrittiva, mi permetto di dire che mi sembra sia completamente realizzato lo sforzo, che traspare dalle pagine della prima parte dello schema, di procedere ad una ricostruzione logica, organica ed obiettiva dei fatti, accompagnati da una indicazione documentale dei lavori svolti dal Comitato e delle audizioni. Vi è una mole di episodi, che sono stati l'oggetto del lavoro di questi quattro giorni, che non era semplice mettere insieme in maniera organica; da tale attività emerge comunque la serenità di uno spirito teso a realizzare una ricostruzione obiettiva nell'interesse comune e non di parte.
Sulle conclusioni, pur condividendone pienamente la tesi, sottolineo invece che le espressioni terminologiche usate a volte contraddicono la sostanza. Sono contraria all'enfasi di alcune di esse - soprattutto nella parte iniziale delle conclusioni - mentre ne ritengo altre troppo «fredde» nell'analisi di
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fatti che dovevano essere schematizzati, segnalati e sottolineati in maniera più energica, sebbene il messaggio da trasmettere sia completo.
Intendo dire che il vertice ha raggiunto il suo obiettivo e, differentemente da altri, ha prodotto un documento conclusivo contenente determinazioni di politica internazionale importantissime e significative; esso ha avuto un principio ed una fine, nella garanzia della sicurezza delle delegazioni e di tutti coloro che vi hanno partecipato. Certo, però, non posso dire che sia pienamente riuscito, essendo accaduti fatti tragici che mi hanno spinto a non utilizzare espressioni di gioia in ordine alla sua riuscita.
Ho parlato di espressioni più « fredde» su elementi che abbiamo voluto rilevare ed evidenziare, ma che, forse, non abbiamo stigmatizzato. Dai lavori del Comitato sono emerse problematiche che abbiamo il compito di sottolineare per evitare gli stessi errori in occasione dei prossimi appuntamenti internazionali. Abbiamo evidenziato una carenza nel coordinamento delle forze dell'ordine che forse, però, avremmo dovuto esplicitare in modo più incisivo, chiarendo i suggerimenti del Comitato per il futuro. Abbiamo inoltre evidenziato che vi è stato un problema di tempistica nell'organizzazione, trascurata, tralasciata e avviata in tempi sbagliati (al di là, comunque, dei responsabili), ma lo avremmo dovuto schematizzare diversamente. La stessa cosa vale anche per le varie frange dei manifestanti perché, al di là della loro individuazione e riconduzione nell'ambito della sigla GSF, non tutte facevano parte di questa organizzazione fantomatica, che voglio definire così in quanto una parte del movimento la riconosce, ma un'altra no; i suoi portavoce sono accreditati da alcuni, da altri no.
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Sottolineo poi il punto fondamentale dell'interlocuzione (un dato che emerge ma che non viene puntualizzato) con i manifestanti, che volevano rappresentare un'idea diversa ed esercitare il diritto di manifestarla. Siamo andati avanti nei nostri lavori continuando a discutere della posizione politica di una parte e dell'altra, in ordine al diritto di manifestare; a mio avviso, non è questo il punto. Si è trascurato, invece, in una enfasi di rappresentatività e di apertura verso i manifestanti, l'elemento fondamentale che il diritto di manifestare è di tutti e che, se concesso indistintamente a tutti senza contemporaneamente tutelare il diritto alla sicurezza dei cittadini, è come se non fosse garantito a nessuno. In questa enfasi di rappresentatività e di faziosità politica, rilevo che non c'è stata in certi momenti alcuna considerazione per lo Stato in quanto tale nella sua continuità istituzionale, operando quindi illogicamente e senza obbiettività e creando, per di più, difficoltà organizzative.
Abbiamo il desiderio e l'intenzione di garantire il diritto di manifestare consentendo l'espressione di qualsiasi opinione, ma allora ciò non è avvenuto a causa di una disorganizzazione e di una superficialità nella regolamentazione dei rapporti con i vari soggetti e, alla fine, a causa di un'assenza di operatività gestionale per carenze organizzative pregresse.
Per restituire, quindi, la fiducia nelle istituzioni, non dobbiamo fare un processo contro i manifestanti o contro le forze dell'ordine (non l'avremmo dovuto fare e non lo dobbiamo fare adesso) dobbiamo solamente far capire ai tanti cittadini che chiedono una risposta, che manifestare vuol dire riuscire a rappresentare un pensiero con strumenti democratici. Chiunque utilizzi la violenza o formule comunque violente, anche se le definisce di disobbedienza civile, va contro il diritto di manifestare, mentre è quest'ultimo che bisogna
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tutelare. Dalle indagini svolte è emerso chiaramente questo dato: uno Stato non può dimenticare che, accanto ad un diritto fondamentale come quello di manifestare, esiste un diritto alla sicurezza. Le forze dell'ordine hanno garantito la tutela di quest'ultimo diritto sicurezza, ma senza dubbio c'è stato un accavallarsi di tutele dei diritti essenziali che ha impedito il pacifico svolgimento degli avvenimenti. Dal documento che offriamo al Parlamento devono enuclearsi alcuni input per l'attività legislativa futura e, sono contenta che lei lo rilievi alla fine, per un'attività giudiziaria sicuramente approfondita che porti all'individuazione dei responsabili.
Uno Stato democratico, quale è l'Italia, deve poter garantire l'esercizio legittimo dei propri poteri: giudiziario, legislativo, politico. Dalla relazione, anche se con toni distaccati, emerge questo elemento essenziale, che noi dovremo portare, ciascuno nella Camera di appartenenza, per una futura iniziativa da adottare in sede istituzionale.
PRESIDENTE. Ricordo alle colleghe Labate e Zanotti che hanno ancora dieci minuti in totale. Prima di dare la parola all'onorevole Boato, desidero fare una precisazione sulla base di quanto emerso dalle segnalazioni fatte dal senatore Bassanini. Nella mia relazione, a pagina 56, parlo di «circa 10 mila violenti»; il dato è stato tratto da una frase del ministro Scajola che parlava di «6, 7, 8, 9 mila...». Poiché su questo vi potrebbe essere una speculazione, intendo eliminare le parole «circa 10 mila» per riportare invece la frase del ministro Scajola che ho citato. Allo stesso modo, nella frase: «all'interno di un'area di manifestazione di oltre 100 mila persone», intendo elevare il numero a 200 mila, come indicato
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dal ministro Scajola e specificando il nome del ministro, e a 300 mila, come detto da Agnoletto, troverete queste correzioni a pagina 56.
Do ora la parola all'onorevole Boato.
MARCO BOATO. Signor Presidente, mi riconosco (lo dico anche per ragioni di sintesi), sia pure con le diverse sfumature che ciascuno pone nell'approccio a queste problematiche, negli interventi dei colleghi Turroni, Violante, Bassanini, Sinisi e Bressa; devo anche sottolineare come l'intervento del collega Sinisi fosse una risposta anticipata ad alcune problematiche sollevate da chi mi ha preceduto. Mi riconosco anche negli interventi che le colleghe Labate e Zanotti faranno tra poco, soprattutto per quanto riguarda i contenuti sui quali abbiamo riflettuto assieme in questi giorni, sia pure, per quanto mi riguarda, in modo intermittente, a causa di altri impegni istituzionali.
Intervengo anche per rimarcare due elementi di forte disagio, di cui almeno il primo credo ci accomuni tutti. È evidente che non possiamo, come chiunque altro, interrompere il nostro lavoro ed è altrettanto evidente che il contesto geopolitico tragico in cui ci troviamo dopo l'aggressione terroristica dell'11 settembre a New York e a Washington ci pone in una situazione di grande difficoltà psicologica a chiusura di questa riflessione su avvenimenti, che come nel resto d'Europa, per alcuni minuti dopo le ore 12, ci hanno fatto interrompere giustamente i lavori (questa vicenda ce la portiamo tutti nella mente e nel cuore, notte e giorno), sottolineo che non credo che ci troviamo all'inizio della prima guerra del XXI secolo e che, a questo riguardo, mi riconosco nelle parole dei ministri italiani Ruggiero e Martino, che ho ascoltato ieri al Senato. Siamo all'inizio di un'attività di
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contrasto, che dovrà coinvolgere tutto il mondo democratico fino in fondo, fino alla vittoria, di un'azione terroristica; il Presidente Cossiga ha fatto bene a ricordare che quando si parla di guerra si dà legittimità di belligerante a chi, invece, è un criminale che ha messo in atto una spaventosa strage terroristica. Voglio dire tutto ciò, anche se non ha direttamente a che vedere con i nostri lavori, perché non c'è dubbio che abbia influenzato, se non altro sotto il profilo emotivo, la nostra attività.
L'altro elemento di disagio che avverto - e che avrei preferito non avvertire perché ho partecipato, come tutti, con grande intensità a questo lavoro, con l'idea, che avevo fin dal primo momento, che potessimo arrivare ad una conclusione unitaria (temo invece che così non sarà) - è che, a fronte di un buon lavoro complessivo del Comitato di indagine, sotto il profilo delle audizioni, del dibattito, delle acquisizioni documentali ed audiovisive, a fronte di una equilibrata conduzione dei nostri lavori da parte del presidente, a fronte di un discusso, discutibile - al quale, fra l'altro, non ho potuto partecipare martedì scorso, a causa di un altro impegno istituzionale al Quirinale - ma comunque utile lavoro di ricostruzione dei fatti che era contenuto nella prima bozza di schema di documento conclusivo, ci troviamo oggi di fronte - lo dico con disagio e anche con un po' di disillusione, perché durante le riunioni informali, che abbiamo tenuto noi del centrosinistra, avevo affermato che ciò non sarebbe avvenuto (invece, ahimè, è avvenuto) - a considerazioni, contenute nello schema di documento conclusivo, in larga parte inaccettabili. Mi pare che esse portino - ovviamente nella sua autonomia (io posso soltanto riflettere su questo, non censurare) - il presidente del Comitato, che ha ottenuto elogi per l'equilibrio dimostrato da tutte le parti politiche, compresa, come ho
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sentito prima, Rifondazione comunista, ad aderire, nella parte conclusiva, soltanto a ciò che è emerso dalle posizioni, sistematicamente ricorrenti, del centrodestra, o forse addirittura solamente di alcuni suoi settori. Avrei preferito che il nostro lavoro terminasse diversamente, sono sinceramente dispiaciuto di questo, mentre ero pienamente disponibile a contribuire affinché vi fosse una conclusione diversa.
Voglio incidentalmente ringraziare anche gli uffici della I Commissione della Camera ed anche del Senato, il Servizio studi, il Servizio resoconti, l'ufficio che predispone la rassegna stampa, radio aula, i commessi e tutti coloro che hanno lavorato assieme a noi, perché tutti hanno profuso il massimo sforzo in un periodo estivo in cui altri hanno riposato, mentre noi parlamentari e gli uffici della Camera (in parte anche del Senato) hanno lavorato.
Ovviamente, ci sono anche punti condivisibili, ci mancherebbe altro che così non fosse, in queste considerazioni conclusive, però - mi attengo solo a questi anche per correttezza, non avendo potuto partecipare al dibattito di martedì sull'altra parte della relazione -, ci sono alcuni gravi errori.
Nella primissima parte del testo, a pagina 55, ricorrono, a mio avviso, o un equivoco o un clamoroso errore. Credo sia sbagliato asserire: «Il vertice ha, infatti, conseguito tutti gli obiettivi prefissati, sia sotto l'aspetto dei contenuti, sia sotto l'aspetto logistico-amministrativo, sia sotto quello della tutela dell'ordine pubblico». Se si intende alludere allo svolgimento del vertice nella zona rossa - ma in tal caso, piuttosto che di ordine pubblico, sarebbe corretto parlare di sicurezza -, credo vi sia, su tale giudizio, l'unanimità del Comitato. Ovviamente, in quest'ultimo caso, non può trattarsi di un giudizio qualitativo sui risultati politici: infatti, come hanno detto già i
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colleghi Bressa, Sinisi, Violante ed altri, ciò non compete al Comitato. Del resto non si è discusso di tale aspetto, che è stato, invece, affrontato, nell'esposizione del ministro Ruggiero. Questi - tra l'altro anche nella replica ad una mia domanda - ha portato argomenti molto importanti che, da noi tutti ascoltati con molta attenzione e rispetto, erano in linea con le posizioni già espresse dal ministro in Assemblea. Tuttavia, non credo sia nostro compito pronunciarci su un aspetto che non è di nostra spettanza afferendo, piuttosto alla competenza della III Commissione della Camera e della 3a Commissione del Senato o di altre ancora.
Glielo ha già detto il collega Sinisi, con una espressione che, per averla tenuta a mente, ora userò anch'io: credo vi sia una «mancanza di stile» nella asserzione «nonostante talune inerzie riferibili al precedente Governo». Mi sia consentito osservare che detta mancanza di stile eccede persino rispetto all'atteggiamento tenuto in questa sede dai ministri Ruggiero e Scajola. Questi ultimi hanno, infatti, mostrato di avere il senso della continuità della responsabilità istituzionale, da loro riaffermata sistematicamente. Invece, il Comitato, anzi in questo caso lei, signor presidente, infatti, noi non portiamo la responsabilità di siffatto testo - ha censurato l'operato del precedente Governo, sull'onda di alcuni interventi sistematicamente effettuati dal centrodestra. Mi riferisco, ad esempio, al caso registratosi con il prefetto Gianni, all'architetto Paolini, tanto disprezzato a priori. Sono agli atti dichiarazioni riguardanti questo fantomatico architetto che, una volta audito, avendo potuto svolgere alcune sue libere valutazioni circa i fatti - valutazioni quali quelle da noi tutti rese - è stato santificato. Eppure, all'inizio era stato così tanto disprezzato con commenti del tipo: «Chi l'ha nominato e perché? È un personaggio fantomatico! Che ruolo ha avuto?» E via dicendo. Quando, poi,
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l'architetto ha reso, in piena autonomia, le sue dichiarazioni, esse hanno avuto una considerazione maggiore anche rispetto a quanto riferito dal prefetto in carica, dal ministro degli affari esteri, dal ministro dell'interno e da tutti gli altri. Esse prevalgono, infatti, nel giudizio espresso nel documento.
È una mancanza di stile, presidente; mi consenta di dirglielo e di suggerirle anche di eliminare il riferimento all'azione del precedente Governo. Infatti, posso dire che per circa venti giorni - venti giorni e non due mesi, come da qualcuno si è sostenuto - si è avuto, nella continuità istituzionale, un rallentamento dell'attività. Ma la circostanza deve spiegarsi con lo scioglimento anticipato delle due Camere tempestivamente disposto dal Presidente della Repubblica onde consentire pienezza di funzioni al successivo Governo nella gestione del G8. Avevamo, dunque, in quel frangente, un Governo uscente sistematicamente criticato dal centrodestra, opposizione di allora: il centrodestra sosteneva, infatti, che il Governo uscente, debordando dai limiti della propria competenza istituzionale, prevaricasse sul successivo Governo compromettendo i poteri legittimi e pieni che solo a quest'ultimo sarebbero spettati riguardo alla conduzione del vertice. Tuttavia, non si può condannare il Governo Amato, per due opposti motivi: dapprima per avere fatto troppo, condizionando i governi successivi; poi, per avere fatto troppo poco. Vi è comunque un principio di continuità istituzionale che impone, qualora vi siano rilievi da sollevare, che questi emergano dalla ricostruzione dei fatti. Trovo che ben abbia fatto l'onorevole Sinisi a definirla una «mancanza di stile»; trovo altresì che detta 'mancanza di stile' non sia stata propria dei ministri dell'attuale Governo da noi auditi, salvo il ministro Castelli. Quest'ultimo, se prima ha chiesto di non criminalizzare le forze di polizia (incontrando in ciò il comune sentire
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di tutto il Comitato), poi, addirittura, ha detto del ministro della giustizia del precedente Governo «ha fatto terra bruciata». E, come qualcuno gli aveva già detto, ha asserito «ha avvelenato i pozzi». Questo è un ministro in carica dell'attuale Governo che si pronuncia sul suo predecessore al ministero della giustizia. Ma considero il ministro Castelli un caso a parte, anomalo, per così dire; do atto, invece, ai ministri Ruggiero e Scajola di avere adottato un diverso atteggiamento.
Riguardo alla questione degli obiettivi, avremmo dovuto, e dovremmo, mettere in luce che tutti coloro che sono stati invitati a riferire, a tutti i livelli, in questa sede, hanno parlato giustamente di tre obiettivi: lo svolgimento in piena sicurezza del vertice nella zona rossa; la tutela della sicurezza dei cittadini e quindi il doveroso conseguente contrasto alle azioni di violenza (azioni che, del resto, erano state previste); la tutela del diritto costituzionale a manifestare pacificamente.
Quanto al primo obiettivo - e se solo ad esso si voleva far riferimento con quanto si trova scritto all'inizio del documento (a pagina 55), allora esprimo la mia condivisione pur osservando, tuttavia, che, in tal caso, il concetto andava meglio chiarito - ebbene, tutti hanno riconosciuto che è stato positivamente raggiunto, tutti ne hanno dato atto al Governo.
Il secondo ed il terzo obiettivo sono stati clamorosamente mancati. Al riguardo, non viene in discussione l'eccesso di contrasto alla violenza, piuttosto, abbiamo sistematicamente criticato - ed io continuo a farlo - il difetto di contrasto alla violenza; non è che si sia troppo contrastata la violenza; piuttosto, è stata troppo poco contrastata. Il terzo obiettivo non è stato conseguito, non solo perché il diritto costituzionale a manifestare pacificamente non sia stato tutelato adeguatamente ma anche perché la reazione repressiva si è scaricata, in molti casi, troppi, sui manifestanti pacifici. Anche in questo
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caso, non do giudizi sommari e indiscriminati, non è mia abitudine; si tratta, infatti, di molti casi sin troppo frequentemente documentati, anche attraverso i filmati: esistono inoltre le denunce e le ricostruzioni giornalistiche. Si sono colpiti i manifestanti pacifici quando, invece, si dovevano perseguire ed isolare i violenti.
Per quanto riguarda il comportamento tenuto dalle forze di polizia, devo confessare che ho sentito, anche stamattina, alcuni colleghi - non voglio fare neanche i nomi: ho, infatti, per tale vicenda, un atteggiamento interiore di insofferenza - parlare, ancora una volta, di criminalizzazione indiscriminata delle forze di polizia. In quest'aula non si è registrato, da parte di alcuna forza politica, neanche un solo intervento finalizzato - il che sarebbe stato inaccettabile - a criminalizzare indiscriminatamente le forze di polizia. Nessuno l'ha fatto; abbiamo discusso sulle modalità di azione seguite circa i due punti citati prima: il mancato contrasto ai violenti e, invece, la repressione nei confronti di molti manifestanti pacifici. Anche questo giudizio, naturalmente, presenta molte sfumature da me più volte sottolineate. Si è trattato, infatti, di modalità di intervento seguite solo da alcuni settori dei corpi di polizia: quelli intervenuti in quelle circostanze. Non vedo perché dovrei criticare i corpi di polizia che hanno garantito la sicurezza della zona rossa: l'hanno fatto adeguatamente. Anzi, l'onorevole Bassanini, nel suo intervento, ha giustamente ricordato che, quando si sono esperiti tentativi di aggredire gli sbarramenti della zona rossa - devo dire tentativi per fortuna molto marginali -, la polizia in servizio ha risposto adeguatamente: li ha respinti con una proporzione fra l'azione di aggressione e l'azione di repressione doverosa. Non a caso, ciò non ha dato luogo né a contestazioni da parte di alcuno né ad incidenti gravi che abbiano avuto conseguenze per le forze
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di polizia o per i manifestanti (persino gli stessi che, in quel momento, stavano compiendo azioni illegali e che, quindi, giustamente, venivano contrastati).
Sono emerse ripetutamente due questioni: una riguarda il coordinamento tra le forze di polizia, problema impropriamente - o non esaustivamente - definito 'coordinamento'. Infatti, in questo caso, non ricorre un problema di coordinamento tra le forze di polizia (nel senso di metterle in contatto tra loro); piuttosto, si tratta di un problema istituzionale di responsabilità, di gestione dell'ordine pubblico da parte dei funzionari di pubblica sicurezza a ciò delegati. Quindi, si tratta di un problema di comando, di guida e di indirizzo dei diversi reparti delle varie forze di polizia dispiegate sul campo. Poi, vi è una questione clamorosa, ripetutamente da noi posta (da me, anzi, posta anche al ministro Scajola e, inoltre, al dottor Donnini) sulle modalità di intervento. Al riguardo, ho usato un'espressione ripresa giustamente anche dal collega Turroni col ministro Scajola.
Ho quasi quarant'anni di esperienza di vita politica ed anche di manifestazioni; ne ho viste tante. Non ero a Genova ma, ciò nonostante, devo confessare di non aver mai visto tanto sangue in vita mia; non l'ho mai visto. Vi sono stati morti nelle piazze, negli anni cinquanta e sessanta. Nel 1963 Craxi disse: «col nuovo centrosinistra siamo tutti più liberi». Per cinque anni, la morte non bazzicò più le piazze. La situazione cambiò alla fine del 1968 ed all'inizio del 1969. Finché non vennero utilizzate le armi da fuoco, si ebbero interventi di repressione di manifestazione illecite ma tanto sangue, nelle piazze del nostro paese, a mia memoria, non è mai scorso. Io, almeno, non l'ho mai visto. Tanto sangue, al di là delle persone colpite (nel 90 per cento dei casi, infatti, sono state colpite persone inermi e pacifiche), comporta non solo un problema
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di intervento ma di modalità di intervento. Il dottor Donnini, quando gli ho sottoposto la questione - devo dargli atto della sua lealtà ha affermato che se il manganello tonfa viene usato in modo scorretto, non spacca solo la testa, può fare anche di peggio. Ebbene, noi abbiamo acquisito in Comitato alcuni filmati su queste teste spaccate, filmati che, a vederli, fanno paura. Allora, anche quando si interviene per reprimere, non solo si sbaglia sui soggetti da colpire ma, anche quando si colpiscono i veri responsabili, si colpiscono in un modo inaccettabile in uno Stato di diritto! Guardi che non sto parlando dell'uso, ahimè purtroppo verificatosi, di armi da fuoco, uso che, per fortuna, è stato solo sporadico.
A prescindere dall'episodio tragico della morte di Carlo Giuliani, sono stati citati alcuni episodi nei quali si è sparato in aria per intimidazione: ebbene, nell'uso estremo delle armi da fuoco la prima regola è proprio sparare in aria per legittima difesa. Non a caso tale evenienza (circostanza la cui verificazione non mi rallegra) è, nel nostro caso, avvenuta per giuste ragioni. Sulla questione del GSF, le suggerisco, signor presidente - valuti lei cosa vuol fare -, di rivedere questa parte, ovviamente per quanto riguarda la violenza, non i manifestanti pacifici. Con riferimento a questi ultimi, però, c'è un giudizio religioso sostanzialmente discutibile in quei termini, perché non c'è dubbio che nel GSF ci siano molte componenti del mondo cattolico, ma ce ne sono molte altre che non appartengono a tale realtà. Ad esempio, personalmente, sono cattolico - per fortuna ho la fede dalla nascita e l'ho conservata - ma non faccio parte, in questo momento della mia vita, di una associazione cattolica. Ho sentito il collega di AN dire che in quel tavolo del GSF c'erano tutti i violenti, mentre dall'altra parte c'erano i non violenti; dall'altra parte c'erano coloro che avevo suggerito di convocare: mi
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riferisco a Pax Christi, Legambiente, la rete Lilliput, di cui abbiamo sentito un elogio ripetuto da parte del Ministro Ruggiero, e via elencando. Allora, come è possibile che alla fine di questi lavori un rappresentante di un gruppo della maggioranza di centrodestra affermi che in quel tavolo del GSF c'erano i violenti, quando abbiamo sentito come il ministro Ruggiero ha parlato dei rapporti con alcune di queste associazioni, oltre al fatto che moltissime di queste le conosciamo?
PRESIDENTE. Ha parlato dei rapporti precedenti al G8.
MARCO BOATO. Mi riferisco anche a quello che è successo a Genova. Ci sono i filmati che dimostrano come si sono comportati.
PRESIDENTE. Il ministro Ruggiero si riferiva ai fatti precedenti allo svolgimento del G8.
MARCO BOATO. Certamente, ma lo dico anche per i fatti successivi. Il collega Turroni ha ricordato l'esperienza delle piazze tematiche: la rete Lilliput viene aggredita dai black bloc e quando, tardivamente, interviene un reparto delle forze di polizia, invece di tutelare la rete Lilliput dai black bloc aggredisce gli appartenenti a tale rete. Abbiamo la ricostruzione di questi episodi.
Dopodiché, non ho difficoltà a dire che vi sono stati settori, anche all'interno del Genoa social forum, che hanno avuto posizioni diverse, anche ambigue, in quanto queste cose le ho dette già pubblicamente. Tuttavia, non sono d'accordo con le sue conclusioni, oltre al fatto che, a mio parere, non vengono connotate in modo corretto le anime non eversive, sebbene sia d'accordo che ci sia un'ambiguità nel concetto di disobbedienza
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civile (ma anche in questo caso occorre distinguere). Non si possono mettere insieme le tute bianche e i centri sociali, quando abbiamo fior di rapporti dei corpi di polizia, dei reparti di prevenzione, dei reparti informativi, dei servizi di informazione che ci spiegano come nei centri sociali vi siano alcuni che accettano un terreno pacifico o, comunque, di rispetto della legalità o di contestazione della legalità in forma non violenta, mentre ve ne sono altri che praticano la violenza. Ciò è scritto nei rapporti di polizia, dei reparti informativi, dei servizi di sicurezza, e abbiamo addirittura i verbali riservati delle riunioni che alcuni di questi, in dissenso con gli altri, hanno tenuto alla vigilia del 20 - questi documenti li abbiamo agli atti, anche se sono riservati - in quanto i corpi di polizia avevano al proprio interno i propri informatori.
Allora, come può il nostro Comitato di indagine non fare le distinzioni che polizia, carabinieri e servizi d'informazione hanno fatto nei loro documenti? Come facciamo, signor presidente (e di questo sono allibito), ad accorpare nel profilo del Genoa social forum, come è scritto alla pagina 56, «un'anima guerrigliera, dove la logica del sabotaggio si trasforma in attacco finalizzato a creare danni concreti, a cercare lo scontro diretto e a provocare la sollevazione di piazza.»? Tutto questo è vero, ma non c'entra con il Genoa social forum! Piuttosto, questi sono i black bloc, dei quali si parla in decine di documenti delle forze di polizia, dei servizi di sicurezza, dei reparti informativi, che sistematicamente individuano cosa sia il Genoa social forum e le sue componenti diversificate e poi, a parte, sistematicamente individuano l'anima guerrigliera che nessuno in queste audizioni ha attribuito al GSF, la guerriglia, che è diversa da azioni (anche illegittime o di disobbedienza civile) che violano le leggi! Nelle considerazioni conclusive, lei, signor presidente, non usa neppure la parola black bloc, che
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è stata oggetto di una decina di audizioni e di centinaia di documenti acquisiti dal nostro Comitato che è il solo, nelle considerazioni conclusive, a non essersi accorto che esiste questo soggetto, sulla cui fenomenologia i reparti informativi e investigativi dei carabinieri e della polizia stanno accentrando da mesi, forse da due anni, la loro attenzione.
Per quanto riguarda i numeri sui quali volevo fornire dei suggerimenti, vedo in realtà che lei li ha già corretti poco prima che intervenissi.
Ne ricostruzione dei disordini avvenuti in via Tolemaide, c'è un palese contrasto, perché si dice che vengono colpiti al termine dell'itinerario non vietato, mentre questo è falso. Viene detto, a pagina 57, «si trasformò in corteo violento, aggredì le forze dell'ordine e tentò la manovra di sfondamento degli sbarramenti», mentre in realtà dal punto in cui erano arrivati sono sempre arretrati e giammai avanzati. Certamente vi sono stati, successivamente all'attacco da parte dei carabinieri e poi da parte della polizia, episodi di violenza e non ho alcuna intenzione di avere il minimo di omertà politica nel giudicare ciò. Lo dico non solo in questo Comitato di indagine, ma alla luce della mia vita politica e della mia coerenza politica. Ma questa ricostruzione, così come viene fatta in cinque righe, è palesemente falsa e non corrisponde a quanto realmente avvenuto in via Tolemaide.
Lei, signor presidente, rivolge al padre di Giuliani parole di apprezzamento, che sottoscrivo, ma non potrei dire (come qui è detto) che sia stato l'unico elemento positivo, perché ve ne sono stati molti altri ed è ingiusto attribuire in quella giornata al padre di Giuliani l'unico elemento positivo. Mi riferisco, ad esempio, alle piazze tematiche le quali, addirittura, quando hanno avuto un rischio sotto il profilo della sicurezza, su invito del sindaco e su mandato del questore si sono sciolte
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autonomamente per evitare contrasti, come è avvenuto a piazza Dante, se non ricordo male. Il padre di Giuliani era quel giorno nelle strade, signor presidente, come lui stesso ha detto, per cercare di aiutare i manifestanti pacifici ed evitare la repressione violenta e ingiusta da parte di settori delle forze di polizia.
Vorrei, infine, fare tre considerazioni conclusive. In merito alla perquisizione alla scuola Pertini-Diaz, a pagina 57, lei dice ripetutamente «è apparso evidente ....è emerso con chiarezza..» ed anche «il Comitato rileva la legittimità del comportamento tenuto dalle forze di polizia». In realtà, posso dire che quello che è apparso evidente è la non chiarezza sulla legittimità di quella perquisizione.
PRESIDENTE. La perquisizione era legittima.
MARCO BOATO. Ancora, quello che appare evidente è che ci hanno raccontato una quantità di bugie da far paura riguardo al rapporto fra corpi di polizia. Dunque, che lei dica che è apparsa evidente la correttezza di quella cosiddetta perquisizione nonché la legittimità del comportamento tenuto dalle forze di polizia, francamente non lo condivido.
Presidente, verrà fuori probabilmente, perché sembra che il prefetto Andreassi lo abbia detto, che quella operazione è stata decisa prima che si verificasse il fatto che l'aveva occasionata.
Lo ha detto il presidente della federazione della stampa, lo hanno detto il comandante del reparto mobile di Roma e il suo superiore Donnini riferendo un orario di un'ora precedente all'episodio che avrebbe occasionato la perquisizione.
A pagina 58, con riferimento alla caserma di Bolzaneto, si dice che «nulla è possibile eccepire....nulla può essere eccepito...».
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A questo punto delegittimiamo perfino Di Somma, Sabella e Castelli, i quali pur difendendo quelle operazioni hanno detto: probabilmente questa lezione ci servirà per capire di operare diversamente in futuro. Ma non possiamo dire che «nulla è possibile eccepire...».
Sulle presunte violenze - il presidente Violante glielo ha fatto notare -, lei non può riferire di un rapporto della Digos di Genova che riguarda intercettazioni ambientali relative ad arrestati condotti nella caserma di Forte San Giuliano, probabilmente calunniose, che non si riferiscono invece alla caserma di Bolzaneto, cosa che nessuno difatti ha detto e che qui per la prima volta vedo attribuire agli episodi di Bolzaneto. L'eventuale calunnia, che io stesso ho ricordato con il generale Siracusa, se è veramente tale, ma questo lo accerterà la magistratura - ma non ho dubbi soggettivi che probabilmente sia stata tale -, riguarda episodi di Forte San Giuliano e non della caserma di Bolzaneto, su cui non abbiamo alcuna denuncia per calunnia.
Signor presidente, avviandomi a concludere, vorrei leggere ciò che lei afferma nelle ultime dieci righe, dato che non risultano dal resoconto stenografico: «Il Comitato, a conclusione dell' indagine, ribadisce che la violenza non è e non deve essere strumento di azione politica e che in un paese democratico la legalità è un valore fondamentale e nel contempo sottolinea un richiamo forte all'inviolabilità dei principi costituzionali di libertà di manifestazione del pensiero, di rispetto della persona anche, forse soprattutto, quando privata della libertà perché in arresto, nonché della tutela necessaria alla sicurezza dei cittadini e dell'ordine pubblico; auspica che, ove emergano fatti di rilevanza penale o di violazione disciplinare, l'autorità giudiziaria e gli organi amministrativi identifichino i responsabili e ne sanzionino i
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comportamenti». Sottoscrivo pienamente tali frasi e se lei decidesse di ridurre le conclusioni di tale lavoro ad esse, troverebbe, probabilmente, l'unanimità del Comitato. Tutto il resto (considerazioni politiche e, in qualche caso, deformazione delle ricostruzioni) potrebbe forse rimanere nell'ambito del nostro dibattito e non essere compreso nello schema del documento conclusivo che, sotto tale profilo, da parte mia non è accettabile.
GRAZIA LABATE. Signor presidente, non posso nasconderle il profondo sentimento di delusione che ho avvertito leggendo il suo documento. Forse mi ero illusa, durante la discussione della bozza, quando l'ho invitata più volte a mettere in relazione elementi dialettici, a tenere insieme l'analisi dei documenti cartacei, di quelli audiovisivi e delle testimonianze, anche contraddittorie, acquisiti in questa sede. Le ho suggerito, allora, che la descrizione dei fatti, purtroppo con la contraddittorietà di cui il Comitato di indagine ha dovuto prendere atto, non consentiva giudizi sommari e definitivi, bensì invitava il Comitato stesso a procedere, per quanto a sua conoscenza, al fine di mettere in evidenza elementi di verità. Mi rendo conto che è stato un tentativo vano.
Avevo parlato senza pregiudiziali politiche o di appartenenza di schieramento, tuttavia ella non ha voluto raccogliere tali suggerimenti e oggi il sentimento di delusione mi pervade come parlamentare, cittadina italiana e cittadina genovese. Come parlamentare, in quanto, se la natura delle commissioni di indagine è destinata a finire, sempre e comunque, in tale modo, credo che allora dovremmo suggerire ai Presidenti della Camera e del Senato di riconsiderare lo strumento in questione. Come cittadina italiana, che aveva capito che questo
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Comitato potesse giungere ad elementi di verità, in quanto così non è stato, anzi si presenta una parziale verità. Come cittadina genovese, in quanto non si riesce, con tale documento, a comprendere se gli altri due obiettivi (sicurezza dei cittadini e diritto a manifestare liberamente secondo le norme della nostra Costituzione), su cui tutti concordavamo nell'analizzare carte e documenti audiovisivi e nello svolgere le audizioni (lei lo sottolineava ogni volta in apertura di seduta), siano stati realizzati. Da qui nasce l'insoddisfazione, per cui non è possibile condividere il suo documento.
Vorrei poi chiederle il motivo per cui in tale testo non trovo traccia di ciò che anche lei - come me - avrà letto relativamente ai sistemi di prevenzione e sicurezza, che oggi rappresentano un tema di grandissima attualità. Persino Luttwak, parlando dei fatti americani, afferma che, ogni volta che l'attenzione nel mondo si sposta dai regimi di prevenzione e sicurezza a quelli soltanto repressivi e militari, è possibile aprire una voragine enorme. Allora, le sottolineo ciò con tenacia e pervicacia, sapendo di avere svolto gran parte dei miei interventi su tale aspetto. Mi è difficile accettare che il mio paese, con la massa di conoscenze che aveva a disposizione, non abbia potuto impedire la saldatura di movimenti anarchico-insurrezionalisti stranieri con i gruppi anarchici e - come ha detto bene il presidente Violante - eversivi (persino al limite del terrorismo) presenti nella realtà italiana. Non posso accettare che nella notte del 19 aprile, prima di quelle terribili giornate del 20 e del 21, sia stato informato in termini veloci tutto l'apparato complessivo dello Stato, e quindi la questura genovese, che alle ore 12, in piazza Paolo Danovi, i black bloc avrebbero portato la loro azione di guerriglia in città. Non posso accettare, signor presidente, che ciò non venga menzionato nel documento, in quanto tali elementi sono a
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conoscenza mia come di tutti i colleghi. Ciò non rappresenta una verità di carattere personale né della mia parte politica.
A proposito della difesa della struttura carceraria di Marassi, non so cosa lei risponderà al dottor Salvo Roberto, che comandava i carabinieri al fine di difendere il carcere di Marassi e che nel suo rapporto afferma che per nove volte ha chiamato la centrale operativa dicendo che, mentre aveva a disposizione 39 uomini, stavano arrivando 500 black bloc (lui li chiama così, mentre noi non lo facciamo nel nostro documento), e che questi ultimi stavano scendendo giù, attraverso il ponte, cominciando la sassaiola e devastando. Egli chiama nove volte e non arriva nessuno! Alle 15 viene raggiunto da qualcuno via radio ma è costretto a dire che i black bloc erano andati via e che ormai i rinforzi erano inutili.
Riguardo alla manifestazione del 21, come posso dimenticare che è a mia conoscenza il rapporto inviato al prefetto La Barbera, nel quale gli elementi di prevenzione presenti nella città, dalla mattina alle ore 14, gli segnalarono che 400 black bloc - presidente Bruno, rilegga quel rapporto - avevano preso la testa del corteo e avevano cominciato la sassaiola con la polizia? Perché la questura di Genova in quel momento non ha ordinato l'alt con i gruppi di contatto, con i responsabili del Genoa social forum, dicendo loro di fermarsi all'altezza di Punta Vagno prima che accadesse l'ecatombe che è accaduta nel pomeriggio, nella quale persone inermi, senza colpa, sono state in quel modo massacrate (e uso tale termine con la responsabilità che mi deriva dalla mia funzione)? Come si può non vedere ciò che è successo alla scuola Diaz?
Per concludere, signor presidente, lei potrà elaborare questo documento, che in precedenza giudicai asettico e che oggi considero, nella sua conclusione politica, parziale, ma i fatti di Genova hanno lasciato una ferita morale profonda, a
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livello locale, nazionale e internazionale. Con un documento di parte non potremo in alcun modo sottacere ciò. A questo punto, cosa devo augurarmi? Devo auspicare che solo la magistratura, la stampa e le televisioni dicano la verità? No, io sono un parlamentare della Repubblica, e come tale volevo sapere la verità da questo Comitato. Mi auguro che il dibattito nelle Commissioni istituzionali ampli tale base documentale e soprattutto che si apra una fase di contenuto propositivo nel Parlamento del mio paese affinché i fatti di Genova non si verifichino più.
KATIA ZANOTTI. Signor presidente, ho a disposizione una manciata di minuti ma, a conclusione dei lavori del Comitato, non voglio rinunciare ad esprimere alcune valutazioni (i colleghi ne hanno fatte tante). Sono convinta anch'io - come è stato detto da altri - che questo Comitato interparlamentare abbia lavorato con molta serietà nello svolgimento delle audizioni e nell'analisi dei documenti e dei filmati. Devo dire, purtroppo, che i mezzi di informazione, che hanno seguito molto attentamente i lavori del Comitato, non sono riusciti a dare conto della serietà di questo lavoro, del quale, signor presidente, vorrei che l'opinione pubblica, i manifestanti di Genova e le forze dell'ordine fossero a conoscenza. Vorrei proseguire nel dare un giudizio positivo ma mi devo fermare.
Anch'io, come molti colleghi, considero lo schema di documento conclusivo da lei presentato irricevibile (come ha affermato il senatore Bassanini) o inaccettabile (come ho scritto) perché mortifica parte del lavoro svolto dal Comitato e da parte dei suoi componenti. Ha ragione Grazia Labate: non si tratta neppure di una relazione asettica, neutra ma di una
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relazione molto di parte che si nutre di pregiudizi e che ricorre, per sostenerli nella ricostruzione, persino ad alcune affermazioni che non corrispondono al vero.
Naturalmente, convengo con le affermazioni che riguardano la ricostruzione della composizione del Genoa social forum ma non credo che si possa così seccamente parlare di pacifisti, quindi di cristiani e di tutto il resto, più o meno gradualmente collusi perché addirittura politicizzati, in varie pratiche e modalità, con la violenza di alcune componenti di quel movimento.
Credo anche che tutto ciò non serva a fare chiarezza. Penso alle forze dell'ordine, a proposito delle quali, anche io respingo ciò che è stato affermato troppe volte in questa sede, perché nessuno ha mai pensato di generalizzarle e di criminalizzarle in modo generico. Se vi fossero state altre conclusioni, sarebbero state utili anche per le forze dell'ordine, che, a mio avviso, hanno bisogno di verità: tutti abbiamo visto episodi di pestaggi bestiali, ma non hanno riguardato tutte le forze dell'ordine. Comunque, vi sono stati alcuni episodi violenti e angosciosi; vi sono assalti indiscriminati e insensati a cortei pacifisti, vi sono state le violenze di Bolzaneto. È inutile negarlo.
Credo che tutto ciò non serva all'opinione pubblica che ha seguito i lavori del Comitato, ai manifestanti che vogliono continuare a poter esprimere le loro opinioni nelle piazze e a pensare che le istituzioni, nel rigore del loro lavoro (in questo caso, del nostro lavoro) possano corrispondere con determinazione all'auspicio che quanto è accaduto a Genova non debba mai più ripetersi in questo paese democratico.
Molti colleghi si sono soffermati sulle singole vicende. Non no lo farò anch'io perché non è questo il momento, tuttavia, in merito alla vicenda di Bolzaneto, signor presidente - mi
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dispiace dirlo perché convengo con molti colleghi sul fatto che lei ha presieduto il Comitato con molto equilibrio -, vi sono alcune parti della sua relazione terribilmente disequilibrate. Sui fatti di Genova la relazione appare molto più arretrata rispetto a ciò che è emerso nelle audizioni e nei documenti che abbiamo letto; molto più arretrata, persino più reticente e omissiva, rispetto alle dichiarazioni del dottor Sabella o contenute nelle indagini ispettive.
Non so a chi serva tutto ciò. Ho l'impressione - come ha affermato l'onorevole Bressa - che alla fine, poi, le indagini giudiziarie oppure il lavoro che farà la Corte di giustizia europea finiscano per smentire anche alcune cose delle vicende che abbiamo potuto esaminare con molta attenzione e che ci hanno portato ad arrivare a certe conclusioni.
Lo diceva già l'onorevole Boato: in questo tentativo di minimizzazione si pone l'audizione del dottore Fioriolli, il questore di Genova attuale, il quale cita esempi di calunnia che non hanno nulla a che fare con Bolzaneto.
Come considerazione finale, non so se forse ingenua, devo dire che esco da questo Comitato con amarezza e anche con la pesante sensazione che si è persa un'occasione molto importante - lo ha detto Grazia Labate - per riaffermare che un alto senso delle istituzioni impone di agire nell'interesse dell'intero paese e non nell'interesse di una parte, addirittura persino di fronte all'evidenza dei fatti.
Quando sono iniziati i lavori di questo Comitato ero convinta che così dovesse andare, ma la conclusione è stata diversa. Tutto ciò è molto amaro e spero che non si debbano trarre le conclusioni - come ha detto la collega Grazia Labate - che questi organismi non servano a nulla.
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PRESIDENTE. Dovendo valutare talune osservazioni fatte, al fine di integrare, eventualmente, il mio schema di documento, sospendo la seduta fino alle 16, in modo tale che, preso atto del documento conclusivo e ritenuta conclusa nella sua interezza questa fase, possa essere trasmesso alle Commissioni affari costituzionali della Camera e al Senato.
Informo che a seguire avrà luogo l'ufficio di presidenza della I Commissione affari costituzionali della Camera.
La seduta, sospesa alle 15, è ripresa alle 16,15.
PRESIDENTE. Sulla base di quanto è emerso questa mattina, ho ritenuto di rivedere le considerazioni conclusive dello schema di documento e di far tesoro anche di talune osservazioni sollevate. Do quindi lettura di tali considerazioni conclusive.
«Il Comitato, a conclusione degli accertamenti svolti, rileva che non sorgono dubbi sulla positiva riuscita del Vertice G8 svoltosi a Genova.
Il vertice ha infatti conseguito tutti gli obiettivi prefissati sia sotto l'aspetto dei contenuti, sia sotto l'aspetto logistico amministrativo, sia sotto quello della sicurezza e della tutela dell'ordine pubblico, nonostante talune inerzie riferibili al precedente Governo nella fase organizzativa (formazione del personale delle forze dell'ordine e rapporto con le associazioni antiglobalizzazione).
Tale risultato deriva dalla scelta del Governo Berlusconi di mantenere l'agenda predisposta dal Governo Amato, sviluppandola e integrandola, seguendo le costanti indicazioni del Presidente della Repubblica, attraverso il coinvolgimento dei paesi poveri nelle iniziative rivolte al loro sostegno, a tutela dei diritti umani e della difesa ambientale.
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Tali tematiche hanno incontrato l'adesione dei paesi partecipanti al vertice e sono divenute, da proposta di lavoro dell'agenda italiana, effettive conclusioni politiche del vertice medesimo.
È da rilevare che per la prima volta sono state riconosciute meritevoli di particolare attenzione, in sede di vertice G8, tematiche in fondo non distanti da quelle che hanno animato le parti realmente pacifiche dei gruppi antiglobalizzazione. È da auspicare al riguardo che tale occasione di confronto su di un comune terreno non sia andata totalmente dispersa, ma anzi sia possibile in futuro riannodare un dialogo.
Alla luce delle varie audizioni e dei dati acquisiti il Comitato intende sottolineare che il Genoa social forum (GSF), costituiva un movimento composito nel quale convivono:
- un'anima pacifista e non violenta, formata prevalentemente da movimenti di ispirazione cristiana che hanno come obiettivo la testimonianza delle ragioni dei poveri della Terra nei confronti dei processi di globalizzazione economica;
- un'anima «politicizzata», che si manifesta in una varietà di atteggiamenti che vanno dal disturbo inteso come violazione simbolica, al sabotaggio dei processi decisionali (nel caso di Genova la parola d'ordine era «violare la zona rossa»);
- un'anima violenta, nella quale rilevanti segmenti di quella politicizzata (ad esempio, tute bianche e centri sociali) pongono in essere azioni seriamente aggressive nei confronti dei rappresentanti istituzionali, pretendendo di giustificare tali illeciti comportamenti con un ricorso strumentale e distorto al concetto di disobbedienza civile.
A ciò si aggiungono altri soggetti con un'anima guerrigliera, dove la logica del sabotaggio si trasforma in attacco finalizzato
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a creare danni concreti, a cercare lo scontro diretto e a provocare la sollevazione di piazza (ad esempio i cosiddetti black bloc).
In una situazione di questo tipo la linea scelta dal Governo Berlusconi e l'azione delle forze dell'ordine sono state, sul terreno dell'ordine pubblico, certamente positive.
Il Governo Berlusconi si è posto l'obiettivo di dialogare con il GSF in modo da consentire da un lato il sereno svolgimento dei lavori del G8 propriamente detto e dall'altro la piena tutela del diritto di esprimere e manifestare pacificamente ogni dissenso.
In tale ottica, si è anche provveduto a stanziare fondi per l'accoglienza e a impartire precise direttive alle forze dell'ordine per una gestione moderata e ferma dell'ordine pubblico.
Da qui, anche, l'impegno a difendere con la massima efficacia la «zona rossa» con lo schieramento di ingenti forze di polizia e a controllare lo svolgimento delle manifestazioni le quali, quando sono state pacifiche (per esempio «migranti», «cub», «donne iraniane»), hanno avuto il loro naturale corso.
Le forze dell'ordine hanno profuso il loro massimo impegno, pagando un duro prezzo anche sul terreno della incolumità fisica. Non va sottaciuto che il coordinamento ha talvolta messo in evidenza carenze e sfasature.
Vi è da dire comunque che le forze dell'ordine hanno dovuto affrontare da 6 mila a 9 mila violenti circa all'interno di un'area di manifestazione di circa 200 mila (ministro dell'interno) - 300 mila (Vittorio Agnoletto) persone. Un numero di violenti del tutto imprevisto ed imprevedibile. E ciò anche a causa del doppio gioco praticato da una parte del GSF. Le forze dell'ordine si sono trovate di fronte all'esplosione di un'autentica guerriglia urbana, variamente modulata,
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che, per la sua radicalità e per il suo svilupparsi all'interno di grandi cortei, avrebbe potuto portare ad un bilancio ben più grave di quello registrato.
Infatti, per tutta la durata del G8, l'anima violenta ed eversiva dei manifestanti, si è avvalsa della tolleranza di parte dei dimostranti pacifici.
Da costoro non è stato posto in essere alcun concreto comportamento volto alla segnalazione, all'isolamento o all'espulsione di violenti ed eversori, ai quali è stato consentito di muoversi con i cortei o ponendosene alla testa o, il più delle volte, occultandosi al loro interno, entrandone ed uscendone a piacimento.
Ciò ha reso impossibile il ricorso, per le forze dell'ordine, alle consolidate tecniche di controllo dei cortei, prevenzione dei disordini, isolamento dei violenti e tutela dei dimostranti pacifici; le ha esposte ad attacchi proditori e ne ha spesso vanificato l'operato.
L'uso strumentale e distorto del concetto di disobbedienza civile da parte di un'area insieme violenta ed ambigua finisce con il trascinare molti dei non violenti a comportamenti che provocano la risposta delle forze dell'ordine e conducono allo snaturamento dell'anima pacifica, profonda e genuina del movimento nelle sue componenti realmente non violente, che certamente sono una parte cospicua dell'area di contestazione.
Va inoltre sottolineata l'esigenza emersa nel corso dell'indagine di promuovere per il futuro un maggior coordinamento tra le forze dell'ordine e di favorire altresì, anche mediante iniziative per l'armonizzazione del quadro normativo internazionale, una più efficace cooperazione tra le istituzioni preposte nei singoli Paesi all'attività di informazione e prevenzione.
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Tutto ciò premesso, il Comitato ritiene di evidenziare quanto emerso in relazione ai tre episodi più discussi.
Quanto ai disordini di via Tolemaide si osserva che esistono due distinte versioni. L'una che asserisce che il corteo fu respinto allorché, una volta giunto quasi a contatto con i cordoni di polizia, al termine dell'itinerario non vietato, si trasformò in corteo violento, aggredì le forze dell'ordine e tentò la manovra di sfondamento degli sbarramenti. L'altra che afferma che il corteo è stato caricato dalle forze dell'ordine in assenza di provocazioni violente. Il ministro dell'interno ha reso noto che la materia è oggetto di un'indagine amministrativa.
La situazione così creata, con il passare delle ore, a seguito dell'iniziativa dei manifestanti generava una serie di ulteriori scontri violenti e disordinati in tutta l'area e causava, tra l'altro, l'assalto di Piazza Alimonda e Via Caffa. È in tale contesto che veniva aggredita, dopo essere rimasta isolata, la Land Rover con a bordo i tre carabinieri, venutisi così a trovare a rischio della propria vita. Il Placanica estraeva la pistola d'ordinanza ed esplodeva un colpo che uccideva il giovane Carlo Giuliani nell'atto di scagliargli contro un estintore. Così si verificava quello che non sarebbe mai dovuto avvenire: la perdita di una vita umana. La causa fondamentale sta nella cieca violenza esercitata dai gruppi estremisti che mettono a repentaglio l'esistenza dei giovani che vengono coinvolti nelle loro iniziative criminali.
In questo quadro così negativo emergeva un unico elemento positivo rappresentato dal ruolo svolto dal padre del Giuliani, che, con grande senso di responsabilità e spirito civico, indirizzava ai manifestanti un appello alla ragione e si impegnava a riappacificare gli animi. Al padre di Giuliani il Comitato esprime il suo profondo e sentito cordoglio.
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Relativamente all'episodio della scuola Pertini (ex Diaz), il Comitato rileva la legittimità della decisione di procedere alla perquisizione anche se non è tra i documenti acquisiti dal Comitato l'atto che sancisce la genesi formale della suddetta.
Si rilevano altresì taluni difetti di coordinamento sul piano decisionale ed operativo (legati in special modo alla linea di comando ed al suo funzionamento).
È apparso evidente dalle audizioni e dal materiale acquisito che alla perquisizione si decise di procedere nella fondata convinzione che presso l'istituto fossero occultate armi. Così come è, inoltre, emerso con chiarezza che a ragione fu predisposta una forza operativa adeguata a fronteggiare una decisa resistenza all'atto. Tale determinata resistenza alla polizia è, infatti, ampiamente documentata in atti e fu tale da comportare una decisa forza per vincere e superare la condotta degli occupanti, al fine di tutelare la stessa incolumità del personale e di conseguire gli obiettivi dell'attività di polizia giudiziaria.
Va detto che dal complesso delle attività svolte dal Comitato sono emersi dati relativi a taluni eccessi compiuti da singoli esponenti delle forze di polizia. L'accertamento dei fatti è demandato all'autorità giudiziaria competente sulla cui attività il Comitato non può e non intende interferire.
Quanto ai fatti verificatisi nella caserma di Bolzaneto, il Comitato ritiene debba procedersi a singoli rilievi.
In primo luogo, si osserva che nulla è possibile eccepire circa la necessità e la legittimità della creazione di siffatta struttura (e di quella analoga della caserma di San Giuliano), così come nulla è dato rilevare circa la palese legittimità anche amministrativa della gestione effettuata da parte della polizia penitenziaria.
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In special modo, dal punto di vista della gestione amministrativa nulla può essere eccepito circa il pieno rispetto delle regole e delle prassi concernenti le visite mediche, le perquisizioni e le ispezioni personali degli arrestati e circa le modalità del loro trattenimento in attesa di traduzione al carcere, sempre finalizzate al mantenimento dell'ordine tra gli arrestati nel rapporto, comunque difficile, tra gli arrestati e tra loro ed il personale operante.
Le lamentele circa i tempi lunghi nella struttura sono da attribuire al numero significativo degli arrestati, alla loro contemporanea confluenza e alla inopinata scelta di ridurre da sette a due i luoghi di recezione. Per quanto attiene le presunte violenze, sulla cui effettiva perpetrazione esiste un'indagine giudiziaria in corso, si ritiene di attendere, come per la Diaz-Pertini, gli accertamenti dell'autorità giudiziaria. Resta fermo che gli episodi cui si fa riferimento, se veritieri, rivestono carattere di vera gravità. Corre l'obbligo di richiamare le denunzie della questura di Genova, che a seguito di intercettazioni ambientali avrebbe acquisito elementi circa la preordinazione strumentale da parte di taluni degli arrestati di accuse infondate da parte degli operanti, anche se nel corso della sua audizione il questore non ha specificato a quale struttura (Bolzaneto, Forte San Giuliano o entrambe), si facesse riferimento».
Avverto che corrispondente modifica è stata apportata anche nel paragrafo (H) relativo ai fatti di Bolzaneto.
«Altro punto critico appare quello relativo all'indagine ispettiva disposta dal Dipartimento dell'Amministrazione penitenziaria, essendo stato nominato quale componente della commissione a ciò preposta un soggetto che potenzialmente potrebbe essere oggetto dell'indagine stessa.
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Il Comitato, a conclusione dell'indagine, ribadisce che la violenza non è e non deve essere strumento di azione politica e che in un paese democratico la legalità è un valore fondamentale e nel contempo sottolinea un richiamo forte all'inviolabilità dei principi costituzionali di libertà di manifestazione del pensiero, di rispetto della persona anche, forse soprattutto, quando privata della libertà perché in arresto, nonché della tutela necessaria alla sicurezza dei cittadini e dell'ordine pubblico, auspica che, ove emergano fatti di rilevanza penale o di violazione disciplinare, l'autorità giudiziaria e gli organi amministrativi identifichino i responsabili e ne sanzionino i comportamenti».
A questo punto registro, da parte della maggioranza dei gruppi parlamentari, la presa d'atto positiva del documento e mi appresto a trasmetterlo alle Commissioni affari costituzionali della Camera e del Senato affinché venga discusso nelle opportune sedi.
MARCO BOATO. Signor presidente, poiché si tratta di una presa d'atto del documento di cui lei, dopo la sospensione dei lavori, ha presentato una formulazione in parte diversa, ritengo che sia corretto da parte mia prendere atto delle modifiche da lei segnalate le quali vanno, al di là dei momenti di tensione e di contrapposizione, a valorizzare il dialogo parlamentare in qualunque momento.
Detto questo, però debbo confermarle, sia pure con molto dispiacere, che pur prendendo atto positivamente di queste modifiche - ne avevamo proposto delle altre, ma non vi sono - io, ma credo anche altri colleghi del centrosinistra, non ci riconosciamo in questo documento di cui pure dobbiamo prendere atto dal punto di vista istituzionale; è uno schema di
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documento che verrà poi discusso e rispetto a cui si prospetteranno eventuali documenti alternativi in sede di Commissioni affari costituzionali di Camera e Senato. Confermo di condividere pienamente l'ultima parte del documento che è quella che ribadisce principi, valori e anche previsioni rispetto al comportamento non solo dei cittadini, ma anche delle istituzioni in relazione ai fatti di Genova, e per il futuro. Credo che questi costituiscano l'aspetto più valido e importante del lavoro che abbiamo svolto - che riconfermo positivamente - ciò però non mi permette ripeto, con dispiacere, sia pure con gli arricchimenti e le modifiche che il presidente ha prospettato, di prendere atto con soddisfazione di questo lavoro (del lavoro che abbiamo svolto complessivamente, sì; ma di queste considerazioni conclusive, no). Del resto, lei, correttamente, ha detto che prende atto che tale documento è condiviso dalla maggioranza, ma non da tutto il Comitato.
FRANCO BASSANINI. Signor presidente, come ho avuto modo già di sostenere anche noi condividiamo le dieci righe finali che sinteticamente riassumono gli obiettivi che le forze politiche e democratiche dovrebbero proporsi per il futuro; non sono state modificate, opportunamente perché su queste, quantomeno, vi è una larga e non irrilevante convergenza. Le proposte di modifiche alle considerazioni conclusive che lei, presidente, ha avanzato, sono sicuramente migliorative e colgono una parte dei nostri rilievi, e diminuiscono un poco la contraddizione che abbiamo rilevato fra la ricostruzione dei fatti e i documenti in nostro possesso che, lo vorrei ribadire, costituisce il rilievo più consistente che noi facciamo. Abbiamo acquisito documenti, filmati e altra documentazione che non consente, in alcuni punti cruciali, la ricostruzione dei fatti che qui è prospettata. Il problema però è che permangono, nelle
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considerazioni conclusive e ancor più nelle pagine precedenti, una serie di affermazioni che sono in palese contraddizione con questi documenti e con questi filmati, ed è per questa ragione che noi continuiamo a ritenere, come abbiamo già avuto occasione di sostenere, irricevibile questo documento come conclusione dei nostri lavori.
Ovviamente questa è l'opinione di un gruppo che, essendo di opposizione, non è in grado di impedire che la maggioranza, invece, prenda atto di questo documento.
GRAZIELLA MASCIA. Signor presidente, il mio dissenso rimane totale, sia sulla ricostruzione dei fatti, sia sul giudizio politico, sia sui provvedimenti e sui suggerimenti che sarebbe stato opportuno proporre al Parlamento, a mio avviso, in conclusione dei lavori di questo Comitato.
Le sfumature, di cui lei ci ha dato lettura, seppure siano sfumature, siano sfumature riguardano questioni rilevanti e delicate (per quanto, ripeto, non cambino di una virgola il mio giudizio politico); in ogni caso su questo punto volevo sottolineare che anch'io ho colto la delicatezza dello sforzo che è stato compiuto da parte sua.
PRESIDENTE. Desidero ora, e non solo formalmente come spesso avviene, ringraziare tutti voi. Questi sono gli ultimi minuti dei lavori di questo Comitato, che ci ha visto lavorare veramente in maniera assidua e proficua; mi dispiace che una parte dei componenti non convenga sul testo, ma è nella realtà delle cose. Pertanto il ringraziamento che vi rivolgo è veramente sentito e di cuore, perché mi avete dato - e ci siamo dati - sostegno nei tanti momenti in cui abbiamo dovuto ripercorrere queste tristi giornate di Genova.
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Ringrazio, altresì, il presidente Pastore per la sua collaborazione; non farò i nomi di tutti voi, ma credetemi, è come se l'avessi fatto; un'attenzione ed un ringraziamento, a titolo personale - ma credo anche di tutti i componenti del Comitato - ritengo debba essere rivolto a tutti i componenti dello staff che ci ha assistito in queste lunghe giornate. Non vi è stato mai, da parte di nessuno, un momento di deflessione o di smarrimento, bensì vi è stato un sostegno continuo, presenza, capacità e professionalità che intendo sottolineare per dare un ampio riconoscimento ai colleghi del Senato e della Camera. In tutti, indistintamente, nelle giornate di lavoro nelle quali gli altri giustamente si dedicavano alla cura della propria famiglia e della propria persona, e senza rimarcarlo assolutamente, ma con il piacere di svolgere un lavoro che poteva servire al Parlamento, per la parte che ognuno poteva svolgere, ho notato un entusiasmo che, veramente, non avevo colto in altre occasioni. Per questo motivo rivolgo a tutti loro - senza nominarli - un ringraziamento sentito, che estendo chiaramente all'ufficio studi, a tutti coloro che hanno potuto collaborare e ai vari uffici che si sono prodigati affinché noi potessimo giungere - nei tempi che ci sono stati concessi dai Presidenti di Camera e Senato - a concludere i nostri lavori, con qualche insoddisfazione, o minore soddisfazione, sicuramente, per qualcuno (ma credo non sia questo il tema e la sede adatta).
Ritengo di aver fatto, con assoluta coscienza e scienza, quello che era possibile fare; ho raccolto la testimonianza da parte dei componenti ed è prevalsa una linea che ho condiviso per i molti valori e per i molti argomenti che abbiamo voluto sottolineare e che possono sintetizzarsi nella riuscita del vertice e soprattutto (e questo credo sia un valore comune) nel riconoscere che le forze dell'ordine svolgono quotidianamente
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un lavoro alto che rappresenta, credo, un patrimonio morale e culturale del paese che non possiamo abbandonare. Voglio concludere qui questo discorso perché credo che esso ci accomuni e non ci divida.
È chiaro, poi, che vi siano valutazioni politiche, sulle quali mi sembra anche giusto che esista conflittualità e - uso questo termine - anche un giudizio negativo sul lavoro finale. Sono però certo di cogliere, allorché mi rifaccio ai valori sostanziali della democrazia di questo paese, l'unione di tutti noi ed è con questo spirito, credo, che le Commissioni continueranno a lavorare. Grazie di nuovo a tutti voi.
Dichiaro chiusa la seduta.
La seduta termina alle 16.30.