COMMISSIONE D'INDAGINE
Seduta 10 - 07 Settembre 2001
Audizione del ministro dell'interno Claudio Scajola.
PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sui fatti accaduti in occasione del vertice G8 tenutosi a Genova, l'audizione del ministro dell'interno Claudio Scajola, il quale ha chiesto di essere accompagnato dal prefetto Roberto Sorge, capo di gabinetto del Ministero dell'interno, dal prefetto Carlo Mosca, direttore dell'ufficio centrale legislativo, dal prefetto Sabato Malinconico, vicecapo della Polizia, e dal dottor Roberto Arditti, portavoce.
Se non vi sono obiezioni, così rimane stabilito.
Prima di dare inizio all'audizione in titolo, ricordo che l'indagine ha natura meramente conoscitiva e non inquisitoria.
La pubblicità delle sedute del Comitato è realizzata secondo le forme consuete previste dagli articoli 65 e 144 del regolamento della Camera, che prevedono la resocontazione stenografica della seduta.
La pubblicità dei lavori è garantita, salvo obiezioni da parte dei componenti il Comitato, anche mediante l'attivazione dell'impianto audiovisivo a circuito chiuso, che consente alla stampa di seguire lo svolgimento dei lavori in separati locali.
Non essendovi obiezioni, dispongo l'attivazione dell'impianto audiovisivo a circuito chiuso.
Ringrazio il ministro Scajola per avere accolto il nostro invito. Poiché vedo che ha una relazione, la pregherei di darne lettura al Comitato.
CLAUDIO SCAJOLA, Ministro dell'interno. Onorevoli senatori, colleghi deputati, l'audizione di oggi mi consente di
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rappresentare al Parlamento il pensiero e le valutazioni del ministro dell'interno nell'ambito dell'indagine conoscitiva, ormai in via di conclusione, che non mancherà, ne sono certo, di fornire il proprio contributo alla ricerca della verità sugli avvenimenti che hanno contraddistinto i giorni difficili del G8 di Genova.
Ricordo infatti che è già stata espletata un'indagine amministrativa e che è tuttora in pieno svolgimento l'inchiesta giudiziaria aperta dalla magistratura per accertare le effettive responsabilità penali.
Mi auguro che il lavoro svolto dal Comitato ed i suoi esiti contribuiscano a fare chiarezza sull'intero scenario degli avvenimenti relativi al G8, allontanino le polemiche ed aiutino a riconfermare la fiducia alle forze di polizia, a tranquillizzare la gente sulla tenuta dello Stato democratico, a respingere ogni forma di violenza da chiunque avallata, a volgere, in sostanza, lo sguardo al futuro per prepararci ad affrontare meglio i gravosi impegni che ci attendono ed i programmi che l'Italia ha intenzione di attuare.
Le Commissioni riunite hanno a disposizione una notevolissima quantità di dati, di notizie, e di informazioni acquisite dalla viva voce dei protagonisti, direttamente coinvolti negli aspetti organizzativi della gestione dell'ordine pubblico e in quelli tecnico-operativi dell'attività di Polizia.
Nella mia esposizione sintetica intendo attenermi alla dimensione politica, di ministro dell'interno, al quale la legge riconduce, in quanto autorità nazionale di pubblica sicurezza, la responsabilità politica della tutela dell'ordine e della sicurezza pubblica, nonché l'alta direzione ed il coordinamento dei servizi di ordine e di sicurezza.
Assunto l'11 giugno di quest'anno l'incarico di ministro dell'interno, ho subito promosso i provvedimenti attribuiti alla
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mia esclusiva competenza per garantire la riuscita del vertice internazionale G8. Si è trattato di iniziative, di istruzioni, di riunioni, espressione del generale potere di direttiva, di sollecitazione e di impulso propri della sfera della responsabilità di cui il ministro è direttamente titolare.
Ho personalmente e progressivamente verificato l'organizzazione sui luoghi del vertice, tenendomi costantemente al corrente, tramite il prefetto di Genova e il capo della Polizia, di ogni sviluppo, sempre preoccupandomi di evitare rischi e disagi, nei limiti del possibile, ai cittadini residenti o a chi, comunque, si trovasse in città. Il Parlamento è stato da me già largamente informato sulle iniziative intraprese affinché il vertice del G8 potesse tenersi nelle migliori condizioni.
Il 17 luglio, infatti, svolgendo alla Camera un'informativa sull'attentato alla stazione dei carabinieri di San Fruttuoso, ho avuto modo di illustrare le misure del Governo decise in occasione del Comitato nazionale dell'ordine e della sicurezza pubblica da me presieduto il 3 luglio, ispirate essenzialmente ai seguenti obiettivi: assicurare il regolare svolgimento del vertice, garantendo ai Capi di Stato e ai Capi di Governo e a tutte le delegazioni di partecipare in condizioni di completa sicurezza; tutelare i diritti e l'incolumità dei cittadini di Genova e, più in generale, come ho detto, di tutte le persone che, a qualsiasi titolo, fossero a Genova in quei giorni; garantire la libertà di manifestazione durante le giornate della conferenza a tutti coloro che avessero pacificamente espresso le loro opinioni nel pieno rispetto della legalità; agire con il massimo rigore nell'azione di contrasto verso i violenti che avessero tentato di turbare il sereno svolgimento delle manifestazioni a tutela dei genovesi e degli stessi manifestanti; offrire piena fiducia all'azione delle forze dell'ordine nel loro
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insieme e a tutte le strutture degli enti territoriali che, già da mesi, in precedenza lavoravano per la buona riuscita del G8.
Appare evidente a tutti che la gestione dell'ordine pubblico è stata ispirata ai più rigorosi principi di democrazia e alla convinta difesa dell'esercizio dei diritti di libertà, nel fermo proposito di garantire le istituzioni democratiche del paese da qualunque attacco sovversivo o comunque violento. Mi sento del resto, e ne sono consapevole, preposto ad un ministero che ha la sua principale missione proprio nella difesa delle garanzie costituzionali degli affari interni, civili, cioè dei cives.
La sicurezza non è un fine ma uno strumento per garantire l'esercizio della libertà; esercizio che non può essere però contaminato da alcuna forma di violenza.
In questo quadro non posso esimermi dal rilevare che, sul fronte dell'antiglobalizzazione, vi è stato anche chi ha accettato la violenza, chi non ha sufficientemente reagito, chi addirittura è stato consapevolmente o inconsapevolmente connivente. La violenza non può e non deve essere strumento politico.
Le teorie che, invece, la giustificano sono patrimonio storico di alcune aberranti ideologie e non possono essere presenti negli Stati di diritto e di democrazia avanzata, soprattutto in un paese come il nostro che ha già pagato prezzi altissimi nella non lontana stagione del terrorismo.
Patrimonio della democrazia sono il dialogo, il confronto, la mediazione, il rispetto reciproco ma anche la fermezza nel difendere la democrazia e le sue istituzioni.
La linea scelta dal Governo è stata quella del dialogo e della più larga disponibilità nei confronti di quanti avessero voluto manifestare democraticamente il loro dissenso.
Già il 19 ed il 21 giugno, all'indomani dell'insediamento del governo Berlusconi, ho incontrato a Roma il sindaco di Genova, il presidente della provincia, il presidente della
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regione e successivamente i parlamentari eletti in Liguria. Ad essi ho rivolto un invito ad individuare, in tutte le forme ritenute possibili, gli spazi necessari ad assicurare lo svolgimento di manifestazioni pacifiche purché non incompatibili con le decisioni assunte dagli organi locali in materia di pubblica sicurezza.
Sul versante dell'attività di prevenzione in senso stretto, tutti i provvedimenti che hanno riguardato inevitabilmente le limitazioni alla libertà di movimento e di circolazione sono stati preceduti da fasi di concertazione a livello di cooperazione politica.
Il 13 luglio scorso ho partecipato a Bruxelles ad una riunione straordinaria del Consiglio dei ministri della giustizia e degli affari interni dell'Unione europea in cui ho esposto la linea seguita dal Governo in preparazione del G8 di Genova, constatando, da parte dei 15 paesi europei, in modo unanime, piena condivisione per le iniziative intraprese e le misure adottate, come la sospensione degli accordi di Schengen. Tale provvedimento in Italia ha suscitato vivaci polemiche, anche di autorevoli parlamentari, nonostante fosse stato adottato da altri paesi europei per analoghi periodi, in occasione di circostanze anche meno importanti.
Un'altra polemica pretestuosa ha riguardato l'apertura della stazione di Brignole. Ritengo di dover chiarire, onorevoli colleghi, che anche in questo caso è stata studiata una attenta pianificazione che ha dovuto tenere presente non solo l'accesso e l'afflusso dei dimostranti ma anche il loro deflusso da Genova.
Un altro aspetto a mio avviso significativo, cui ho dedicato particolare attenzione, è stato quello della formazione e dell'addestramento degli operatori di Polizia. A tale riguardo voglio qui ricordare che, concluso il vertice di Bruxelles del 13
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luglio, sono intervenuto a Genova ad una riunione con la partecipazione di tutti i funzionari e gli ufficiali delle forze di Polizia impegnati nell'attuazione del difficile e complesso dispositivo di sicurezza.
In tale circostanza ho raccomandato massima prudenza ed equilibrio negli interventi operativi, avendo presente che l'obiettivo finale era quello di contemperare le esigenze di ordine pubblico con la libertà di manifestazione legittima del dissenso. Queste mie direttive sono state trasfuse poi in un apposito opuscolo operativo distribuito a tutti i reparti impegnati, a tutti i singoli tutori delle forze dell'ordine a Genova.
Un ulteriore aspetto a cui mi sono dedicato con scrupolo è stato quello, svolto d'intesa con il ministro degli affari esteri, della definizione dei particolari relativi alla sistemazione logistica delle delegazioni, che ha richiesto progressivi e graduali aggiustamenti nella ricerca delle varie soluzioni e che è stato possibile definire solo a pochi giorni dall'inizio del vertice, non certo per nostra volontà.
In estrema sintesi, queste sono le iniziative da me assunte in vista del vertice del G8, anche tenendo conto delle preoccupazioni emerse a seguito dei violenti accadimenti di Göteborg.
Sono necessarie su questo punto alcune riflessioni e valutazioni, che intendo sottoporre al Parlamento: sul Ministero dell'interno sono ricaduti, per la parte di competenza, l'onere e la grande responsabilità di organizzare e gestire una riunione senza precedenti, come i fatti - ahimè - hanno poi dimostrato. A questo impegno il dipartimento della pubblica sicurezza ha risposto con uno sforzo notevole, predisponendo con largo anticipo una macchina organizzativa che ha raggiunto standard di efficienza notevoli. Va quindi dato atto dell'impegno profuso dal Capo della Polizia e da tutti i suoi
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collaboratori, dal Comandante generale dell'Arma e dai suoi ufficiali, dal prefetto di Genova e dal suo staff, oltre che dalle altre forze di polizia. In considerazione di questo impegno - che non ha precedenti -, appaiono pretestuose e prive di fondamento le polemiche, che non accennano ad attenuarsi, nei confronti dell'operato delle forze dell'ordine, le quali continuano, invece, a ricevere attestazioni di stima e di fiducia da parte dei cittadini.
Ritengo, ormai, quanto mai indispensabile una pausa di meditazione che induca tutti ad una serena valutazione di quanto è accaduto; pur se vi saranno responsabilità dei singoli, che dovranno essere comunque accertate, è stato organizzato e tenuto un vertice e sono stati sostanzialmente raggiunti gli obiettivi fissati, anche se è innegabile - chiaro a tutti - che non tutto si è svolto come avremmo sperato. L'esito e lo svolgimento delle vicende è cosa diversa, in quanto attiene alla gravità di un attacco criminale, sistematico e preordinato, che non deve in alcun caso offuscare il livello della preparazione, l'impegno e lo sforzo, in un contesto caratterizzato da condizioni di grandi difficoltà, dovuto anche al clima di violenza e di intimidazione costruito intorno all'evento.
Debbo ancora ricordare, onorevoli colleghi, le martellanti manifestazioni verbali di violenza e i propositi di impedire, a qualsiasi costo, lo svolgimento del vertice e il susseguirsi di plichi esplosivi ed incendiari nei giorni che hanno preceduto l'incontro. Debbo ancora ricordare la disinformazione, orchestrata solo da pochi, per mistificare la realtà degli accadimenti e per offuscare l'esito complessivo del G8, riuscendo a concentrare l'attenzione della pubblica opinione soltanto su alcuni episodi. Come dimenticare le violente dichiarazioni dei vari Agnoletto e Casarini - per citarne alcuni -, con cui si è manifestata un'aperta volontà di assalto alla zona rossa? Come
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non giudicare grave l'errore, commesso da taluni esponenti politici, nel sottovalutare il linguaggio, gli atteggiamenti e i propositi, anche violenti, manifestati da alcuni componenti del Genoa social forum in tutta la fase del pre-vertice, confondendo, talvolta, la premeditazione con il folclore? Non vi era nulla di democratico in quei giovani che si riunivano per addestrarsi ad infrangere la legge, simulando aggressioni e scontri con le forze dell'ordine, o nel proposito, più volte dichiarato, di voler forzare a tutti costi la zona rossa.
In questo clima sono maturati i violenti episodi del 20 luglio nel corso dei quali un giovane manifestante ha tragicamente perso la vita.
In questo stesso clima hanno operato le forze dell'ordine, alle quali voglio rendere merito del loro grande senso del dovere e delle istituzioni, che non può essere offuscato dagli eccessi di reazione di pochi. È inaccettabile l'affermazione di chi è giunto, addirittura, a definire le forze dell'ordine come l'operato di rappresaglie di tipo cileno, ed è fermamente da respingere qualsiasi altra illazione su questo punto. Ciò mortifica lo sforzo di tanti nel difendere la democrazia e che non possono essere etichettati, per mera convenienza strumentale, come incivili o antidemocratici.
È risibile l'affermazione di chi, ascoltato in quest'aula, ha accusato le forze di polizia di avere impedito lo svolgimento di un corteo autorizzato. Se una manifestazione è, infatti, consentita, questo non significa che sia possibile attaccare, con lanci di bottiglie molotov, pietre ed armi improprie, polizia e carabinieri impegnati a difesa delle zone interdette e che sia illegittimo, da parte delle forze dell'ordine, intervenire per ripristinare la legalità turbata dalla violenza di manifestanti chiaramente intenzionati a forzare un blocco.
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Mi auguro che la magistratura faccia luce in tempi brevi su tutti gli episodi, ma auspico anche che questa vostra indagine parlamentare non sia orientata solo nella direzione di accertare abusi della Polizia.
Desidero ribadire l'impegno delle forze di polizia, perché è giusto riconoscerlo a quanti sono intervenuti a Genova. Hanno operato, colleghi, per il rispetto della legalità 5.200 poliziotti, 4.700 carabinieri, mille finanzieri. Non posso dimenticare neanche l'apporto dei militari delle forze armate. È giusto riconoscere l'impegno di coloro che, dinanzi a tante difficoltà e a scenari di violenza inaudita, hanno rivelato una grande capacità professionale. Come ministro dell'interno e come cittadino della Repubblica, sono grato alle forze dell'ordine per questo impegno, che sicuramente merita un trattamento più dignitoso sotto ogni profilo.
Sono state mosse alcune osservazioni alle modifiche apportate al piano di sicurezza predisposto dal precedente Governo; una di queste critiche riguarda la cosiddetta zona gialla, nella quale era stato previsto il divieto di manifestazione. Oltre ai confini dell'area invalicabile di massima sicurezza, riservata ai movimenti delle personalità e delle delegazioni del G8, definita e più nota come zona rossa, un'ampia zona gialla era infatti presente anche nel piano definitivo come un vero e proprio cuscinetto a protezione dell'area di massima sicurezza conservando, quindi, la sua funzione strategica. Essa ne ha assunto, anzi, una ancora più rilevante, di deflazione delle tensioni e di separazione dei gruppi antiglobalizzazione non violenti dagli altri.
Una volta definita la collocazione delle delegazioni, soltanto negli ultimi giorni il regime di flessibilità della zona gialla ha consentito al questore di lasciare spazio a manifestazioni che si preannunciavano del tutto pacifiche, proprio con lo scopo
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di alleggerire i motivi di tensione con i manifestanti. I tentativi di attraversare con la violenza la zona gialla sono rimasti comunque circoscritti; quelli di violare la zona rossa sono stati completamente impediti.
Altri rilievi sono stati mossi al coordinamento tra le varie forze di Polizia e all'interno della stessa polizia di Stato, con accenti critici sull'interferenza svolta dal livello centrale sulle autorità locali di pubblica sicurezza. In proposito, desidero chiarire che non vi è stata confusione tra competenze degli organi centrali e determinazioni degli organi locali. D'altra parte, sarebbe fuorviante immaginare che un evento di tale portata potesse essere lasciato alle sole autorità locali, senza il necessario supporto di efficienza e di ausilio di un organismo esperto e collaudato come il Dipartimento della pubblica sicurezza. Quindi, è del tutto improprio parlare di un commissariamento delle autorità locali, che hanno mantenuto integralmente le loro competenze nell'adottare i provvedimenti di polizia. Ciò vale per il prefetto di Genova, la cui ordinanza è stata anche oggetto di ricorsi, e per il questore, che ha adottato le ordinanze per l'organizzazione tecnica dei servizi di polizia. Il dipartimento della pubblica sicurezza ha, invece, assolto la funzione che gli è propria, fornendo tutto il necessario rinforzo e supporto: uomini, mezzi, attrezzature tecnico-logistiche.
Con queste osservazioni, intendo fornire risposta anche alle polemiche che hanno fatto seguito alla perquisizione della scuola Diaz: sul punto, comunque, ho già fornito chiarimenti in precedenti occasioni. Tuttavia, ritengo necessario ribadire, pure in questa sede, che le operazioni tipiche della polizia giudiziaria non devono essere preventivamente comunicate al ministro e, meno che mai, da questi autorizzate. Respingo quindi ogni illazione che l'operazione sia conseguita ad una
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decisione politica. Personalmente - e lo ripeto davanti a voi, rappresentanti del Parlamento -, non vorrei certamente vivere in uno Stato nel quale il ministro dell'interno dispone delle perquisizioni. Tuttavia, non nascondo che, appresi gli esiti dell'operazione, ho avuto dubbi e perplessità sulla sua organizzazione e direzione. Per questo motivo, ho chiesto immediatamente al capo della Polizia di disporre un'inchiesta ispettiva sull'episodio, le cui conclusioni ho inviato subito anche a tale Comitato. Comunque, è stato per me motivo di amarezza constatare come questo episodio, sul quale è in corso un'indagine della magistratura (che spero si concluda in tempi brevi, facendo completa luce sui fatti e le responsabilità di chiunque), abbia gettato ombre sull'intera gestione dell'ordine pubblico e sulle forze di polizia. Questo lo dico perché, certamente, vi sono stati errori, comportamenti sbagliati, contraddizioni anche da parte di funzionari chiamati a rendere le proprie dichiarazioni in quest'aula, ma mi sembra ingeneroso dimenticare quanto è stato fatto per assolvere ad un impegno tanto gravoso, quanto delicato.
In questa sede, in più occasioni, è emersa la preoccupazione che possa essere limitato il pieno esercizio della libertà di manifestare. Intendo fugare tali ingiustificate preoccupazioni: il Governo Berlusconi non attenuerà mai il livello delle garanzie riconosciute a tutti cittadini di esprimere pacificamente e democraticamente il dissenso. Non è necessario delineare una nuova filosofia dell'ordine pubblico o un nuovo concetto di prevenzione, ma, semplicemente occorre, prendere atto dei confini che separano la gestione dell'ordine pubblico da vere e proprie forme di guerra condotte all'interno dei centri urbani. A Genova si è riproposto lo stesso scenario delineatosi da Seattle a Göteborg, ma in modo ben più grave e molto più esteso. Di qui, discendono tre conseguenze.
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La prima è che le forze di polizia, per difendere i diritti di libertà garantiti dalla Costituzione a tutti i cittadini debbono essere poste in condizione di agire in assoluta serenità e in un clima condiviso di rispetto e di apprezzamento. La seconda è quella di rivedere e di migliorare il livello di preparazione professionale del personale chiamato a fronteggiare situazioni del tutto nuove. La terza è quella di sostenere il rafforzamento in sede europea di forme di collaborazione sempre più incisive ed efficaci sul piano operativo, superando quei limiti che oggettivamente si sono evidenziati in occasione del G8. Questo è un impegno che desidero ribadire e riaffermare davanti al Parlamento nella mia responsabilità di titolare del Ministero dell'interno.
Colgo anche l'occasione per chiarire a chi muove critiche in questa direzione che i vertici della NATO e della FAO, già programmati, si terranno regolarmente e che sarà garantito l'ordine pubblico a tutela delle istituzioni e delle libertà civili. Non saranno vietate le manifestazioni di dissenso che sono espressione viva e significativa delle società democratica, a condizione però che si svolgano nel rispetto della legalità e in forma pacifica, come prevede espressamente la nostra Costituzione repubblicana.
Non voglio in questa sede sottrarmi al tema dei contatti e delle iniziative intraprese dal Governo con gli esponenti del movimento anti-globalizzazione. Desidero chiarire che, fin dall'inizio, obiettivo del Governo è stato quello di ricercare, con il movimento no-global, la possibilità di un dialogo in una prospettiva che mira a trovare un punto di equilibrio tra esigenze contrapposte. Si è cercato di recuperare al confronto democratico e alla dialettica politica quelle frange del dissenso disponibili alle logiche del dialogo, al metodo della conciliazione degli interessi e alla mediazione politica. Non vi è mai
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stata alcuna chiusura da parte del Governo nei confronti del movimento e, se erano ritenuti inderogabili gli impegni internazionali, purtuttavia, veniva riconosciuto il diritto al dissenso del movimento stesso.
Peraltro, la linea del dialogo ha trovato conferma anche in Parlamento, onorevoli colleghi, quando con una maggioranza quasi unanime, su proposta del ministro dell'interno, si è giunti all'approvazione di uno stanziamento di 3 miliardi di lire destinato agli enti locali per l'accoglienza dei manifestanti.
È stato anche sostenuto da alcuni che il dialogo mantenuto con i rappresentanti del Genoa social forum, in particolare dal ministro Ruggiero, con il quale ho lavorato in piena sintonia, avrebbe, in sostanza, dato legittimazione agli interlocutori, poi rivelatisi inaffidabili, finendo con l'indebolire il sistema di sicurezza originariamente delineato.
Desidero qui ribadire che questo Governo ha riallacciato un dialogo già avviato e poi interrotto prima del suo insediamento durante il periodo elettorale e nella formazione del nuovo Governo. I primi contatti intrapresi con esponenti del Genoa social forum dal Ministero dell'interno risalgono, infatti, ai primi giorni del mese di aprile, quando una delegazione di quell'organismo fu ricevuta al Viminale. Nel corso dell'incontro venne rappresentato, fra l'altro, che il prefetto di Genova era stato delegato dal Governo a tenere i rapporti con le organizzazioni non governative in vista del vertice G8 e furono affrontati i problemi relativi all'organizzazione di manifestazioni di dissenso pacifiche, sollecitando l'impegno del Genoa social forum alla massima collaborazione per isolare le frange di contestazione violenta. Ma questa sollecitazione, come sappiamo, è stata completamente, in grande parte, disattesa nei giorni del vertice.
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Intenderei chiarire un ultimo profilo. Nel corso delle audizioni sono state sollevate critiche sui provvedimenti adottati dal ministro dell'interno nei confronti di alti dirigenti della Polizia di Stato. I provvedimenti che hanno riguardato tre funzionari non rappresentano in alcun modo un giudizio preventivo; essi sono stati dettati esclusivamente da ragioni di opportunità - come ho avuto modo di precisare nella proposta inviata alla Presidenza del Consiglio dei ministri - e dall'intento di garantire la piena serenità durante lo svolgimento delle indagini. Quanto poi avvenuto mi conforta sulla bontà del provvedimento, preso per garantire, come è stato nelle ultime settimane, la possibilità di non confondere ruoli di istituzioni importanti durante un'inchiesta della magistratura.
Signor presidente, signori senatori, signori deputati, vengo alla conclusione del mio intervento, con il quale ho inteso ripercorrere i tratti salienti, soffermandomi sugli aspetti di maggiore importanza. Tra questi ve ne è uno che desidero ancora sottoporre all'attenzione delle Camere, cui ho già fatto riferimento e che, come ministro dell'interno, è fonte di grande preoccupazione. Più passano i giorni e più lo stillicidio di affermazioni, illazioni e smentite, invece di attenuarsi, aumenta di intensità e di tono. Anche mediante, talvolta, una rappresentazione degli avvenimenti non rispondente al vero, ingigantiti e travisati ad arte, si tende a creare una atmosfera confusa e pericolosa che, da un lato, sembra voler delegittimare progressivamente le istituzioni e apparati fondamentali dello Stato già sottoposti ad una pressione continua e crescente e, dall'altro, punta a disorientare l'opinione pubblica.
Tutto questo in un momento nel quale occorrono, invece, riflessione ed equilibrio, di fronte a fenomeni emergenti che toccano trasversalmente le società moderne e che vanno compresi e mediati nell'esercizio della dialettica e del confronto
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politico, per evitare che possano essere utilizzati per fornire copertura a progetti che contrastano con i principi di legalità e di democrazia.
Occorre placare le polemiche e le passioni, occorre pensare al futuro, soprattutto agli impegni che tutti abbiamo davanti e all'esigenza di non mortificare, per gli errori - anche gravi - di pochi, il lavoro onesto di molti. È in gioco non il destino personale di singoli, ma quello delle forze dell'ordine e, con esso, dell'intera comunità che non può fare a meno di un servizio come quello della sicurezza pubblica che è un bene prezioso di tutti ed è un patrimonio indisponibile dello Stato, al di là dei diversi schieramenti di maggioranza e di opposizione.
Questo anche per consegnare ai tanti giovani ricchi di sentimenti positivi, pieni di speranze e di ideali, un paese in cui la passione civile non venga contaminata dalla violenza e resti fedele ai valori di una vera democrazia.
Questo è lo spirito che mi ha guidato nel convocare, il 5 settembre scorso, la riunione del comitato nazionale per l'ordine e la sicurezza pubblica, nel quale sono state tracciate per il futuro le linee di indirizzo politico in tema di ordine pubblico.
Con lo stesso spirito mi permetto di rivolgermi a voi, onorevoli colleghi, nel concludere questo intervento, talvolta necessariamente forte nei toni. Rivolgo un appello ai rappresentanti della maggioranza e dell'opposizione, affinché tutti si facciano carico delle preoccupazioni del paese, non facendo mai mancare alle forze di polizia il sostegno e l'appoggio condiviso, nella convinzione che in democrazia le forze dell'ordine non sono e non possono essere uno strumento di parte, ma sono al servizio di tutti i cittadini e non devono e non possono essere terreno di scontro politico.
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ANTONIO SODA. Signor ministro, la ringrazio per la sua relazione. Ho alcune domande da rivolgerle ma, considerate le valutazioni politiche che ella ha svolto, mi consenta di convenire con lei sul ruolo e sulla funzione del ministro dell'interno, sulla natura e sul valore della sicurezza come strumento per l'esercizio delle libertà e dei diritti dei cittadini, come, peraltro, è scritto dalla legge n. 121 del 1981.
Convengo anche sul fatto che non bisogna accettare la violenza, che non bisogna essere conniventi e che bisogna contrastarla, nonché sulle espressioni di fiducia verso tutte le forze dell'ordine come presidio delle istituzioni democratiche al servizio di tutti i cittadini; mi consenta, però, di dire che ciò non è in discussione e non è questo il tema del nostro Comitato di indagine.
Pertanto, prima di passare alle domande, mi consenta di dire che dissento dalle sue valutazioni in ordine alle questioni che sono davanti a noi e alle ragioni del mancato isolamento dei violenti; dissento su ciò che mi è parso rimanere ancora, sia pure in modo meno esplicito rispetto al suo intervento del 23 luglio, un giudizio di criminalizzazione globale dell'intero movimento, il che significa esprimere un giudizio verso centinaia di migliaia di giovani che erano a Genova solo per manifestare pacificamente.
Il terzo motivo di dissenso concerne la natura e la dimensione della violenza esercitata nei confronti di tanti, troppi, pacifici dimostranti.
Il quarto elemento di dissenso riguarda la natura e la dimensione degli abusi verso i fermati e gli arrestati. Questi, penso, dovranno essere i temi della nostra discussione generale.
Lei, il 23 luglio, in Parlamento, ha affermato che: le autorizzazioni concesse dalle autorità di Polizia prevedevano
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soltanto alcune manifestazioni per il 20 luglio sotto forma di sit-in in determinate piazze ed un unico corteo nel pomeriggio del 20 luglio, richiesto dai lavoratori aderenti al CUB. Abbiamo acquisito l'ordinanza del questore di Genova n. 1, protocollo 29/77/2001, del 19 luglio 2001, che prende atto anche dei cortei del mattino e vieta soltanto la parte terminale di questi ultimi. Conosceva, all'epoca, tale ordinanza del questore? Se non aveva contezza della presa d'atto, da parte del questore, anche del corteo delle tute bianche del mattino del 20, almeno fino a tutta via Tolemaide, chi non l'ha informata dell'esistenza di tale ordinanza?
In secondo luogo, abbiamo accertato che questo corteo fu caricato - e c'è un video che mostra le sequenze di tale intervento - da un reparto dei carabinieri in via Tolemaide, su un tratto del percorso che non era stato vietato (mancavano 200-300 metri per arrivare alla zona di interdizione che avrebbe legittimato l'intervento delle forze dell'ordine). Ha accertato chi diede le disposizioni per questa carica?
Lei ha richiamato correttamente la funzione del ministro dell'interno ed il fine primario dell'amministrazione della pubblica sicurezza: la tutela dell'esercizio delle libertà e dei diritti del cittadino. Nel corso delle audizioni, attraverso le documentazioni acquisite, è emerso che per molti di questi diritti tale esercizio non è stato pienamente assicurato. Vi sono state devastazioni, saccheggi ed eccessi su liberi manifestanti. Nell'ordinanza del 12 luglio il questore di Genova correttamente si pone il problema del contrasto di coloro che erano a Genova ad esercitare la violenza nelle forme della guerriglia urbana a cui lei stesso ha fatto riferimento. In tale ordinanza si risponde all'esigenza di accerchiare, isolare, arrestare i violenti, impedirgli di rientrare o di muoversi liberamente all'interno dei cortei, attraverso la presenza di reparti mobili
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sul territorio. Abbiamo appreso che i suddetti reparti mobili o non sono stati utilizzati - queste sono le dichiarazioni del generale comandante dell'Arma dei carabinieri, con riferimento alla «perla» del reparto mobile di tale Arma, il Tuscania - o sono stati utilizzati senza dare risultati, come il VII nucleo della celere di Roma. Comunque, l'analisi dei processi verbali di arresto porta a rilevare che non vi sono stati arresti in flagranza di soggetti violenti e black bloch. Lei si è chiesto per quale ragione tali reparti mobili non hanno funzionato o non sono stati impiegati oppure non hanno prodotto risultati in termini di isolamento e di contrasto della violenza?
Sono rimasto un po' perplesso - capisco solo attraverso il cosiddetto grafico delle comunicazioni - sul sistema di intercomunicazione fra la questura, i reparti, i plotoni, le squadre ed il comando provinciale dell'Arma dei carabinieri. Vi è stata una circolazione degli ordini e dei comandi molto confusa e complicata, tanto che un funzionario di pubblica sicurezza ci ha detto che, volendo e dovendo dare disposizioni ad alcuni reparti dei carabinieri, non era in grado di farlo perché non riusciva ad individuare chi lo comandasse: non poteva dare ordini a carabinieri poco distanti da lui perché doveva passare attraverso il comandante del reparto. Questo meccanismo di coordinamento (mi riferisco alla questione delle centrali: una della Polizia, una dei carabinieri, una interforze, la centrale situazione internazionali, eccetera) a me sembra che non funzioni. Se lei ha verificato questo, che proposte ha per rendere effettivo e reale il coordinamento delle forze di Polizia in queste vicende?
Nel decreto del ministro della giustizia Castelli si parla di succursali, di aree e di siti penitenziari costituiti presso la caserma San Giuliano e la caserma di Bolzaneto. Ieri ho
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sostenuto - e continuerò a sostenerlo - che la costituzione di una mostruosità del genere (cioè di un luogo che non è più caserma né diventa sito penitenziario, con agenti di polizia che entrano ed escono, carabinieri, arrestati, fermati, sale di polizia giudiziaria, sale matricola, e così via) ha creato quella confusione che ha sospeso, per troppe ore, molti diritti costituzionali di fermati ed arrestati e ha provocato quegli abusi la cui natura e dimensione verrà accertata dall'autorità giudiziaria. Lei era stato informato e ha dato il suo assenso alla costituzione di questo centro? Ripeterebbe l'istituzione di un centro che all'apparenza è un sito penitenziario e che, in realtà, resta un po' caserma, un po' sito penitenziario e diventa quello che ho definito un campo di concentramento?
GRAZIELLA MASCIA. Signor ministro, condivido l'augurio che lei ha espresso in premessa circa la necessità e la possibilità di rinnovare la fiducia dei cittadini verso le istituzioni. Non ho, però, il tempo per argomentare tutte le cose che non condivido della sua relazione: sarà un'altra la sede in cui potrò farlo poiché qui ho pochissimi minuti a disposizione e le rivolgerò solo alcune domande.
Lei ha detto il 23 luglio e ha ribadito qui che tra le responsabilità per le cose che non sono andate bene a Genova vi è quella riguardante la vicenda del corteo delle Tute bianche partito dallo stadio Carlini. Abbiamo appurato in questa sede che tale corteo era autorizzato e che la parte del percorso non autorizzata non è stata mai raggiunta dal corteo stesso (mancavano ancora centinaia di metri). Abbiamo anche appurato, come testimonianze dirette avevano anticipato, che cariche a freddo dei carabinieri sono partite da via Tolemaide.
Signor ministro, forse si ricorderà di una telefonata dell'onorevole Giordano prima che noi arrivassimo. Ero con l'onorevole Giordano ed altri deputati di Rifondazione comunista
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quando le abbiamo chiesto, proprio per il clima che avevamo constatato in determinati punti della città dove c'erano i violenti, rassicurazioni circa la possibilità di arrivare in via Tolemaide, avere un contatto con le forze dell'ordine e verificare quali fossero ancora gli spazi di manovra. Lei ci ha rassicurato e non ho motivi, ancora oggi, di dubitare della sua sincerità. Tuttavia, ho bisogno di capire cosa sia successo in quella giornata. L'ho chiesto al questore ed al capo della Polizia: non ho capito perché quei carabinieri, con le modalità che lei conosce, girando repentinamente in un angolo ed interrompendo la rincorsa di un gruppo ristretto di violenti, ha realizzato questa carica veloce.
Spero che lei oggi possa darmi una risposta; atteso, infatti, l'assillo che mi tormenta vorrei sapere se le vicende di quella giornata avrebbero potuto andare diversamente, e penso alla morte di Carlo Giuliani. Proprio quei fatti hanno poi determinato il successivo corso degli eventi, specie riguardo l'operato delle forze dell'ordine; mi riferisco alle camionette, ai blindati e quant'altro.
Inoltre, oggi lei ribadisce una critica pesante al Genoa social forum, specie per la sua inaffidabilità. In questa sede, abbiamo, in questa sede, ricostruito tanti aspetti: credo, sinceramente, che tale critica, al di là della parte che rappresento - per inciso, faccio parte del Genoa social forum - non possa essere sostenuta. Anzi, i manifestanti pacifici sono stati vittime due volte in quella situazione: dei violenti che hanno potuto «scorazzare» continuamente; delle forze dell'ordine che hanno caricato, indistintamente, in tutte le situazioni. Tuttavia, dal momento che lei conferma il suo giudizio, vorrei sottoporle la seguente questione: anche in quei giorni, lei aveva rilasciato dichiarazioni che garantivano una serena gestione della piazza nonché la capacità, da parte delle forze dell'ordine, di agire
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con l'elasticità necessaria in simili situazioni. Le chiedo, perciò, come mai non sia stato così e come mai sia mancata detta elasticità. Perché non si è riusciti ad isolare i gruppi violenti?
Riguardo al coordinamento delle forze dell'ordine, le chiedo se effettivamente vi è stato o se invece riconosce eventuali errori in questo senso, cui ascrivere la responsabilità dei fatti. Oppure causa ha, radici più profonde rispetto al piano strategico?
Le chiederei anche - indipendentemente dall'aspetto, da lei già chiarito, afferente alla gestione della zona gialla - se il piano operativo abbia conosciuto soluzioni di continuità nella transizione da un Governo all'altro. Nella documentazione esaminata, abbiamo riscontrato, invece, un lavoro durato mesi consistito nella preparazione, nell'opera di intelligence.
Lei ha riferito alla Camera citando una fonte statunitense che parlava di 5 mila black bloc; al di là dei numeri - infatti, poi, si è parlato di 2.500 -, le chiedo, per curiosità, perché, in quella sede, abbia citato una fonte statunitense e non una fonte italiana. È una curiosità che vorrei soddisfare.
Le chiedo ancora di rispondere su una questione specifica. Lei ha firmato il secondo decreto, quello sull'acquisto dei Tonfa: personalmente, credo che sull'utilizzo di tale manganello sarebbe opportuno, una riflessione; capisco, tuttavia, che, forse, i miei suggerimenti non sono opportuni. Abbiamo appreso, dalla documentazione inviataci dal capo della Polizia, che, se si è potuto acquistare, appunto, i Tonfa, non si è potuta, però, avere una dotazione di pallottole di gomma, atteso che sono mancati i tempi necessari per lo svolgimento delle procedure. Lei avrebbe firmato un decreto per l'acquisto delle pallottole di gomma? Ritiene che, in futuro, questa possa essere una strada da seguire nella gestione dell'ordine pubblico?
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Ancora, vorrei, molto velocemente, sottoporre alla sua attenzione due questioni. Il suo ministero, il 20 luglio, di fronte ad una denuncia della Federazione della stampa, asseriva non corrispondere a verità l'ipotesi che personale delle forze dell'ordine indossasse le pettorine riservate ai giornalisti. Successivamente, lo stesso giorno, un'agenzia comunicava: i manifestanti hanno malmenato un motociclista; poi, un poliziotto è sceso da una moto, pochi metri avanti, è tornato ed ha sparato tre colpi in aria. Tale episodio - abbiamo letto nel rapporto steso dall'ispettore - fa riferimento, appunto, alla circostanza di dover difendere questo motociclista che aveva la pettorina di giornalista ed era un esponente delle forze dell'ordine. Le chiederei, dunque, se il ministero abbia elaborato una riflessione su come sono stati trattati i giornalisti e gli esponenti dell'informazione.
Infine, la questione Diaz. Lei ha detto, sempre il 23 luglio...
PRESIDENTE. Onorevole Mascia...
GRAZIELLA MASCIA. Ho finito, presidente...
PRESIDENTE. Ci mancherebbe! Le consento senz'altro di terminare. Volevo soltanto sollecitarla a formulare la domanda.
GRAZIELLA MASCIA. Certamente, presidente. Lei, signor ministro, il 23 luglio ha riferito alla Camera, a proposito della scuola Diaz, che gli accertamenti svolti circa gli arrestati hanno permesso di rilevare che molti di loro fanno parte di organizzazioni anarchiche assai attive ed erano stati già tratti in arresto durante lo svolgimento di altri vertici. Mi risulta che spesso, in occasione del vertice di Genova, non sia stato possibile procedere all'arresto; tutti gli arrestati, inoltre, sono
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stati scarcerati. Le chiedo se confermi il giudizio da lei espresso nella già ricordata occasione, alla Camera, rispetto al fatto che, naturalmente, non abbiamo delle informazioni adeguate.
Ad ogni modo - atteso l'unanime riconoscimento della circostanza che, alla scuola Diaz, sono avvenuti fatti che non dovevano accadere - esprimo il convincimento che, giustamente, la magistratura debba svolgere il suo compito; almeno in questa sede, infatti, non sono particolarmente interessata a comprendere le responsabilità individuali perché il loro accertamento spetta ad altri poteri dello Stato. Noi, però, dobbiamo accertare responsabilità organizzative: con questo, non intendo dire «politiche», piuttosto mi riferisco all'accertamento di quanto non ha funzionato e delle disposizioni impartite a quel livello. In questa sede, abbiamo assistito ad uno spettacolo non edificante per le forze dell'ordine; vi sono state contraddizioni sugli orari, sulla disposizione degli uomini...
PRESIDENTE. Onorevole Mascia, la prego di concludere.
GRAZIELLA MASCIA. Non ritiene che tale punto debba essere chiarito in sede istituzionale e non giurisdizionale? La relazione dell'ispettore non fa chiarezza; speravo che lei, oggi, potesse aiutarci a ricostruire l'accertamento delle responsabilità, atteso che noi non vi eravamo riusciti.
GIANNICOLA SINISI. Signor ministro, la ringrazio per la sua esposizione. Voglio fare subito una breve premessa: noi, non soltanto siamo preoccupati e vogliamo vi sia il rigoroso rispetto delle istituzioni e delle forze dell'ordine; vogliamo anche vi sia il rigoroso rispetto della sua persona, come autorità nazionale di pubblica sicurezza. Infatti, crediamo che,
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proprio nel rispetto della funzione assolta dal ministro dell'interno, si trovi il primo presidio della democrazia nel nostro paese. Per questo motivo, i suoi commenti, le sue indicazioni - che, pure, avremmo voluto sentire in un'occasione diversa dalla presente - mi impongono di sottoporle le seguenti considerazioni.
Noi «saremo a fianco» del ministro dell'interno quando vorrà utilizzare la sua figura di autorità unica nel nostro paese, di garanzia unica dell'esercizio delle funzioni democratiche di controllo della pubblica sicurezza nel nostro territorio. Quanto, poi, alle questioni di buonsenso, da lei rappresentate, vorrei dirle - e tranquillizzarla, in questo senso - che il Comitato non ha mai avuto la pretesa di esercitare il suo sindacato nei confronti degli abusi commessi dalle forze dell'ordine. Piuttosto, ha avuto la pretesa di accertare la verità. Per tutti coloro che hanno un'ispirazione cristiana, la verità non è cosa di cui preoccuparsi; è, invece, una grande ambizione. Inoltre, mi permetta di dirle che noi abbiamo la precisa convinzione, sempre in base al detto buonsenso, che in piazza, solitamente, vi siano non soltanto i poliziotti ed i carabinieri ma anche i figli di costoro. Quindi, a noi si chiede di esercitare la nostra funzione con equilibrio e buonsenso, nel rispetto delle istituzioni e delle libertà democratiche esistenti nel paese. Vogliamo cogliere l'occasione rappresentata da questo Comitato affinché non soltanto si accertino i fatti ma si possano formulare anche proposte per garantire l'ordine pubblico in modo sempre migliore.
Detto ciò, formulerò molto rapidamente quattro domande. La prima questione afferisce a quanto lei ha ribadito circa la gestione della zona gialla, quando ha detto che non era stata abolita ma, piuttosto, diversamente interpretata. Ebbene, abbiamo un'ordinanza del prefetto di Genova, in data 2 giugno
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2001, che così dispone circa le diverse zone: zona rossa, assolutamente blindata; zona gialla, divieto di manifestazioni, di volantinaggio, di sosta degli autoveicoli; zona verde, vietati i cortei. Ora io le chiedo se - alla luce di quanto è accaduto ma anche sulla base delle informative allora ricevute in ordine alle modalità operative dei black bloc e degli altri gruppi antagonisti violenti, alla loro possibilità di infiltrarsi all'interno delle manifestazioni - lei reputi che le modifiche introdotte siano state opportune.
La seconda questione che voglio sottoporre alla sua attenzione riguarda il coordinamento delle forze di polizia. Io le sottoporgo l'argomento, che cercheremo di portare anche in sede di documento conclusivo nell'intento di formulare proposte migliorative: al di là delle questioni sollevate dal collega Soda sulla particolare realizzazione delle sale operative, abbiamo constatato una separatezza dell'azione dell'Arma dei carabinieri rispetto a quella condotta dalla Polizia di Stato e dalle altre forze di polizia. Tanto più ciò sorprende, se si pensa che si tratta di una funzione nell'esercizio della quale esiste una precisa responsabilità del funzionario di pubblica sicurezza. Io la invito, e lei certamente l'avrà già fatto, a sentire una dichiarazione bellissima, nella sua semplicità ed autenticità, resa da un giovane funzionario di polizia. Questi ha detto che, mentre era alla guida di un drappello dei carabinieri, poteva, a voce, parlare soltanto con il capitano dell'Arma, che guidava i suoi uomini. Ed ha aggiunto che non era in grado di parlare con quegli uomini, ed altresì ha detto che non aveva una radio per parlare con il capitano, tant'è che, quando hanno indietreggiato, non ha potuto nemmeno più riconoscere il capitano rispetto agli altri carabinieri.
Un'altra questione che ho posto personalmente al generale Ganzer è la seguente: vi sono state alcune investigazioni
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giudiziarie relative ad un gruppo di tedeschi in contatto con anarco-insurrezionalisti italiani, gruppo che, già oggetto di investigazioni giudiziarie, sarebbe poi stato notato a Genova, anche se - si dice - senza partecipare alle devastazioni.
Lei è stato informato di queste investigazioni giudiziarie relative a fatti rilevanti per l'ordine e la sicurezza pubblica?
La terza questione: durante i giorni del vertice lei ebbe modo di lamentarsi della mancanza dell'esecuzione di arresti? Sembra infatti che all'inizio, nonostante gli scontri, non vi sia stato un significativo numero di arresti. Proprio alla luce della preoccupazione di difendere non soltanto le forze dell'ordine ma anche la funzione di presidio democratico dell'autorità nazionale di pubblica sicurezza, lei ebbe modo di dolersi del fatto che altri esponenti di Governo - e mi riferisco segnatamente al Vicepresidente del Consiglio dei ministri Fini, e al ministro della giustizia Castelli - si trovassero in strutture di polizia, mentre lei esercitava la funzione di indirizzo politico e di governo delle forze dell'ordine nel nostro paese in una fase così delicata ?
SAURO TURRONI. Signor ministro, la ringrazio per l'intervento: avrei voluto solo ascoltarla senza intervenire, ma talune sue considerazioni mi inducono a rivolgerle alcune domande.
La prima riguarda il corteo di via Tolemaide: lei ha parlato di lanci, di molotov, di attacchi e via dicendo. Ascoltando così tanti personaggi che sono venuti a relazionare di fronte a questo Comitato e vedendo così tante contraddizioni, preferisco adoperare i miei occhi. Ebbene, abbiamo potuto vedere che le cose non sono andate come lei ci ha riferito e come, forse, qualcuno le ha rappresentato, nel senso che nel filmato si vede un corteo immobile, dal quale non parte assolutamente nulla, e che viene fatto oggetto di una carica dei carabinieri.
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A questo proposito le chiedo, signor ministro, se intenda anche lei - come abbiamo fatto noi - valutare meglio, alla luce di altri fatti che adesso le elencherò, quello che è effettivamente accaduto in quella circostanza.
Signor ministro, abbiamo potuto apprendere, vedere e considerare che le iniziative violente di frange molto violente di questo composito movimento sono partite alle 10,45 del giorno 20 luglio in piazza Paolo Da Novi, lontana chilometri dal luogo dal quale, oltre tre ore più tardi, è partito il corteo prima menzionato. Ci siamo domandati più volte perché quelle forze che avrebbero dovuto accerchiarli, secondo le disposizioni dell'ordinanza e la strategia messa in atto, non siano state in grado di farlo (poi abbiamo visto che c'è qualcuno che si perde per strada) ma soprattutto perché (le chiedo di rispondermi subito, se è in grado di farlo, oppure di accertarlo) rivolgo la domanda se lei è in grado di fornirmi una risposta oppure di accertare tutto ciò - tutto questo non sia stato possibile nonostante una nota dei Servizi avesse individuato con precisione (a seguito di riunioni che si erano tenute la sera del 18 e del 19) addirittura i luoghi dove questi avrebbero, diciamo così, piantato le loro grane.
Erano indicati persino i posti, si sapeva praticamente tutto, gli uomini erano preparati e c'era la strategia per andarli a bloccare. Signor ministro, sono molto soddisfatto per l'inchiesta ispettiva che lei ha disposto a proposito dei fatti relativi alla scuola Diaz, però mi permetta di dire che non si tratta soltanto di polemiche: tali episodi hanno gettato un'ombra veramente grande sul nostro paese e sulle nostre forze di polizia. Voglio ricordarle la vicenda molto preoccupante del centro stampa; abbiamo visto dai filmati - e ce l'hanno anche raccontato - computer e videocamere distrutte. Non crede di dover disporre un'indagine specifica per tale questione che
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riguarda un asserito errore? Ritengo possibile - viste le tante motivazioni - che esso fosse volto a cancellare documentazione, compresa magari l'immagine dell'irruzione che si era appena verificata.
Lei ha parlato di contraddizioni e di errori: ce ne sono, li hanno compiuti i funzionari - mi riferivo a questi ultimi quando dicevo che preferivo vederlo con i miei occhi -, ma mi sono sembrati veramente troppi, soprattutto per la vicenda della scuola Diaz e dell'edificio prospiciente, quello del centro stampa, soprattutto perché erano presenti così tanti dirigenti, alti dirigenti, e non solo dei militari di truppa. Mi preoccupa il fatto che essi non siano stati in grado - proprio nei confronti di quei giovani a cui lei giustamente si è rivolto dicendo «non dobbiamo consegnarli alla violenza, non dobbiamo indurli a non avere fiducia nelle istituzioni e nella Polizia» - di controllare, di bloccare, di impedire e di denunciare. Lei ha dovuto disporre un'ispezione, noi abbiamo avviato un'indagine conoscitiva, ma non è emerso nulla. Signor ministro, quali ulteriori iniziative predisporrà?
Un'altra questione riguarda l'eccesso di difesa per così dire, da parte delle forze dell'ordine. Probabilmente io mi impressiono molto facilmente, però non mi era mai capitato di vedere tanti feriti, tante lacerazioni profonde ed estese, tante fratture e così tanto sangue, veramente troppo, soprattutto alla testa. Abbiamo potuto prendere visione di un documento redatto benissimo, non so se all'epoca in cui lei era ministro o in precedenza, relativo all'istruzione di tutti coloro che dovevano intervenire sul campo e anche il decalogo predisposto dal vicecapo della polizia Andreassi: ebbene, si parlava di fortissime randellate sulla testa, magari con uno strumento che, probabilmente, è inadatto perché troppo pericoloso. A questo proposito, signor ministro, le chiedo cosa intenda fare, perché
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è vero che sono stati episodi, ma sono stati troppo numerosi, troppo diffusi e con ferite troppo gravi. Pur nel legittimo esercizio dell'uso della forza per contrastare i violenti, i risultati non devono essere altrettanto violenti.
Lei ha affermato che gli stessi manifestanti devono isolare i violenti, però le ricordo che il primo compito suo e della sua struttura è difendere coloro che pacificamente intendono manifestare, così come prevedevano quelle disposizioni adottate nella prima ordinanza: l'accerchiamento, la separazione e via dicendo.
GIANCLAUDIO BRESSA. La ringrazio, signor ministro, per la relazione che ci ha reso, anche se mi aspettavo un taglio leggermente diverso e le spiego il perché. Condivido pienamente l'esigenza di guardare al futuro; credo anche che i lavori del Comitato debbano avere come orizzonte il dopo e che ciò sia tanto più importante proprio alla luce di quanto è accaduto a Genova. La inviterei, signor ministro, ad operare una riflessione su alcuni fatti che sono accaduti a Genova e che non possono essere ascrivibili unicamente a responsabilità di singoli.
Vi sono stati dei fatti che noi abbiamo il dovere di indagare e che lei ha il dovere di far sì che non si ripetano mai più. Nell'adempimento di funzioni di governo che ho svolto nella precedente legislatura, ho avuto modo di conoscere molto da vicino gli operatori delle forze di polizia e ne ho apprezzato la lealtà alle istituzioni democratiche e l'alto senso di responsabilità, per cui so chi sono queste persone, e non vorrei che si producesse una frattura fra società civile e forze dell'ordine, perché questa democrazia non lo potrebbe accettare. Non potrò mai immaginare una democrazia nella quale il diritto di manifestare e il diritto di garantire l'ordine pubblico vengano avvertiti come alternativi tra loro; questo non è, questo non
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deve essere, non è mai stato e credo che questo sia uno dei compiti più importanti ai quali lei, come ministro, è chiamato.
Tuttavia, a Genova sono accaduti dei fatti che ci devono far riflettere. Uno lo ha appena ricordato il senatore Turroni: la perquisizione della scuola Diaz credo sia difficilmente ascrivibile nell'ambito di responsabilità di singoli.
Ho ascoltato con piacere quanto da lei affermato, cioè che non vorrebbe mai vivere in un paese in cui il ministro dell'interno ha il potere di ordinare le perquisizioni. Dunque, chiedo a lei - come ministro dell'interno - di far sì che una perquisizione di polizia giudiziaria, in questo paese, non avvenga più con le stesse modalità di quella eseguita nella scuola Diaz. Una perquisizione che è avvenuta con quelle modalità non per fatti tecnici; non si è mai visto, infatti, un reparto mobile entrare e distruggere, anziché cercare le prove. Credo che quanto avvenuto in quell'occasione non sia ascrivibile a responsabilità di singoli, ma sia un fatto che va indagato, fino in fondo, per la gravità che ha rappresentato nel preciso momento in cui è avvenuto e per ciò che può rappresentare per il futuro della democrazia del nostro paese. Le chiedo pertanto se abbia riflettuto in proposito e quali siano le sue intenzioni e quelle del suo Governo, affinché un fatto del genere non si debba più ripetere.
L'altra questione - ed è questo forse l'elemento di maggiore insoddisfazione rispetto alla sua relazione - riguarda la mancata indicazione delle sue direttive, dei suoi indirizzi politici, di fronte ad un mutamento di strategia da parte del Governo Berlusconi.
Lei ha fatto riferimento più volte alla rimozione della zona gialla e alle critiche mosse al riguardo. Credo che lei, nell'aver perseguito fino in fondo la strategia del dialogo, abbia fatto
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bene, che questa sia stata una scelta di grande responsabilità e di ciò voglio dargliene pienamente atto. Tuttavia non mi basta.
Esistono molte sue dichiarazioni, ma le cito solo quella che - in questo momento - ho trovato in mezzo al mare di carte che abbiamo. In una lettera aperta al Secolo XIX dei primi giorni di luglio, lei afferma: «Abbiamo rivisto i piani organizzativi di sicurezza proprio per dare uno spazio adeguato a tali manifestazioni», credo che questa sia stata una scelta di grande responsabilità. Però, accanto all'aver messo in discussione ciò - cioè ad aver consentito di poter svolgere manifestazioni nella zona gialla - noi disponiamo di una serie di dati che stanno ad indicare come i servizi di sicurezza avessero, in qualche modo, preavvisato tutti quanti che le manifestazioni erano uno dei possibili strumenti che i black bloc utilizzavano per schermarsi, per confondersi, per non farsi prendere. Poco fa, lei ci ha riferito che, soprattutto dopo Göteborg, le vostre preoccupazioni erano accresciute. Poiché immagino che questi rapporti dei servizi lei li conoscesse perfettamente bene, quali sono state le indicazioni che ha dato alle forze di polizia per impedire che i black bloc facessero un uso improprio delle manifestazioni?
L'ultima domanda. Raccordandomi ad una considerazione del collega Sinisi, ho riscontrato anch'io un pericoloso scollamento tra le forze di polizia e tra i loro comportamenti. Tale situazione ha trovato riscontro anche in questa sede; infatti, anche in questo caso, a fronte di precise domande rivolte a diverse persone (io ho formulato la stessa domanda a più interlocutori), ho ricevuto risposte diverse: il vicecapo della Polizia mi ha detto una cosa, il generale Siracusa me ne ha detta un'altra, il comandante Tesser me ne ha detta un'altra ancora. Tutto ciò sempre con riferimento alla stessa domanda.
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La cosa più grave è che, in questa sede, è emerso che i carabinieri avevano effettuato pedinamenti di persone che erano state tenute sotto controllo per operazioni di polizia giudiziaria, durante quei giorni - e si faceva esplicito riferimento ad anarchici insurrezionalisti o a black bloc - e a Genova costoro non sono stati fermati; come è possibile tutto ciò?
Il problema non è di lamentare se c'è stato...
PRESIDENTE. Onorevole Bressa, ponga la domanda, per cortesia! Lei ha già superato il tempo a sua disposizione di oltre un minuto.
GIANCLAUDIO BRESSA. Il problema non è se c'è stato uno scoordinamento o un tentativo di commissariare il prefetto o il questore, questo non c'è stato, nessuno lo può contestare. Il problema che è emerso, in maniera chiara, è che non c'è stato un coordinamento vero tra le forze di polizia che operavano lì e ciò è stato testimoniato anche in questa sede.
Cosa si può fare, cosa intendete fare, affinché ciò non si ripeta?
LUCIANO VIOLANTE. Signor ministro, ci aspettavamo da lei un quadro chiaro dei fatti, ma questo non c'è stato; ecco perché le vengono poste tante domande di chiarimento in merito ai fatti accaduti.
Lei ha fornito alcune valutazioni politiche, alcune condivisibili altre meno, ma c'è un punto sul quale tutti dobbiamo essere d'accordo e credo che vedremo, poi, come esplicitare questo punto attraverso una dichiarazione comune, indipendentemente dalle posizioni finali che assumeremo.
I punti sono questi. Primo: solidarietà di tutte le forze politiche alle forze di polizia; secondo: è comunque intollerabile
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che appartenenti alle forze di polizia usino, intenzionalmente e senza giustificazione, violenza nei confronti dei cittadini; terzo: assicurare il diritto di manifestare liberamente e pacificamente; quarto: colpire severamente quei cittadini o non che approfittano di manifestazioni per usare violenza contro le cose e contro le persone. Credo che questi siano punti sui quali tutti possiamo ritrovarci e che creano - come dire? - un quadro che non rende le forze di polizia incerte come, invece, credo siano state, non per loro colpa, ma perché - signor ministro - ci sono stati vari indirizzi. Infatti, una parte della maggioranza ha espresso prima, durante e dopo queste vicende, indirizzi del tutto diversi da quelli che sono stati espressi da lei e da altri appartenenti alla maggioranza stessa. Ciò ha comportato una divaricazione e un'incertezza e, in questa divaricazione e in questa incertezza, si collocano i disordini, o meglio gli abusi, che sono avvenuti.
Detto ciò, la seconda questione è la seguente: lei ha espresso un certo fastidio - mi scusi, signor ministro - per l'attività di questo Comitato. È un fastidio sbagliato.
CLAUDIO SCAJOLA, Ministro dell'interno. Fastidio...?!
LUCIANO VIOLANTE. Sì, perché ha detto che si parla ancora di queste cose a distanza non so di quanto tempo.
Il punto è questo: un Governo, in un Stato democratico, è sottoposto al controllo del Parlamento. È responsabilità del Parlamento che il controllo sia rapido, efficace e che non ci siano abusi in dichiarazioni, come forse ci sono stati in questi giorni. Tuttavia, è sua responsabilità, in quanto ministro, essere sottoposto al controllo del Parlamento.
Per quanto riguarda le questioni specifiche, vi è un punto che ci impegna sin dall'inizio: lei ha una valutazione da fare o sa perché le violenze sulle cose non sono state represse?
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Secondo: quali sono le ragioni per le quali vi è stato uno scarto tra l'accuratezza della preparazione - sia prima sia sotto la sua responsabilità - e la gestione?
Terzo: le era noto che il Vicepresidente del Consiglio dei ministri sarebbe stato a Genova in quei giorni? Le era stato detto perché e con quali funzioni?
Infine, c'è un problema che riguarda il futuro dell'ordine pubblico, nel senso che abbiamo riscontrato una serie di defaillance di comunicazione tra i vari corpi di polizia e, forse, desuetudine al profilo «guerriglia», che si è manifestato a Genova e al quale non eravamo abituati. Vorrei sapere come il ministro dell'interno intenda operare, nel futuro, in relazione a tali questioni.
LUCIANO FALCIER. Da parte mia - e sono convinto di non essere il solo - vorrei esprimere un particolare ringraziamento al ministro per la chiarezza della sua esposizione e soprattutto - sarò inevitabilmente breve per non aggiungere nulla che non sia essenziale - degli obiettivi del suo Ministero in materia di ordine pubblico e di sicurezza. Credo di poter dire che le sue parole, i principi, gli impegni che ha assunto e che ha espresso siano quelli che le forze dell'ordine e i cittadini si aspettavano. Per quanto mi riguarda - e, ripeto, sono convinto di non essere il solo - credo che i cittadini e le forze dell'ordine si aspettassero le sue affermazioni e i suoi impegni e, probabilmente, le saranno grati.
Convengo, in particolare, su due aspetti - sempre per voler essere molto breve -: prima di tutto, che le forze dell'ordine, oltre alle affermazioni di rito, hanno bisogno di sentirsi confortate ed apprezzate nei loro compiti dai rappresentanti politici e dai rappresentanti delle istituzioni. È troppo facile e troppo scontato fare affermazioni di rito, di circostanza, a cui però non corrispondono coerenti prese di posizione al momento
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opportuno. Inoltre, convengo anche sul fatto che ogni tolleranza, comprensione, sottovalutazione di tutti i tipi di violenza vada esclusa e non condivisa, perché può diventare corresponsabilità di fatti e avvenimenti non previsti, non condivisi, ma in qualche modo permessi o addirittura agevolati. A questo proposito, vorrei chiederle se, nell'esperienza di Genova e delle vicende ivi avvenute, il Genoa social forum sia stato l'unico esclusivo interlocutore oppure già si sapesse (ora si sa) che un altro mondo - il quale, forse in ritardo, si sta distinguendo dal Genoa social forum - rappresentava e certamente rappresenta un settore esperto e sensibile alla cooperazione ed alla solidarietà internazionale.
Infine, vorrei sapere se, alla luce di quanto accaduto a Genova e nella consapevolezza che non si tratti più solo di problemi di ordine pubblico, ma certamente ormai di fatti definibili «di guerriglia urbana», il ministro preveda che vi possa o vi debba essere un'ulteriore formazione, preparazione per gli addetti alle forze dell'ordine che si troveranno, certamente, in futuro a dover confrontarsi con nuove situazioni, nuovi pericoli e nuove emergenze per l'ordine pubblico.
CESARINO MONTI. Signor ministro, sono completamente d'accordo con lei e la ringrazio per la sua schiettezza nell'esprimere il suo pensiero. Prima di farle una domanda - una sola domanda - vorrei fare una premessa. Siamo giunti al termine della sessione di audizioni svolte dinanzi al Comitato di indagine parlamentare sui fatti del G8. Ritengo che, per alcuni aspetti, si siano riproposte situazioni che si erano già ampiamente palesate prima, durante e dopo i fatti di Genova. Mi riferisco principalmente alla posizione preconcetta, alle pregiudiziali marcatamente politiche che non hanno fatto altro che rallentare l'attività del Comitato, nel tentativo, forse, di condurre la panoramica conoscitiva dello stesso ad un
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orientamento di parte (tentativo che potrebbe risultare vano). È importante, comunque, evidenziare come non siano mancati elementi di contraddizione nella relazione di coloro che erano preposti al coordinamento delle forze dell'ordine, tanto è vero che per alcuni lo stesso Comitato ha pubblicamente chiesto una nuova audizione che potesse chiarire gli elementi di contrasto. Da questo contesto, a mio parere eccessivamente confuso, abbiamo però potuto comprendere l'assoluta buona fede dei ragazzi delle forze dell'ordine, i quali hanno svolto i compiti a cui sono stati assegnati nel modo migliore, e l'indiscutibile senso di responsabilità che ha guidato l'operato dei funzionari di polizia territoriali, a volte soppiantati dalle prevaricazioni decisionali di Roma.
Come dicevo, la confusione e la contraddizione forse sono state volute. Non quella contraddizione propria di quei momenti che vedono l'incalzare della verità ed il soccombere di scricchiolanti teoremi, ma quella che, al contrario, si produce per alimentare dubbi e perplessità nella speranza che ruoli e funzioni rimangano inalterati. A questo proposito, sarà lei, signor ministro, a dover assumere le determinazioni più opportune, così come la magistratura adotterà le proprie.
Colgo l'occasione, signor ministro, per ringraziarla per la sua presenza, ma ancora di più per la tempestività e l'impegno con cui sta affrontando l'emergenza sicurezza, tornata alla ribalta delle cronache con i drammatici fatti accaduti al nord, al centro e al sud dell'Italia, che l'ha indotta a considerare l'esigenza di istituire un corpo di polizia di prossimità, come ha annunciato a margine della riunione del Comitato nazionale per la sicurezza e l'ordine pubblico, un concreto ed evidente passo avanti sulla strada di un vero federalismo. Perdonate la divagazione che ritengo comunque opportuna, poiché è indiscutibile che i presenti siano chiamati, in questo
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contesto, a discutere degli incresciosi fatti di Genova, ma è altrettanto inconfutabile che là fuori, mentre qui dentro discutiamo da giorni su un'assurda guerriglia, la nostra onesta e laboriosa gente è costretta a subire le scorribande di un esercito di delinquenti, a cui, in passato, qualcuno ha voluto spalancare le porte di ingresso del nostro paese.
Dopo la sua relazione, le audizioni di ieri in quest'aula del dottor Agnoletto e del signor Casarini, sedicenti responsabili del Genoa social forum, i quali hanno incentrato le loro relazioni attaccando in continuazione polizia, carabinieri, parlamentari ed altre istituzioni...
PRESIDENTE. Senatore Monti, la invito a formulare la domanda: pertinente all'argomento che stiamo trattando.
CESARINO MONTI. ...e non condannando coloro che hanno messo a ferro e fuoco una città, le chiedo, guardando al futuro, come lei ha detto: in un prossimo vertice, accetterebbe di avere come interlocutori personaggi come Agnoletto e Casarini?
GRAZIA LABATE. Signor ministro, lei ha fatto un richiamo costante ai principi, garantiti dalla nostra Costituzione, di democrazia, di rispetto del senso della sicurezza di questo paese, dei diritti di libertà di manifestazione del pensiero, principi che, credo, siano cari a tutti. Condivido, in particolare, un passaggio in cui ella ha detto che il problema della sicurezza e del ruolo delle forze dell'ordine è un problema trasversale, che deve riguardare l'intero paese e che non può essere un problema della maggioranza o dell'opposizione. Questo è un problema nostro, di tutti. Tuttavia, le posso assolutamente assicurare che lo spirito con cui abbiamo lavorato in tutti questi giorni...
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PRESIDENTE. Onorevole Labate, mi perdoni, ma lei, complessivamente, ha due minuti e mezzo a disposizione. Già ne ha consumato uno: la invito a formulare le domande.
GRAZIA LABATE. Va bene. Lo spirito con cui questo Comitato ha lavorato è proprio questo: non ci sfuggono questi valori di riferimento.
Prima di tutto, vorrei sapere se lei era a conoscenza di tutta l'azione di intelligence svolta per le preoccupazioni che si dicevano? Era a conoscenza, in particolare, che alcune informative di intelligence prevedevano l'azione dei black bloc a partire da piazza Paolo da Novi?
Gli apparati di sicurezza come si dovevano comportare sul luogo?
Seconda domanda. Genova ha avuto una profonda ferita morale. Molti colleghi le hanno domandato se lei, ministro Scajola, si sia chiesto perché nessuno dei devastatori sia stato preso sul fatto. Ovviamente, già i colleghi hanno messo in evidenza le contraddizioni che abbiamo sentito finora. Questa mattina, sul quotidiano della mia città - era una bella intervista rilasciata dalla sua famiglia - ho letto la preoccupazione, e forse dalle parole di questa intervista si comprende anche il senso dello stupore quando seppe del blitz alla Diaz. Ecco, mi basta leggere dal quotidiano della mia città che lei rimase allibito. A tale proposito desidero rivolgerle la domanda. Come ed in che modo, rispetto ai fatti gravi che i colleghi hanno già illustrato, ella intende procedere per il futuro?
FABRIZIO CICCHITTO. Vorrei fare una brevissima premessa e rivolgerle una brevissima domanda. La premessa è questa: a me non sembra che sia venuta meno - lo dico con riferimento a due domande formulate precedentemente - la
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unicità di direzione politica dell'ordine pubblico da parte sua e che lei sia stato surrogato, scalzato, sopravanzato o spostato da una linea diversa dall'onorevole Fini e da quei parlamentari che sono andati a fare una visita - forse di carattere elettorale - che avesse lo scopo di condurre in campo le forze dell'ordine. Mi sembra che il Governo si sia espresso compiutamente sulla linea del ministro dell'interno e il resto ha fatto parte di un'altra questione che, a mio avviso, è un altro fantasma che qualcuno crea in questa situazione e che complica ulteriormente le cose. Ciò, infatti, implicherebbe, come conseguenza, che le forze dell'ordine, che chi dirigeva la Polizia e i Carabinieri non si è fatto dirigere dal ministro dell'interno ma da altri soggetti. Ciò aumenterebbe, forse inconsapevolmente, il discredito delle forze dell'ordine. Quindi, c'è una contraddizione in chi si «scappella» davanti alle forze dell'ordine, anche qui, e poi esprime il dubbio che esse siano state eterodirette da un'altra realtà politica inserita nel Governo. Ecco, le chiedo se una delle ragioni della difficoltà di gestire l'ordine pubblico a Genova non sia stata una combinazione fra due elementi: un corteo, che aveva una maggioranza pacifica e una minoranza non pacifica, e circa 10 mila guerriglieri i quali si trasferivano dall'interno all'esterno del corteo e creavano situazioni di estrema difficoltà, tra cui ciò che è successo in via Tolemaide, dove qualcuno si è inserito alla testa del corteo ed ha lanciato molotov e sassi alle forze dell'ordine. Non ritiene che la combinazione di tali elementi abbia rappresentato una miscela infernale? Certamente, ciò ha complicato i problemi per le forze dell'ordine, le quali, forse, sono state - nella preparazione anche di analisi rispetto a questa possibilità di una miscela infernale - colte di sorpresa da questa combinazione, visto che, tradizionalmente, si è
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abituati, quando c'è un grande corteo, ad un grande ordine. Ciò è nella storia e nella tradizione dei cortei e dei movimenti.
MARIA CLAUDIA IOANNUCCI. Grazie, presidente. Ringrazio il ministro di essere qui e della sua ampia ed esaustiva relazione, condivisibile da parte di tutti. Mi sembra che anche l'opposizione sia venuta a testimoniare che le forze dell'ordine hanno ben agito, che debbono essere rispettate e che sono un punto fermo della nostra società, della nostra civiltà e della nostra democrazia. Debbo tuttavia sottolineare che, nonostante l'opposizione sia stata così aperta nel condividere la sua relazione, questa apertura è solamente formale e non sostanziale, perché pur condividendo ciò che è stato detto sulle forze dell'ordine, continuano ancora una volta...
MARCO BOATO. Stiamo facendo un'indagine conoscitiva, perché deve parlare in questi termini?
PRESIDENTE. Senatrice Ioannucci, rivolga al ministro la sua domanda; ci sono altri due rappresentanti del gruppo di Forza Italia che hanno chiesto di intervenire.
MARIA CLAUDIA IOANNUCCI. Onorevole Boato, sto semplicemente sottolineando che la sua relazione è stata da tutti condivisa, e questo mi fa molto piacere, perché, come cittadina italiana, voglio una Polizia che continui ad essere democratica.
Sotto questo profilo, purtroppo, alcuni senatori e deputati - non diciamo l'opposizione -continuano a sostenere che le forze dell'ordine hanno agito male, tant'è vero che qualcuno ha dichiarato che non sono state represse azioni di guerriglia e che non sono state fermate persone in flagranza di reato. Signor ministro, vorrei sapere se è vero quanto ci è stato indicato dalla procura della Repubblica con l'atto n. 50/GAB del 2001, in base al quale sono state arrestate in flagranza di reato...
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PRESIDENTE. Se lo dice la procura sarà vero. Lo chiediamo al ministro?
MARIA CLAUDIA IOANNUCCI. Vorrei sapere se ne era a conoscenza e se sia vero. Sono state arrestate ben 301 persone, sono stati convalidati 152 arresti; l'imputazione atteneva ad atti di diversa gravità, per lo più per resistenza, devastazione, saccheggio e associazione per delinquere.
Un'ultima cosa, se mi permette, presidente, sempre per amore del vero; siccome avevo sentito che l'ordinanza del questore n. 2977 del 2001 prendeva atto di un corteo, volevo leggerle solamente la parte dell'ordinanza del questore in cui dice che prende atto delle pubbliche manifestazioni stanziali (Commenti del deputato Violante)... «Stanziali» significa che sicuramente non è un corteo.
MARCO BOATO. Grazie presidente, non intervengo su questo punto.
Signor ministro, lei ha fatto una relazione - parlo velocemente perché dispongo di pochi minuti - in parte sulle vicende di Genova, in parte di carattere politico-generale; lei è il ministro dell'interno ed è anche ovvio che lo faccia. Su questo punto - già il presidente Violante ha fatto un cenno al riguardo - voglio dirle che, in uno Stato di diritto, se ci sono episodi di violenza da parte di cittadini italiani o stranieri, questi vengono repressi dalle forze di polizia legittimamente, non si istituisce una commissione d'indagine conoscitiva. In uno Stato di diritto si istituisce una commissione di indagine conoscitiva quando alcuni di coloro che hanno il monopolio dell'uso legittimo della forza, eventualmente - dobbiamo appurare i fatti e non emanare sentenze o processi sommari - non ne abbiano fatto un uso legittimo. Tutto qua. Questo per dire che questa è la finalità dell'indagine conoscitiva che non
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ha alcun'altra finalità. Su questo posso confermare quello che è stato detto, che non vi è alcuna intenzione di criminalizzare in maniera indiscriminata nessuno, né le forze di polizia né, se mi permette, i manifestanti antiglobalizzazione. Chi ha violato le disposizioni dello Stato di diritto va accertato dall'autorità giudiziaria; chi le ha violate, appartenendo ai corpi dello Stato, va accertato anche in sede disciplinare. Lei ha disposto indagini che noi abbiamo apprezzato e noi dobbiamo, non attribuire responsabilità, ma semplicemente (Commenti del ministro Scajola)...
Non ho capito, ma comunque, non voglio aprire un dialogo, altrimenti il presidente interviene. Per quanto ci riguarda noi dobbiamo cercare di ricostruire i fatti. Quindi ciò che attiene alle questioni, alle intenzioni generali, e alla fiducia di uno Stato democratico, dobbiamo respingere la violenza in qualunque forma, ristabilire un rapporto di fiducia con le forze di polizia, laddove si sia incrinato; credo di poter dire, con assoluta sincerità, che condivido queste finalità.
Però, quando la fiducia nelle forze di polizia, forse sbagliando e coinvolgendo chi non ha alcuna responsabilità, viene incrinata, il modo migliore per ristabilirla credo sia quello di accertare la verità, per quanto ci riguarda, e la responsabilità, per chi ha competenza ad accertarla. La verità vi farà liberi: è una frase evangelica che è stata prima evocata, mi sembra dal collega Sinisi.
Non farò domande specifiche. Lei ha indicato tre obiettivi fondamentali: lo svolgimento del G8, la tutela di tutti i cittadini e dei beni (quindi, il contrasto della violenza) e la garanzia della libertà di manifestazione pacifica. Le domande che molti colleghi le hanno rivolto riguardano non il primo obiettivo, che - ne prendiamo atto - è stato raggiunto pienamente e non era scontato, ma ciò che non si è verificato positivamente rispetto
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al conseguimento del secondo obiettivo (cioè il non aver adeguatamente contrastato la violenza) e del terzo (cioè il non avere garantito adeguatamente la libertà di chi intendeva manifestare pacificamente). Non entro nei dettagli, perché diventerei ripetitivo.
Per quanto riguarda la linea che il Governo ha adottato e che lei ha ricordato dettagliatamente in questa sede, come ha fatto anche il suo collega Ruggiero poco fa, devo dire che la condivido pienamente. Il problema riguarda il modo in cui sono stati raggiunti il secondo ed il terzo obiettivo, che a mio parere, sono stati non solo non pienamente realizzati, ma gravemente violati.
Per concludere, le pongo due questioni istituzionali, senza peraltro entrare nei dettagli.
Lei ha ricordato giustamente richiamato una riunione del Comitato nazionale tenutasi pochissimi giorni fa che, riguarda una questione molto importante, quella del coordinamento delle Forze di polizia. Come molti di noi hanno rilevato dalle informazioni acquisite, questo coordinamento per alcuni aspetti, anche significativi, non ha funzionato. Il coordinamento pone un altro problema: non solo che le Forze di polizia si coordinino fra di loro, ma che l'autorità di pubblica sicurezza sia l'autorità di polizia, cioè il questore, il prefetto, il funzionario di polizia al cui comando sono i reparti degli altri corpi. Vi è quindi un problema di coordinamento e di modalità di intervento.
Il collega Turroni, ha ricordato gli episodi di sangue. So che ci sono stati feriti tra gli appartenenti alle Forze di polizia e questi hanno la mia totale solidarietà; ma quando vedo, fra i manifestanti pacifici, troppe persone che sanguinano e, in particolare, perdono sangue dalla testa con ferite profonde, mi
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chiedo se anche rispetto alle modalità le modalità di intervento lei non debba porsi, signor ministro dell'interno, degli interrogativi.
L'ultima questione riguarda le sue responsabilità istituzionali che lei ha richiamato all'inizio e che io condivido. Però, poiché noi come parlamentari lavoriamo anche per il futuro, come lei giustamente ha detto (ed io condivido l'auspicio per il futuro), bisogna che si assuma pienamente le sue responsabilità e che richiami qualche suo collega di Governo, a cui non competono le sue responsabilità di autorità nazionale per la sicurezza e l'ordine pubblico, a non immaginare di avere delle prerogative istituzionali su quali siano le manifestazioni consentite o non consentite. Si tratta di responsabilità che non competono ad altri membri del Governo ma solo al ministro, al dipartimento di pubblica sicurezza, ai prefetti ed ai questori. Nel nostro ordinamento non spetta al ministro per i rapporti con il Parlamento o ad un altro ministro decretare quali siano le manifestazioni consentite e quali no. Per ciò che riguarda le manifestazioni consentite o meno, lei ha affermato dei principi che io condivido e che mi auguro siano pienamente attuati.
LUIGI BOBBIO. La ringrazio signor ministro, per essere stato così chiaro, lucido e completo nelle sue dichiarazioni. Conto molto sulla piena congruità delle sue risposte alle mie poche domande, perché attraverso queste domande e, soprattutto, attraverso le risposte che lei darà si potrà, finalmente squarciare il velo, seppure nel finale, questo velo posto da molti colleghi, senatori e deputati, tendente a fondare questi lavori sulla coltivazione della petizione di principio, in virtù della quale, ripetendo una cosa inesatta o non vera, si finisce con l'arrivare a sostenere che essa sia vera. Si sono fatte una quantità di affermazioni che si sarebbero dovute dimostrare
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nelle loro premesse e che invece vengono continuamente ripetute come se fossero già acquisite come vere.
Vorrei porle alcune domande per tentare di arrivare ad un chiarimento di alcuni aspetti che dovrebbero essere elementari e ben conosciuti a tutti.
Per quella che è la sua funzione, sa dirci se un corteo non vietato - questa credo sia la dizione tecnica esatta - resti tale anche quando si abbandoni a manifestazioni di violenza o si accinga a violare un divieto, come è accaduto in via Tolemaide? Tenga presente, ad esempio, che ieri, non so se placidamente o sfacciatamente, Luca Casarini ha ammesso, a proposito dei fatti di via Tolemaide, che è vero che il corteo era giunto alla fine del percorso non vietato ma che erano iniziati alcuni lanci contro il cordone di Forze di polizia sistemato all'inizio del tratto non vietato. Lo stesso Luca Casarini ci ha detto - lo ripeto, in una maniera, direi, estremamente sfacciata - che era intenzione dei manifestanti, comunque, porre in atto un cosiddetto gesto di disobbedienza civile - poi vedremo cosa si intende per disobbedienza civile - per proseguire oltre, anche nella zona non vietata. Dunque, può dirci se, con questi requisiti, un corteo non vietato resti tale o se non sia invece dovere, oltre che compito precipuo delle Forze dell'ordine, intervenire per reprimere una manifestazione già violenta negli atti e nelle intenzioni?
Ancora. Lei ritiene che sarà mai possibile isolare i violenti e garantire il diritto di manifestare pacificamente fintanto che ci si dovrà misurare con una parte degli stessi manifestanti pacifici e con la loro generalizzata connivenza, il loro fiancheggiamento, la loro copertura dei violenti? Non ritiene che l'isolamento dei violenti sia stato reso, di fatto (a Genova e speriamo anche non in futuro), impossibile dal comportamento concreto di parte dei cosiddetti pacifisti e di quei
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mistificatori, tra loro, che creano ed alimentano il clima di violenza con affermazioni di disobbedienza civile riferita (questo, credo, è un punto importante), a condotte che, in concreto, per il solo fatto di portare al contatto fisico con le forze dell'ordine creano ed alimentano, dolosamente, un clima di violenza? Secondo lei, cosa dovrebbero fare, in questi casi, le forze dell'ordine di fronte alla cosiddetta disobbedienza civile: aprirsi? Lasciarli passare? Pregarli gentilmente di desistere? Credo che questo sia uno dei punti più importanti per chiarire bene le premesse.
Le ultime due domande. Le risulta che all'atto della perquisizione dell'istituto Diaz, i Black bloc, o comunque frange oltranziste di grande violenza, se ne fossero ormai di fatto impadronite, danneggiandolo distruggendolo ed estromettendo di fatto, ad esempio, gli addetti alla sala stampa?
Infine, uno dei «tormentoni» - mi permetta di dirlo, con una qualche ironia - di questi lavori: il Tonfa. Non so se si insista su questo strumento di ordine pubblico per cattiva conoscenza o per volontà strumentalizzatrice, nel quadro di una strategia complessiva tesa a portare in campo, per il futuro, delle forze dell'ordine indebolite rispetto ai manifestanti. Può dirci, a questo proposito, se l'ormai famigerato Tonfa non sia altro che, come consistenza ed attitudini offensive, un classico manganello con una impugnatura diversa, che consente alle forze dell'ordine di usarlo in senso difensivo?
FILIPPO MANCUSO. Ciò che mi tranquillizza veramente, signor presidente è il contenuto della relazione del ministro e l'accoglienza ragionevole e tutto sommato positiva, che questa assemblea gli ha riservato (parlo di persone e non di gruppi).
Né poteva essere diversamente, dopo avere ascoltato e, in questo intervallo di tempo, meditato le sue parole. Una
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concezione tacitiana della storia, anzi delle storie, mi consente di affermare, signor ministro, che il nostro lavoro, a parte quel tanto di documentario che potremo raccogliere, è rivolto al futuro. Mi tranquillizza la sua equanimità nel giudicare in modo articolato le realtà verificatesi.
Signor ministro, le pongo due questioni, sulla base di questa, tutto sommato, ovvia premessa. Quando lei ha rivendicato giustamente l'onore e le capacità delle forze, genericamente definite, dell'ordine, ed ha richiesto un apprezzamento di equità nei loro confronti, da parte del Parlamento e dei cittadini, non ha forse voluto sottintendere, o meglio implicitamente attestare, che esse, dopo ciò che è avvenuto, vanno trattate con misura sia nel rigore, sia nell'indulgenza, dissociando (questo giustifica l'onore che convive con la responsabilità) i comportamenti complessivi della funzione con quelli eventualmente carenti delle singole persone? Considerando oltretutto che vicende come quelle che si sono vissute possano essere indagate, ordinate, diciamo pure giudicate ex post, soltanto accettando l'idea che questa valutazione e questa ricostruzione non può valere al di fuori del vissuto concreto, ma piuttosto pensando a che cosa, nel bene e nel male, l'esperienza passata può servire al futuro. Ministro, se questa mia interpretazione, che non vuole da lei invocare né indulgenza né severità, sia stata esatta, lei meglio di ogni altro mi può dare atto che se avessi pensato diversamente o avrei taciuto o avrei altrimenti parlato.
La prima domanda è dunque se ho bene interpretato il silenzio o la genericità della parola che lei ha pronunciato qui. L'altra è la seguente, poiché parliamo del futuro con uno sguardo rivolto al passato e al presente: lei, signor ministro, pensa o, ancora prima, ha pensato che c'è una disposizione del codice di procedura penale, l'articolo 118, che la abilita a
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sollecitare all'autorità giudiziaria una collaborazione preventiva in ordine a fatti che abbiano rilevanza - la legge parla il suo linguaggio burocratico - sulla natura dei reati comportanti l'ordine di cattura obbligatorio, i reati quindi più gravi? Signor ministro, ha in questa contingenza grave, ed in parte prevedibile nella sua gravità, pensato ad utilizzare questo strumento? Qualora lo avesse fatto, o non lo avesse fatto (si tratta di un'eventualità di pari grado), intenderebbe valutare la sua utilizzabilità per il futuro in vista delle responsabilità che l'amministrazione governativa è chiamata ad affrontare, anche in termini brevi?
Vorrei rivolgere al ministro una terza domanda riguardo il concetto di legalità: lei lo sente come un concetto? Il nostro movimento che, con nostra soddisfazione, l'ha condotta a questa responsabilità, pensa che la legalità sia soltanto il diritto della forza o non sia piuttosto la forza del diritto? Chi può essere dispensato dall'osservarla e quando? Non le chiedo proclami, ma fiduciosamente pongo ciò come elemento di aspettativa, per una felice continuazione del suo mandato.
PRESIDENTE. Grazie, presidente Mancuso. Abbiamo terminato gli interventi. Il ministro ha bisogno di qualche minuto per raccogliere le idee?
CLAUDIO SCAJOLA, Ministro dell'interno. Non penso siano necessari. Valutavo che ogni cosa da organizzare è difficile, basta guardare questo tavolo...
PRESIDENTE. Non critichiamo le strutture del Parlamento...
CLAUDIO SCAJOLA, Ministro dell'interno. Ci sono difficoltà obiettive; sarei dell'avviso di proseguire, se siamo d'accordo.
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PRESIDENTE. Allora le do senz'altro la parola.
CLAUDIO SCAJOLA, Ministro dell'interno. Sono rimasto oggi molto favorevolmente colpito e la mia, in questa occasione, non è certamente una captatio benevolentiae: non ho parlato in occasione della mozione di sfiducia votata al Senato e prima, dal momento della presentazione della mozione di sfiducia. Fino a quel momento non ho rilasciato nessuna dichiarazione, non ho compiuto nessun atto, non ho fatto nessuna telefonata, non ho avuto contatti con nessuno perché avrei considerato non in regola con la mia coscienza qualsiasi dichiarazione o esposizione che sarebbe facilmente stata interpretata con uno spirito diverso da quello che invece poteva animare colloqui, informazioni, dichiarazioni. Molto volentieri ho partecipato all'invito per la giornata odierna, perché sono riuscito ad esprimere, per la prima volta, valutazioni complessive su quello che, come ministro dell'interno (ed anche il Governo nella sua interezza), intendo come gestione della pubblica sicurezza e dell'ordine pubblico. La mia relazione non può avere soddisfatto tutti, evidentemente, però credo, dagli interventi che ho ascoltato, che sia stata condivisa nella parte a cui più tenevo, quella con la quale affermiamo i principi della legalità in un paese democratico e come essa debba essere difesa da tutti e non possa avere sconti per qualcuno. Ho sentito condivisa questa parte a cui più tenevo dagli interventi di autorevolissimi esponenti del Parlamento italiano. Credo che questo possa farci capire, con maggiore ottimismo, il futuro di un diverso ciclo storico che si apre dinanzi all'Italia ed all'Europa riguardo alla garanzia della tutela dell'ordine pubblico. Non basta dire che le direttive politiche di questo Governo, non dissimili dalle direttive politiche che diede il Governo precedente, siano condivise. È necessario che queste direttive politiche diventino pratica
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attuazione della gestione dell'ordine pubblico. Basta osservare il numero dei fermati a Genova, degli arresti convalidati (che sono un numero alto, 200), ma anche solo la provenienza ed i paesi di origine di questi arrestati per capire come la gestione dell'ordine pubblico di fronte a questo nuovo fenomeno sia un fatto mai conosciuto nella storia d'Italia.
È evidente che questo nuovo fenomeno, come forze politiche, tutte democratiche e rispettose dei valori della Costituzione, deve portarci a ribadire i principi che non è mai male ripetere ogni qual volta ciò sia possibile. Deve, inoltre, farci capire che la difesa e la tutela delle libertà devono essere affidate alle forze dell'ordine come istituzione, non come persone. Guai se ci fosse un'identificazione di comportamenti non propri di persone a disprezzo e a discredito di una istituzione che difende i valori fondamentali della possibilità di manifestare! Quante volte la storia ci ha insegnato che proprio una predisposizione alla violenza nelle manifestazioni è stata usata per limitare la possibilità di manifestare e di dissentire. Mi riferisco anche alla storia del nostro paese. Quindi, la necessità di essere conseguenti alla proclamazione del principio costituzionale della tutela della legalità e della manifestazione pacifica che deve essere svolta, deve avere come sua inevitabile conseguenza atti consoni a permettere che così sia. A Genova questo non è successo.
Ho provato a dire - l'onorevole Bressa lo ha ripreso - che dobbiamo guardare al futuro. Da questo punto di vista Genova, paradossalmente, può essere una opportunità storica per questo paese.
Credo che tanti giovani, tanti di noi, abbiano capito di avere, forse, sottovalutato quelli che sono stati definiti atteggiamenti folcloristici, come una prima risposta debole di fronte, invece, a proclami di violenza che venivano esercitati.
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Anche nel momento più difficile della gestione del pre-G8, e poi durante il G8, in quel momento tragico per tutti della morte di un giovane causata da un altro giovane che ha dovuto uccidere per difendere se stesso, un momento tragico per tutta l'Italia, per tutti noi - ma, dovete credermi, è stato un momento forse più tragico, per il ministro dell'interno -, ebbene, non ho mai detto che il movimento antiglobalizzazione che manifestava a Genova fosse un movimento violento. Ho sempre detto che la maggioranza dei manifestanti ha ideali, i quali sono condivisi da molti di noi, anche in modo trasversale agli schieramenti politici tradizionali. Se mi sono espresso male, mi correggo. Ho detto che questi movimenti erano pacifici nella maggioranza, ma ho detto e ho sempre contestato che i violenti fossero uno sparuto gruppo di 150 o 200 elementi. Credo che un aspetto importante, già emerso dai lavori della vostra Commissione di indagine, sia quello di avere ormai capito, in maniera credo unanime o quasi, che i violenti non erano soltanto i black bloc. D'altronde, questi ultimi non erano soltanto 100-150 persone, ma molto più numerosi, probabilmente più di 1.000 e questo si desume anche dall'elevato numero degli arrestati black bloc tedeschi. Ma dissi allora, e lo ripeto adesso, che ci sono stati insieme ai black bloc violenti nostrani, che provengono da filoni che hanno usato violenza verbale prima del G8 e che hanno usato violenza fisica durante il G8, i quali sono ascrivibili, come emerge dagli arresti e dalle prime indagini (e vedremo le conclusioni della magistratura) ad alcuni elementi facinorosi e violenti, appartenenti a taluni centri sociali e appartenenti a talune parti delle «Tute bianche». Ormai, è emerso che i violenti, con diverso grado di violenza, con una soglia diversa personale di violenza e di visibilità alla stessa, erano fra le 6, 7, 8, 9 mila persone. È emersa una confusione della organizzazione di
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questa manifestazione, la quale è sfuggita da un coordinamento Genoa social forum, che era l'insieme, in qualche modo rappresentativo, di 500-600 sigle, ma che di fatto non riusciva a rappresentare tutti coloro che manifestavano a Genova. Ricordo che nella linea del dialogo abbiamo trovato difficoltà ad individuare quali fossero le persone che potevamo chiamare per colloquiare.
Abbiamo fatto un lavoro difficile per individuarli e quell'incontro è stato fatto invitando 15 responsabili di 15 sigle. Al Ministero degli affari esteri, poi, il 28 giugno, con il ministro Ruggiero, si sono presentati i rappresentanti di 5 o 6 di queste sigle. Pertanto, un fenomeno nuovo, di valenza internazionale, con una forte presenza italiana, nella quale si sommavano sigle che avevano alcuni contenuti di fondo comuni, ma con una variegata sensibilità da un opposto all'altro, che si sono trovate in una manifestazione di numeri e norme dove il controllo dell'ordine pubblico, e quindi l'individuazione dei violenti all'interno, era assolutamente difficile. Sì, è vero, avevamo una impreparazione di fondo a questo tipo di manifestazioni, ma è anche vero, credo, che una maggiore preparazione, che dovrà nel tempo essere raggiunta, non potrà mai essere sufficiente a garantire l'ordine pubblico di una manifestazione di 200 mila persone, se non c'è una rappresentatività di questi manifestanti che abbia all'interno la capacità di isolare i violenti. Non c'è stato segnalato un nome. Non c'è stata nessuna collaborazione nell'individuare o comunicare alle forze di polizia nomi su cui si poteva fare opera di prevenzione.
Per esprimere al meglio queste difficoltà e, quindi, rispondendo in questo modo a molte delle vostre domande, altro dato è la difficile collaborazione internazionale. Abbiamo provato, e stiamo provando, con una linea di continuità che non vede differenze fra governi e governi, a cercare una
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maggiore collaborazione in Europa, ma abbiamo trovato una difficoltà enorme, anche per le legislazioni diverse, per cui la schedatura e la comunicazione dei nominativi non è consentita.
Nonostante ciò, applicando il controllo alla frontiera e, quindi, sospendendo il Trattato di Schengen, abbiamo respinto circa 2 mila persone. Sembra un numero enorme, ma abbiamo visto che non è stato sufficiente.
Pertanto, dico con molta serenità, a voi illustri membri di questo Comitato, che la valutazione di queste situazioni dev'essere fatta con la considerazione asettica che la gestione di questi eventi non avrebbe potuto, comunque, essere perfetta.
Vi sono stati errori ed essi sono dovuti ad un insieme di motivazioni che ho riferito, ma certamente in queste condizioni era assolutamente impraticabile una gestione normale dell'ordine pubblico.
Si apre poi un secondo capitolo: vi sono state, da parte di taluni rappresentanti delle forze dell'ordine, difficoltà nella gestione dei comandi e, dal punto di vista personale, reazioni che non devono essere consentite. Riguardo a ciò, da subito, dal lunedì successivo, è stata disposta un'indagine ferma, severa, che potesse iniziare a farci capire quello che era accaduto. Io so - ne sono certo - che dal Comitato potranno arrivare utili suggerimenti e anche approfondimenti che, uniti a quelli che sta svolgendo il ministro dell'interno, potranno aiutare a gestire meglio l'ordine pubblico in questo paese.
Nessuno creda, però, che un'opera di tale tipo possa essere realizzata con una bacchetta magica in tempi brevi. Dobbiamo recuperare il consenso dei cittadini e dell'opinione pubblica, forte e condiviso, verso le forze dell'ordine. Dobbiamo modificare il coordinamento e la gestione dell'ordine pubblico. Non
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si tratta di un problema di coordinamento tra forze a livello di vertice, bensì di abituarci a un nuovo sistema di gestione dell'ordine pubblico in cui non sia paradossale che per parlare tra reparti operativi si debba andare al singolo vertice per tornare indietro. Certamente occorrerà del tempo in quanto ciò è facile a dirsi, ma necessita di grandi difficoltà e di tempo per poter essere realizzato. Da ciò nasceva la perplessità sulla vicinanza dei vertici FAO e NATO, in quanto un cammino importante, come quello di una ulteriore e forte preparazione da parte delle forze dell'ordine a tale nuovo evento, necessita di tempo. Allora io credo che, con lo spirito di assoluta dedizione per i valori costituzionali che ognuno di noi, al di là delle parti politiche, deve avere in occasione dei prossimi vertici internazionali si debba, per vero senso dello Stato, avere da parte di tutti la massima collaborazione, affinché si possano svolgere nel modo più sereno. Guai se essi potessero rappresentare ancora la ricerca di due scopi e all'interno della struttura delle forze dell'ordine, il fine di far prevalere la logica dei veleni, che ne turba la serenità.
Per quanto riguarda il secondo obiettivo, non si pensi che la credibilità di un paese possa essere identificata con la credibilità di un Governo nella gestione dell'ordine pubblico. Ritengo che tale indagine e lo stesso evolversi dei fatti di Genova possano rappresentare un'occasione per affermare, anche in questo paese, quello che esiste in tutti i paesi moderni. Nei giorni scorsi avrete visto che in Francia, dove è in carica un governo di sinistra, una manifestazione non autorizzata, senza che vi fosse alcun sentimento di scandalo, è stata risolta con l'invio dei cellulari e con l'arresto dei manifestanti (che sono stati poi rilasciati). Ciò è avvenuto senza gridare allo scandalo da parte di alcuno, in quanto il principio deve essere che per garantire le manifestazioni
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democratiche, in un paese, è necessario stabilire e far sapere subito chiaramente a tutti che vi è l'unità di tutte le forze parlamentari contro la violenza e nella gestione delle manifestazioni.
Le manifestazioni non si autorizzano, sono consentite di per sé. Il compito dello Stato è di intervenire per proteggere i cittadini nei confronti di eventuali atti di violenza. Se oggi noi chiedessimo, però, ai cittadini italiani se le manifestazioni si devono autorizzare o sono di per sé legittime, ci risponderebbero tutti che esse devono essere autorizzate. Questo è un fatto...
MARCO BOATO. Non per tutte! C'è l'articolo 17 della Costituzione.
CLAUDIO SCAJOLA, Ministro dell'interno. In grande parte. Non c'è questa conoscenza. Dobbiamo far capire sempre di più che il diritto di manifestare è legittimo, ma non lo è la violenza. Dovevo svolgere tale premessa prima di dare alcune risposte specifiche su alcuni punti.
Vi è poi una seconda premessa. Il ministro dell'interno è l'autorità nazionale di pubblica sicurezza, ma non è il responsabile tecnico operativo dell'ordine pubblico. Molte domande che mi avete posto, non tutte, hanno quasi ignorato tale principio, che è fondamentale, importantissimo e sempre da preservare nell'ordinamento costituzionale italiano. Il ministro dell'interno sovraintende, fornisce le direttive e se esse non funzionano si adopera affinché siano più efficaci nel futuro. Tale ministro, però, non è il responsabile tecnico delle operazioni. Occorre ancora ricordare, riguardo all'ordine pubblico, che il responsabile delle operazioni tecniche è l'autorità locale di pubblica sicurezza. Riguardo ai fatti di Genova forse si è confuso anche il rapporto tra competenza nazionale e
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quella locale. Non soltanto credo che sia opportuno ribadirlo, ma sono anche convinto che sia utile che un paese democratico affidi queste competenze tecniche alla sfera dei funzionari della pubblica sicurezza in sede locale: costituisce una garanzia di democrazia per un paese. Molte di queste domande esulano, quindi, dalla mia personale competenza.
Voglio, però, parlare dei fatti che più hanno colpito: l'episodio della Diaz, la questione dell'autorizzazione del corteo del 20 luglio e il manganello Tonfa. Quest'ultimo è uno strumento moderno di difesa dell'ordine pubblico, che dev'essere bene impugnato e utilizzato e che a Genova è stato fornito ad alcuni, ma non a tutti, in fase di sperimentazione. Ciò significa che valuteremo se tale strumento sia stato utile o dannoso. Certamente esso ha come scopo quello di poter essere anche un'arma di protezione e di difesa.
MARCO BOATO. Il problema è quando viene usato come una clava al rovescio, come si vede dalle immagini!
CLAUDIO SCAJOLA, Ministro dell'interno. Si tratta di un problema relativo al suo utilizzo.
Riguardo alla questione della manifestazione del 20 di luglio, posso leggere uno stralcio della relazione del questore: «Il corteo del 20 luglio era stato preannunciato al questore di Genova con un itinerario che da corso Gastaldi avrebbe attraversato via XX settembre, per raggiungere piazza De Ferrari all'interno della zona rossa. In attuazione dell'ordinanza prefettizia, il questore ha vietato il tratto che riguardava le zone interdette (piazza Verdi nella zona gialla, piazza De Ferrari nella zona rossa), notificando il provvedimento ai promotori il 19 luglio. Conseguentemente il questore ha predisposto i servizi a tutela delle zone interdette. I ripetuti tentativi di oltrepassare lo sbarramento delle forze dell'ordine,
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poste a presidio del divieto, si sono concretizzati attorno alle ore 17 in veri e propri assalti ai reparti, con l'uso di armi improprie (bastoni, molotov, bombe carta) così che si sono resi necessari gli interventi di polizia». Questo è un punto sul quale vi sono diverse interpretazioni...
MARCO BOATO. Non è andata così!
CLAUDIO SCAJOLA, Ministro dell'interno. Questo, però, rappresenta un punto sul quale ho uno stralcio della relazione del questore sugli incidenti, e costituisce oggetto, tra gli altri, di una nostra indagine amministrativa per capire, al meglio, quello che è accaduto. Condivido pienamente l'idea che la ricerca della verità sia la cosa più giusta alla quale una qualsiasi comunità possa tendere e non vi è alcuna preoccupazione da parte nostra nel volerlo fare fino in fondo.
In merito poi alla Diaz, credo di avere già risposto nel mio intervento iniziale, ma voglio ripetere che si trattava di un'operazione di carattere giudiziario. Vi è un'inchiesta in corso.
Abbiamo assistito ad uno spettacolo di grandi divisioni sulle operazioni di comando in quell'operazione. Abbiamo prestato la nostra collaborazione alla magistratura per le indagini in corso e quindi non voglio dire di più di ciò che è lecito dire per un ministro dell'interno responsabile.
Un'altra forte carenza constatata in quei giorni ho riguardato le comunicazioni. Tale carenza è stata oggetto di una lunga riunione del comitato per l'ordine e la sicurezza pubblica finalizzata alla ricerca di migliorie da apportare in tal senso.
Circa la zona gialla - quesito posto da molti degli intervenuti - ho già risposto nella mia introduzione. La zona gialla aveva una funzione: doveva servire da cuscinetto come
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ulteriore salvaguardia per la zona rossa. Doveva garantire che, avendo uno spazio più ampio, non si potesse arrivare alla zona rossa. Vi sono stati assalti alla zona rossa, ma nella stessa non si è entrati. Dico di più: nella zona rossa non c'erano soltanto i capi di Stato e di Governo e le delegazioni, ma anche 35 mila cittadini genovesi, che lì abitano. Nulla è accaduto, quindi la zona gialla ha svolto appieno il suo compito.
La chiusura della zona gialla non è stata totale - compreso questo possibile equivoco legato a quella parte di manifestazione del giorno 20 autorizzata con la relativa diversa comunicazione - perché si è sempre tentato, nello spirito di cercare dialogo e collaborazione con i manifestanti, di stemperare le tensioni. L'ordine pubblico non si gestisce con la repressione. La repressione è l'ultima, ripeto l'ultima, delle possibilità. L'ordine pubblico si governa. Ecco perché l'importanza dell'autorità locale; si governa infatti situazione per situazione, caso per caso, secondo la situazione ambientale, zona per zona, attraverso il dialogo con coloro che manifestano. In alcune zone peraltro vi è stata un'apertura.
Credo di aver risposto a molte delle vostre osservazioni, salvo quelle di natura strettamente tecnica, cui non desidero rispondere per rispettare l'ambito delle competenze del ministro ed anche perché sono in corso indagini della magistratura.
Circa la presenza del Vicepresidente del Consiglio Fini e di altri ministri a Genova, faccio presente che il ministro Castelli si trovava a Genova perché aveva ritenuto opportuno visitare quella struttura, che è stata definita un lager dall'onorevole Soda. Era una struttura gestita dal Ministero della giustizia ed egli ha quindi ritenuto opportuno compiere una visita per stare vicino agli operatori del suo dicastero. Questo è lo stesso
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motivo per il quale il ministro dell'interno, al di là di qualche dichiarazione apparsa sui giornali, ha ritenuto opportuno rimanere al suo posto di comando al Viminale.
Il Vicepresidente del Consiglio Fini è stato a Genova perché partecipava alla trasmissione televisiva Porta a porta assieme al ministro Ruggiero. Si è recato a Genova, ha partecipato a questa trasmissione televisiva e, nell'occasione, ha fatto visita al prefetto ed al questore di quella città, nonché al colonnello comandante. Per la vera verità si è fermato più a lungo nella caserma dei Carabinieri per il semplice motivo che all'esterno della stessa erano in corso manifestazioni molto tese. Era quindi opportuno che egli rimanesse all'interno della caserma finché non si fosse ristabilita la tranquillità. Questi sono i fatti reali.
In riferimento poi alla titolarità della gestione dell'ordine pubblico, la Costituzione specifica i compiti del ministro dell'interno ed io li eserciterò, fino a quando mi competerà, secondo la Costituzione repubblicana, senza delegare tali competenze ad alcuno.
PRESIDENTE. Il ministro ha detto che sulle domande tecniche non intende rispondere. Vorrei sapere se vi è qualcuno che ritiene necessario chiedere ulteriori precisazioni in merito alle questioni di diversa natura.
LUCIANO VIOLANTE. Desidero sapere se il ministro sia stato informato preventivamente della visita del Vicepresidente del Consiglio.
CLAUDIO SCAJOLA, Ministro dell'interno. Ne sono stato informato. Il dottor Vespa aveva invitato il sottoscritto alla sua trasmissione a Genova. Sto raccontando i fatti in modo preciso. Non so se il Vicepresidente Fini sarebbe andato anche
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se ci fossi andato io. Egli comunque mi ha avvertito che sarebbe andato a Genova per partecipare a quella trasmissione e, quindi, nell'occasione, per fare visita al prefetto ed al questore.
PRESIDENTE. Ringrazio il ministro Scajola anche a nome dell'intero Comitato; lo invito a consegnarci copia della sua relazione.
CLAUDIO SCAJOLA, Ministro dell'interno. Certamente.
PRESIDENTE. Acquisiamo allora la sua relazione agli atti.
La ringrazio nuovamente, signor ministro, e dichiaro conclusa l'audizione.
La seduta termina alle 20,35.