PROCESSO ALIMONDA

Opposizione alla richiesta di archiviazione

ILL.MO SIG. GIUDICE PER LE INDAGINI PRELIMINARI

presso il TRIBUNALE DI G E N O V A

N. 13021/01 r.g.n.r.

La sottoscritta Elena Giuliani, nata a Milano il XX.XX.XXXX e residente a XXXXXXX, in Via XXXXXXXXXX n. XX, persona offesa nel procedimento emarginato, propone

opposizione ex art. 410 c.p.p.

avverso la richiesta di archiviazione del procedimento a carico di Mario Placanica e Filippo Cavataio presentata dal pubblico ministero Dott. Silvio Franz in data 2 dicembre 2002 e sottopone all’attenzione della S.V. le seguenti considerazioni.

Il pubblico ministero ha ritenuto, erroneamente, che “ogni spunto investigativo (rilevante per la ricostruzione) sia stato approfondito” e - sulla base non già delle emergenze processuali ma di un soggettivo convincimento (di fronte a dubbi e ipotesi alternative alle quali non è stato possibile dare una risposta in sede di indagini) - che la ricostruzione dei fatti effettuata dai suoi consulenti fosse quella “più aderente alla realtà”.

Tale prospettazione non è condivisibile non solo in quanto le consulenze del P.M. sono pervenute - su numerosi punti, anche di particolare rilevanza - a conclusioni tra loro differenti, ma anche perchè le consulenze della parte offesa sono pervenute a risultati diametralmente opposti, sulla base non di “ricostruzioni virtuali”, ma di analisi tecnico-scientifiche derivanti da quanto è emerso dai numerosi filmati acquisiti agli atti.

In presenza di consulenze divergenti su punti decisivi per l’esatta ricostruzione dei fatti - traiettoria del proiettile, distanza tra chi ha sparato e Carlo Giuliani, comportamento degli indagati e della vittima immediatamente prima, durante e dopo i fatti - appariva - e appare tuttora - doveroso e necessario un accertamento per poter compiere qualsivoglia valutazione giuridica degli eventi.

Non è certo possibile, vigendo un sistema processuale in cui l’udienza preliminare (e, ancor più, l’udienza ex art. 409 c.p.p.) è udienza di carattere processuale e non “primo giudizio di merito”, precludere, con un provvedimento di archiviazione, la verifica dibattimentale di quanto emerso in sede di indagini.

Solo lo sviluppo dinamico del dibattimento, nonché la possibilità di disporre perizie sui rilevanti punti controversi, possono portare a quell’accertamento della verità giudiziale che, in casi delicati come questi, deve avvenire attraverso un reale, effettivo e concreto contraddittorio tra le parti.

Sul ruolo che possono e devono avere il giudice per le indagini preliminari e il giudice per l’udienza preliminare, ci si soffermerà più avanti: ci si limita, per ora, a sottolineare la non condivisibilità della prospettazione fatta sul punto nella richiesta di archiviazione.

Dall’esame delle emergenze processuali risulta del tutto evidente la contraddittorietà - e, su alcuni punti decisivi, la non veridicità - delle dichiarazioni di Mario Placanica: il che, al di là di ogni altra considerazione, dovrebbe essere già di per sé sufficiente per rendere indispensabile la loro verifica dibattimentale.

Una lettura integrale delle dichiarazioni del Placanica dimostra, senza ombra di dubbio, come la ricostruzione del P.M. non solo non sia “la più attendibile” ma, anzi, sia quella che meno si attaglia alla realtà processuale.

In tale contesto, la configurabilità del delitto di omicidio, l’accertamento dell’elemento psicologico del reato e la possibilità di invocare la sussistenza di una scriminante - necessitando il delicato esame di tutta una serie di elementi oggettivi e soggettivi per il quale occorrono competenze tecnico-scientifiche oltre che giuridiche - non possono che essere demandate al giudice di merito.

Solo una perizia e il contraddittorio possono garantire, alle parti e anche all’intera collettività, la certezza che sia stato fatto tutto quanto possibile, necessario e giuridicamente doveroso per accertare la verità e le eventuali singole responsabilità.

Gli atti di indagine, pur apparendo, diversamente da quanto sostenuto dal pubblico ministero, idonei a sostenere l’accusa in giudizio, non hanno consentito - come del resto si evince anche dalla richiesta di archiviazione - di ricostruire con esattezza la dinamica degli eventi e, quindi, non sono tali da offrire un quadro processuale, e tanto meno probatorio, sufficientemente completo per compiere, in questa sede, un corretto percorso decisionale in diritto.

Il pubblico ministero, pur prendendo atto (pag. 23) dei contrasti tra i consulenti su punti decisivi relativi alla dinamica dei fatti - e delle relative conseguenze giuridiche, processuali e sostanziali - ha ritenuto “più convincente” la ricostruzione fatta dai propri consulenti (peraltro, si ripete, tra loro non univoche e, in alcuni punti, addirittura contrastanti) in quanto “permette l’armonizzazione di tutti i dati oggettivi a disposizione”. E ciò malgrado la stessa parte pubblica, in più occasioni, abbia fatto riferimento a “ipotesi più compatibili”; “deduzioni”; “superficialità” (pag. 25, in relazione all’accertamento autoptico); “errata valutazione (poi corretta) della prima consulenza balistica” nonché di “non possibilità di determinare la traiettoria del proiettile che ha attinto il Giuliani” (pag. 17).

Sulla condotta del Placanica, il P.M. ha prospettato ben tre possibilità alternative, superate da considerazioni che non possono essere condivise, in diritto oltre che in fatto: ad esempio, quella per cui, in questa fase processuale, si dovrebbero valutare le emergenze processuali ai sensi dell’art. 530 c.p.p., quasi che vi fosse analogia tra “prova”- che può formarsi solo nel contraddittorio delle parti - e indagini, il cui svolgimento è di competenza esclusiva del pubblico ministero.

Una ulteriore considerazione è necessaria.

Corrisponde al vero che - nello sforzo e comune volontà di fare quanto possibile per arrivare all’accertamento della verità - le parti offese non si sono opposte (e hanno dichiarato di non aver nulla da eccepire) all’accertamento effettuato ai sensi dell’art. 360 c.p.p.. Tuttavia, a parte la considerazione che la parte offesa non aveva, proprio ai sensi dell’art. 360 c.p.p., alcuna possibilità di riservarsi di promuovere incidente probatorio (facoltà che spetta solo all’indagato), non si può ignorare il fatto che gli accertamenti tecnici non ripetibili disposti dal P.M. avevano il dichiarato e apprezzabile scopo di fare quanto possibile per pervenire, almeno rispetto alla dinamica dei fatti, a conclusioni condivise (quale presupposto per la valutazione giuridica delle condotte e delle responsabilità degli indagati).

Tali accertamenti, invece, hanno determinato una ulteriore differenziazione delle conclusioni dei consulenti del P.M. sia rispetto alle precedenti consulenze disposte dalla pubblica accusa, sia rispetto a quelle della parte offesa, che, al contrario, sono sempre state univoche.

Basti considerare che - dopo quasi un anno dall’inizio delle indagini - uno dei consulenti del P.M. ha, improvvisamente e inopinatamente, accennato alla possibilità che il proiettile che aveva colpito Carlo Giuliani potesse essere stato deviato da un “sasso” (circostanza mai neppure ipotizzata, in precedenza, dai consulenti del P.M. e, peraltro, sempre esclusa da quelli della parte offesa).

Ci si permette far presente, a tale proposito, che già dal giorno della morte di Carlo Giuliani erano stati trasmesse, in varie trasmissioni televisive, immagini in cui si vedeva un “calcinaccio” che si infrangeva sul defender dei Carabinieri. Su tali filmati, acquisiti agli atti, avevano fin dall’inizio lavorato i consulenti della parte offesa rilevando, come poi dimostrato nelle consulenze in atti, che “il calcinaccio” non era stato frantumato da un proiettile, ma dall’impatto sul defender, lasciando anche un segno ben visibile sull’automezzo, sopra la seconda “I” della scritta “CARABINIERI” (cfr. all.1).

***

DICHIARAZIONI PLACANICA

Il P.M., nell’esaminare la condotta di Mario Placanica, dopo aver evidenziato la differenza tra le versioni dallo stesso sostenute innanzi all’Autorità Giudiziaria e quelle successivamente rilasciate agli organi di stampa, ha ritenuto - del tutto apoditticamente - di “arguire che il Placanica abbia sparato senza mirare direttamente a Giuliani” (pag. 30).

Nella richiesta di archiviazione, si prende atto del fatto che neppure il Placanica, nei primi interrogatori, ha sostenuto di aver sparato in aria e si ipotizzano alcune alternative rispetto alla sua condotta: “forse sparando voleva solo impaurire gli aggressori; forse, invece, era sua intenzione porre fine all’aggressione sparando nella direzione degli aggressori…e accettando anche il rischio di colpirne qualcuno”.

Dopo aver formulato tali ipotesi, il P.M. arriva, dapprima, alla conclusione che “questo dubbio non troverà mai una risposta prima di tutto nella mente di Placanica”. Poche righe dopo, supera ogni dubbio, basandosi esclusivamente su una, a nostro avviso inesistente (cfr. consulenze parte offesa in atti), deviazione del proiettile a seguito dell’impatto con un calcinaccio (i consulenti del P.M. non spiegano - tra l’altro - da dove sia stato lanciato, quale traiettoria abbia seguito e che corposità possa avere avuto).

Tralasciando, per ora, l’asserita “deviazione del calcinaccio”, e pur rispettando il soggettivo convincimento del P.M., non ci si puo’ esimere da alcune considerazioni: di fronte all’impossibilità di entrare “nella mente” dell’indagato, qualsiasi valutazione giuridica non può prescindere dalla verifica delle sue dichiarazioni, da quella dei testimoni presenti ai fatti e da accertamenti peritali.

In merito all’inattendibilità delle dichiarazioni del Placanica, si osserva:

1) a poche ore dagli accadimenti di Piazza Alimonda, l’indagato ha dichiarato di aver “scalcia(to) perché i manifestanti (lo) tiravano per una gamba che (gli) veniva afferrata dall’esterno, per cercare di tirar(lo) fuori dalla macchina”(P.M. 20.7.2001).

Successivamente ha ribadito: “...cercavo di evitare di essere trascinato fuori, in quanto ci erano diverse mani che mi avevano preso per le gambe e temevo che cercassero di appropriarsi dell’arma che tenevo nella fondina posizionata sulla coscia destra” (P.M. 11.9.2001).

E’ sufficiente esaminare il cospicuo materiale video-fotografico in atti per escludere che qualcuno, tra i manifestanti, abbia tentato di afferrare l’indagato per la gamba cercando di trascinarlo al di fuori del Defender e, tanto meno, di appropriarsi della pistola.

2) “Nel frattempo intimavo ai manifestanti di finirla perché se no avrei sparato... ... nell’agitazione e cercando di difendermi, mi sono accorto a posteriori che con la mano avevo inavvertitamente levato la sicura” (P.M. 20.7.2001).

“… Fu in quel momento che decisi di estrarre la pistola che tenevo nella fondina posizionata nella coscia destra vicina al ginocchio. Tolsi la sicura rimettendola immediatamente dopo” (P.M. 11.9.2001).

Da queste dichiarazioni emerge che:

-  in violazione delle norme regolamentari, l’indagato aveva posizionato la fondina con l’arma sulla coscia (ulteriori indagini, visto che a Mario Placanica nessuna domanda è stata fatta sul punto, potranno chiarire se tale fondina era di ordinanza). La circostanza ha la sua rilevanza in quanto è fatto notorio che si usa la fondina posizionata sulla coscia al fine di poter estrarre con più facilità l’arma.

- resosi conto della inattendibilità di quanto affermato relativamente all’aver “inavvertitamente levato la sicura”, non può esimersi, nel successivo interrogatorio, dal cambiare versione ed ammettere di averla tolta volontariamente.

Mario Placanica, quindi, non si era limitato a “mostrare” la pistola per minacciare i manifestanti ma - ben prima che la vittima afferrasse l’estintore - aveva intenzionalmente tolto la sicura, dimostrando così la volontà di brandire l’arma non a scopo di “deterrenza”, ma per sparare.

La volontà di usare l’arma - fin dal primo momento - trova conferma, oltre che nelle parole e nella condotta dell’indagato, nelle dichiarazioni di Predonzani: “il Carabiniere seduto dietro sta(va) puntando la pistola e (ho) sentito che urla(va) ‘vi ammazzo tutti, porci bastardi’...” (cfr. memoriale Predonzani, 6.9.2001, p. 2).

3) Quel che è più rilevante, rispetto al reato contestato, è il fatto che il Placanica estrae la Beretta cal. 9 dalla fondina, toglie la sicura, punta l’arma ad altezza d’uomo, urla “vi ammazzo tutti, porci bastardi”, ben prima che Carlo Giuliani, dopo aver visto l’estintore rotolare per terra, lo raccolga.

L’indagato ha quindi sparato non in quanto minacciato dal Giuliani: “... alla mia vista nel momento in cui puntavo la pistola non avevo persone, percepivo che vi erano aggressori ma non li vedevo percependo solo il continuo lancio di pietre...”.

4) Placanica ha tenuto la pistola in mano, carica e senza sicura, puntata contro i manifestanti per un rilevante lasso di tempo. Lui stesso parla di circa un minuto (P.M. 20.7.2001); Predonzani di diversi secondi: “dal momento in cui vedo la pistola a quello in cui sento gli spari, sono trascorsi diversi secondi in cui il carabiniere continuava ad urlare ‘vi ammazzo tutti’...(P.M. 6.9.01, p. 4).

Da tali dichiarazioni - che, a detta del pubblico ministero, sono le più attendibili in quanto rese nell’immediatezza dei fatti - emerge che il Placanica non aveva visto Carlo Giuliani con l’estintore: non può, dunque, invocarsi la legittima difesa in quanto non vi può essere necessità di difesa contro un pericolo attuale di una “offesa ingiusta”, se non si è avuta neppure la percezione del pericolo.

5) l’arma (Beretta cal. 9 parabellum) è stata impugnata, come emerge da tutti i filmati, in modo inclinato, con la mano destra e il braccio teso. Tale posizione (braccio teso e pistola tenuta orizzontalmente) dimostra l’esperienza nell’uso delle armi, in quanto la più idonea per colpire con precisione il “bersaglio”.

6) anche il secondo colpo è stato sparato ad altezza d’uomo. Nel richiamare il punto 5 delle “osservazioni dei consulenti della parte offesa” (depositate in data 31.10.2002), ci si limita a ribadire che “il secondo dei due colpi sparati è certamente passato ad altezza d’uomo almeno entro i primi 2,5 metri dalla bocca dell’arma”. Di conseguenza - se un soggetto di statura medio-alta si fosse trovato lungo la traiettoria entro i primi 2,5 metri dalla bocca dell’arma - sarebbe stato attinto dal proiettile (all. 2).

***

Dopo i due interrogatori resi innanzi all’Autorità Giudiziaria, nell’intervista pubblicata sul libro di Bruno Vespa “LA SCOSSA” (novembre 2001), Mario Placanica cambia decisamente versione: dichiara al giornalista, infatti, di non aver udito gli spari e di aver realizzato in pieno soltanto in Ospedale quello che era successo (all. 3).

Ulteriori divergenze si evidenziano nell’intervista rilasciata al TG5 “Terra” il 26.5.2002 (acquisita in atti).

L’indagato questa volta precisa che “volev(a) allontanare la gente”, che “non volev(a) ferire nessuno, non volev(a) sparare, non avre(bbe) voluto...”.

Ammette lucidamente di aver “pres(o) la pistola e spara(to) dei colpi” e, in aperta contraddizione con quanto dichiarato fino a quel momento, afferma di aver “visto una persona che veniva contro di noi con un oggetto metallico molto grosso, non riuscivo a distinguere se era un estintore...”.

Il Placanica, dunque, per la prima volta - dopo quasi un anno dai fatti - dichiara di aver sparato dopo aver visto una persona che gli si stava avvicinando.

Afferma di aver cercato “di sparare in aria, per questo dico che non mi sono accorto che c’era Carlo Giuliani dietro la macchina. Ho tentato di sparare in aria” e conclude - rimettendo tutto in discussione - con una frase equivoca: “anche se quei colpi li ho sparati, non ho mirato”.

Da questo momento in poi, le interviste rilasciate dall’indagato sono tutte tese, dapprima, ad avvalorare la tesi di aver sparato in aria e, successivamente, ad escludere di aver sparato, fino a giungere, come si vedrà, al punto di dichiarare di non essere stato il solo a sparare.

In data 20.7.02 è apparso un articolo sul “CORRIERE DELLA SERA” che riporta una intervista al TG1 del 19.07.2002, nella quale il carabiniere afferma: “non mi rendo conto se sono stato io, perché ho sparato in aria, non ho sparato contro persone ... davanti a me non c’era nessuno, non c’era Carlo Giuliani. Spero che si farà luce su questa questione” (all. 4).

In pari data, sul quotidiano LA STAMPA, il Placanica dichiara di aver sparato in aria e che “difficilmente avrei colpito Giuliani ... non so neanche sparare, nelle esercitazioni al Poligono di tiro sono scarso” (all. 5).

Nel corso del primo interrogatorio reso al P.M. (20 luglio 2001), l’indagato aveva dichiarato di avere una certa pratica nell’uso delle armi e che per tale ragione “er(a) stato scelto come granatista”.

Nell’intervista a “LA STAMPA” il Placanica ipotizza la sua estraneità al fatto: “C’era una gran confusione. Si sentivano botti da tante parti. Con questo non accuso nessuno: ma non sono stato il solo a sparare. Potrei non essere stato io. Se non sono stati i miei due colpi ad uccidere Giuliani, allora mi hanno fatto vivere un anno terribile senza che lo meritassi”(all. 5).

Analoghe dichiarazioni vengono riportate su “L’UNITÀ” del 20 luglio 2002, là dove il Placanica dichiara di non rendersi conto se è stato lui a sparare, perché lui “h(a) sparato in aria, non h(a) sparato contro persone” (all. 6).

La nuova tesi dell’estraneità viene ulteriormente ribadita in una dichiarazione pubblicata su “LA REPUBBLICA” del 21 luglio 2002, dove il carabiniere afferma di non voler “pagare per colpe che non sono mie. Non so neppure se sono stato io ... adesso posso solo confermare di avere sparato in aria. Sono sicuro di questo ... però secondo me c’è un mistero: tutte quelle pietre che deviano proiettili, corpi metallici, non si capisce niente” (all. 7).

Sul “CORRIERE DELLA SERA” dello stesso giorno è ancora più esplicito: “a volte ho la sensazione di essere stato usato per coprire responsabilità più grandi delle mie, ma adesso non ci sto più ... anzi, non credo di essere stato io ad uccidere Carlo Giuliani... la verità è che io non ho mai avuto un ricordo nitido di quei fatti. Ma in piazza Alimonda quel giorno è successo qualcosa di strano, mi hanno lasciato solo ...” (all. 8).

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CONSULENZE TECNICHE

PRIMA DI ANALIZZARE LE DIVERSE CONCLUSIONI DELLE CONSULENZE TECNICHE, È OPPORTUNO FAR PRESENTE - PER UNA CORRETTA VALUTAZIONE DELLE IMMAGINI VIDEO E FOTOGRAFICHE - CHE QUESTE RISENTONO DI ALTERAZIONI PROSPETTICHE DOVUTE AL TIPO DI APPARECCHIO IMPIEGATO. SE È STATO USATO UN TELEOBIETTIVO O UN GRANDANGOLARE I SOGGETTI RIPRESI APPAIONO IN UNA POSIZIONE NON “REALE”. AD ESEMPIO, NELLA FOTO C.D. “REUTER”, AMPIAMENTE DIVULGATA DALLA STAMPA, CARLO GIULIANI APPARE QUASI A CONTATTO COL DEFENDER, MENTRE, COME SI VEDRÀ, È DISTANTE OLTRE TRE METRI DALL’AUTOMEZZO. NELLA FOTO C.D. “D’AURIA” (ALL. 9), INVECE, APPAIONO NUMEROSI MANIFESTANTI VICINI AL DEFENDER, MENTRE IN REALTA’ SONO DISTRIBUITI SU UNO SPAZIO DI SVARIATE DECINE DI METRI (TRA IL RAGAZZO CON I PANTALONI GRIGI E LO ZAINETTO, CON I PIEDI SULLE STRISCE PEDONALI, E IL DEFENDER INTERCORRE UNA DISTANZA DI CIRCA QUINDICI METRI).

In merito alla dinamica degli eventi che hanno cagionato la morte della vittima, vi sono una serie di teorie e ricostruzioni, operate dai consulenti tecnici del pubblico ministero, da quelli della persona offesa e della difesa tra loro significativamente divergenti e che, pertanto, necessitano di ulteriori indagini o, per garantire maggiormente l’accertamento della verità, di un approfondimento di carattere dibattimentale, nel pieno contraddittorio tra le parti.

Anche, e soprattutto, in quanto le conclusioni dei consulenti tecnici del pubblico ministero vengono esposte in termini di mera “compatibilità”, “armonia con le ipotesi” o “alta attribuibilità”.

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In relazione alla distanza tra la vittima e il Defender dal quale sono stati esplosi i colpi di pistola, si osserva quanto segue.

In data 21 luglio 2001 il pubblico ministero incaricava i medici legali Prof. Marcello Canale e Dott. Marco Salvi di espletare consulenza tecnica sul cadavere della vittima.

I consulenti tecnici giungevano alla conclusione che il colpo fosse stato esploso ad una distanza superiore ai 40-50 cm. (cfr. c.t. 5.11.2001, p. 15).

In data 18 dicembre 2001, il pubblico ministero incaricava l’ispettore Capo della Polizia di Stato Biagio Manetto di sottoporre ad indagini di balistica interna i reperti relativi al procedimento in oggetto, nonché di ricostruire la traiettoria del proiettile che aveva attinto il Giuliani.

Il consulente tecnico giungeva alla conclusione che i due bossoli provenissero entrambi dalla pistola in dotazione al carabiniere Placanica, e che la distanza di sparo, tenuto conto che non si conosceva l’esatta inclinazione del capo del Giuliani rispetto al piano verticale, era di un minimo di 110 cm. fino ad un massimo di 140 cm. (cfr. integrazione relazione tecnica di consulenza balistica del 18 gennaio 2002, p. 1).

Altro consulente tecnico balistico del pubblico ministero, Valerio Cantarella - incaricato in data 7 settembre 2001 di accertare se la pistola Beretta SB numero matricola U45249Z avesse esploso due o più colpi di arma da fuoco e se i bossoli rinvenuti all’interno della Land Rover e sul selciato di Piazza Alimonda fossero stati esplosi dalla suddetta arma - concludeva con una probabilità del 10% di compatibilità in relazione ad un bossolo e del 80% in relazione al secondo.

Il fatto che il consulente Cantarella, presa visione della relazione dell’Ispettore Manetto, abbia rettificato, in un secondo momento, le proprie conclusioni, aumentando da 10% a 60% la compatibilità del bossolo con l’arma del Placanica, non è indicativo, come sostiene il Pubblico Ministero, di un avvenuto chiarimento ma, semmai, di una circostanza che appare dubbia agli stessi esperti balistici e che pertanto va accertata con l’unico mezzo che il codice di rito prevede, ovvero una perizia.

Successivamente il pubblico ministero incaricava altri consulenti tecnici, segnatamente Nello Balossino, Pietro Benedetti, Paolo Romanini e Carlo Torre, di ricostruire, anche in forma virtuale, presa visione del materiale video, fotografico e planimetrico agli atti, del materiale sequestrato e delle consulenze fino ad ora effettuate, la condotta di Mario Placanica e di Carlo Giuliani nel periodo immediatamente antecedente e successivo a quello in cui il Giuliani era stato colpito.

Nella prima stesura della relazione, detti consulenti evidenziavano che la distanza di sparo potesse essere superiore - precisando che il valore era approssimativo e da assumere con cautela - a circa 50-100 cm.

In data 10 giugno 2002, i medesimi consulenti, cambiando opinione, concludevano per una distanza di circa 300 cm., segnalando, tuttavia, che la vittima potesse aver fatto un passo in avanti prima di essere attinto dal proiettile.

Questa ultima ipotesi è esclusa da circostanze oggettive e dalla visione dei filmati in atti: non solo Carlo Giuliani, dopo aver preso l’estintore e prima di essere colpito, non ha fatto passi in avanti, ma anzi è leggermente arretrato col corpo, in quanto - quando è stato attinto dal proiettile - aveva l’estintore dietro la nuca (mentre per afferrarlo si era piegato in avanti).

Successivamente i consulenti del P.M. avanzavano l’ipotesi che qualcosa potesse aver deviato il proiettile esploso dall’interno del Defender. Dapprima si era parlato dello stesso estintore - che non presentava, tuttavia, tracce di impatto - e successivamente si indicava un calcinaccio lanciato da un manifestante.

Nell’agosto 2002 i consulenti tecnici della persona offesa, Giorgio Accardo, Roberto Ciabattoni e Ferdinando Provera depositavano uno “studio sulla dinamica dell’evento che ha portato alla morte di Carlo Giuliani attraverso l’analisi delle immagini”; il Dott. Gentile, consulente tecnico balistico della famiglia Giuliani, depositava elaborato definitivo sulla materia.

I consulenti tecnici della famiglia Giuliani, come si vedrà, sono giunti a conclusioni diverse da quelle del pubblico ministero (Cfr. consulenza tecnica della persona offesa datata 26.7.2002).

Tale consulenza consente di ricostruire l’accaduto nella sua configurazione temporale e spaziale e, quindi, nella sua completezza, analizzando in maniera tecnico-scientifica le immagini registrate, senza necessità di ricorrere a ricostruzioni basate su simulazioni (una attenta visione dei filmati in atti conferma la correttezza di tali elaborazioni).

- a distanza tra la vittima e il Defender è di 3.07 metri, “cui devono aggiungersi 30 cm. che intercorrono fra la bocca dell’arma ed il filo posteriore esterno della carrozzeria del Defender stesso” (Cfr. c.t. Dott. Gentile, p. 8);

- all’interno del Defender una persona non identificabile arma la pistola 2 secondi e 4/100 di secondo prima di sparare: nello stesso istante Carlo Giuliani vede l’estintore a terra;

- la vittima inizia a prendere l’estintore da terra 1 secondo e 68/100 di secondo prima di essere colpito;

- Carlo Giuliani impiega 96/100 di secondo per raccogliere l’estintore da terra e portarlo all’altezza della fronte, compiendo allo stesso tempo una rotazione del corpo: mancano 72/100 di secondo al momento in cui sarà colpito;

- Giuliani prosegue nella sua azione e impiega 68/100 di secondo per portare l’estintore dietro la testa, fino al punto di massima estensione delle braccia: mancano 4/100 di secondo al colpo mortale;

- Carlo Giuliani viene colpito 2 secondi e 4/100 di secondo da quando la pistola è stata armata. Negli istanti successivi, avvitandosi su se stesso, inizia la caduta verso il Defender;

- il corpo rotola verso il Defender dove si fermerà 1 secondo e 88/100 di secondo dopo essere stato colpito (cfr. c.t. Accardo, p. 21).

I C.T. Accardo, Ciabattoni e Provera escludono che il Giuliani possa aver fatto un passo avanti, in direzione del Defender, prima di essere colpito (sul punto la consulenza del P.M. si basa su mere “deduzioni ed ipotesi”).

Esaminando tutto il materiale in atti non si trova riscontro in alcuna immagine fotografica e filmata ma, al contrario, tale ipotesi viene smentita dalla sequenza filmata dalla Questura ...” (cfr. c.t. Accardo, p. 24).

Per quanto concerne la tesi - avanzata dai consulenti tecnici del pubblico ministero - secondo cui un calcinaccio avrebbe deviato il proiettile mortale, si rinvia alla consulenza tecnica (Accardo, p. 27) ove sono evidenziati elementi essenziali che “indicano un elevato livello di inattendibilità della prova al fine di riscontrare significativamente l’ipotesi formulata”; “... in assenza di precisi riscontri oggettivi è e rimane impossibile azzardare qualsiasi ipotesi di deviazione anche in termini meramente qualitativi. Pensare poi di fornire dati metrici sarebbe del tutto assurdo e improponibile ... la frammentazione del calcinaccio visibile nel filmato Luna Rossa in atti non può in alcun modo essere correlato al colpo poi risultato mortale” (cfr. c.t. Dott. Gentile, pp. 3, 16).

MA LA CONFERMA DELLA DISTANZA DI CARLO GIULIANI DAL DEFENDER E, SOPRATTUTTO, DEL FATTO CHE IL PROIETTILE NON È STATO DEVIATO DA ALCUN OGGETTO, LA SI RITROVA NELL’OSSERVAZIONE COMPARATA DEI FILMATI “A35B” E “B21”.

La distanza tra Carlo Giuliani, nel momento in cui è stato attinto dal proiettile, e il defender è oggettivamente verificabile dal filmato “B 21”. In tale filmato si vede chiaramente del sangue che fuoriesce dal volto della vittima nel momento in cui aveva l’estintore dietro la nuca (ciò conferma che, dopo essersi piegato per prendere l’estintore, Carlo Giuliani non ha fatto passi in avanti, come prospettato dal P.M., ma anzi è leggermente arretrato per portare l’estintore dietro la nuca).

La distanza di sparo - come ben evidenziato dai consulenti della persona offesa (cfr. consulenza in atti e pag. 3 verbale udienza del 5.10.2002) - è superiore a 3 metri.

Altro dato rilevante - che emerge dall’esame dei suddetti filmati - è che non vi è stata alcuna deviazione del proiettile a causa di un impatto col “calcinaccio”.

Infatti:

a) corrisponde il momento della visione del fumo dello sparo (filmato “A35B”) con la fuoriuscita del sangue dal volto di Carlo Giuliani (filmato “B21”);

b) tenendo conto del posizionamento della video-camera (oltre 50 metri dal defender), si sente il suono dello sparo dopo che si vede il fumo prodotto dallo sparo. Il tempo che intercorre tra l’immagine del fumo e il rumore dello sparo - quantificabile in tre fotogrammi e mezzo (“frames”) - precede significativamente la frantumazione del calcinaccio (cfr. consulenza 9.8.2002 e filmato “A35B”);

c) è ben visibile, dai filmati e dall’allegata sequenza fotografica (all. 1), una ammaccatura sul defender causata dall’impatto del “calcinaccio”. Il profilo del tetto del defender è, infatti, intatto nelle posizioni 04 e 05 dell’allegato 1, mentre, subito dopo il diradarsi della polvere dovuta all’impatto (posizione 08), è visibile una ammaccatura all’altezza della seconda “I” dei Carabinieri.

In relazione “alla presenza di macchie rosse nei filmati della polizia in prossimità della testa di Giuliani”, a pag. 23 della richiesta di archiviazione si sostiene che si tratti di “effetti cromatici... non riconducibili alla fuoriuscita di sostanza ematica”. Sul punto, oltre a richiamare le conclusioni dei consulenti della parte offesa, si evidenzia che queste hanno trovato conferma nella deposizione del teste, Carlo Finotti - “Carlo Giuliani ... dietro l’auto, che cade a terra dopo lo sparo mentre un fiotto di sangue gli esce dal viso ...(P.M. 15.2.2002, p. 2).

A fronte di una evidenza oggettiva, avvalorata da una dichiarazione testimoniale, i consulenti del P.M. formulano, ancora una volta, mere congetture. A p. 13 del “Supplemento alla prima relazione di consulenza tecnica, 5 agosto 2002”, infatti, si limitano a descrivere - rispetto al momento dello sparo - eventi che non trovano alcun riscontro nelle immagini:

- “si verifica lo sparo; in modo quasi istantaneo il calcinaccio, fuori dall’inquadratura della telecamera, viene colpito ...”;

- “... il calcinaccio colpito, è ancora esterno all’area di visualizzazione della telecamera ...”;

- “... il calcinaccio entra nell’area di ripresa della telecamera ed è interessato dal fenomeno di disaggregazione che però è confinato nella parte non visibile della telecamera...

Altro argomento utilizzato per sostenere la tesi della “deviazione” è quello derivante dalla “parziale frammentazione del proiettile”.

Sul punto il Dott. Gentile si era riservato di “approfondire la natura della causa o delle cause accidentali o sistematiche che possono aver determinato la precoce frammentazione del proiettile che ha attinto la vittima”(cfr. consulenza del 26.7.2002).

All’udienza del 5.10.2002 lo stesso consulente ha dichiarato che “in quel momento” non aveva una “obiettività” rispetto alla “traumatizzazione”, precisando che il proiettile poteva “essere stato traumatizzato in precedenza … oppure avere in sé intrinsecamente dei difetti costruttivi che possono avere prodotto la precoce traumatizzazione”. Lo stesso, infine, ha aggiunto che stava ancora esplorando altre possibilità.

Sul punto il Dott. Gentile ha fatto pervenire, in bozza, le seguenti osservazioni che ci si riserva di produrre in originale.

Altro aspetto di rilievo è la frammentazione precoce del proiettile che ha attinto la vittima. Il PM, nella nota 21 a piè di pagina 22 della sua relazione, richiama il fatto che lo stesso consulente della famiglia Giuliani concorda pienamente con il Prof. Torre circa l’indiscutibile obbiettività che un proiettile cal. 9 mm. NATO non si possa frammentare al solo impatto finale con la vittima. Ciò posto, ed assodato in piena concordanza fra le parti, ne consegue che ci si debba dare una spiegazione su cosa possa aver inciso nella storia balistica del proiettile mortale.

Premesso che l’urto contro il calcinaccio avrebbe certamente determinato una fortissima deformazione ed alterazione dimensionale del proiettile ed una sensibile destabilizzazione dello stesso (e che questo, per entrambi i motivi suddetti, attingendo Carlo Giuliani avrebbe dovuto provocare un foro d’ingresso ben diverso, almeno dimensionalmente da quello sia pur scarsamente descritto dai periti settori) e tenendo nel dovuto conto che la tempistica fornita dai consulenti della P.O. (che hanno esaminato minuziosamente i filmati e le immagini disponibili in atti), è risultata del tutto incompatibile con l’impatto contro il calcinaccio ed, infine, non essendo emersa alcuna obbiettività alternativa circa un possibile impatto contro altro oggetto, rimangono a nostro avviso da esplorare, nei limiti del possibile, ipotesi diverse da un urto intermedio che possano giustificare la frammentazione del proiettile.

Una delle ipotesi alternative da noi proposte era un difetto costruttivo del proiettile; non si può escludere del tutto che la camiciatura del proiettile possa aver avuto difetti originari di ricottura (trattamento termico che esalta la duttilità della lega riducendone enormemente la fragilità conseguente ad un eccessivo incrudimento determinato dallo stampaggio) o che la stessa camicia presentasse variazioni di spessore in particolari zone della parte cilindrica del proiettile, o, in ultima istanza, se non si siano verificate contemporaneamente entrambe le circostanze proposte.

Non possedendo statistiche sui controlli di qualità sulla produzione dei proiettili e non avendo alcuna esperienza diretta personale (possiamo solo segnalare che un lotto di cartucce dello stesso calibro, prodotte però da ditta diversa dalla GFL, presentò difetti tali della ricottura del bossolo da determinarne la costante fatturazione di questo in seguito allo sparo) nell’esporre tale ipotesi, doverosamente, (vedi nota 26 a pag. 25 della r. a. del PM) dissi che tale evenienza, pur possibile, andava prudenzialmente considerata piuttosto remota.

La famiglia Giuliani in tempi recentissimi ha raccolto dal Sig. Valerio Mattioli, Appuntato Scelto in congedo dall’Arma, una dichiarazione nella quale si afferma che è pratica abbastanza diffusa, per quanto a sua conoscenza, alterare i proiettili producendo incisioni sulla punta degli stessi al fine di modificare un FMJ (proiettile interamente incamiciato, quindi realizzato per ottenere una migliore penetrazione e nel contempo minimizzare le possibilità di frammentazione e conseguentemente gli effetti lesivi) con l’intento di renderlo espansivo e più facilmente frammentabile all’impatto.

A scanso di equivoci è bene chiarire subito che allo stato degli atti non v’è alcuna obbiettività in tal senso e che pertanto la dichiarazione del Mattioli va segnalata unicamente per completezza d’indagine, tuttavia, anche alla luce di ciò, non si può non rinnovare il rammarico già espresso in relazione all’irreparabile perdita del frammento di camicia ritenuto nel cranio della vittima che, pur evidenziato e diligentemente refertato dal radiologo, non è stato ritrovato e repertato nel corso dell’autopsia. Un esame accurato di tale reperto avrebbe fornito certamente indicazioni utili sulla storia balistica pregressa del proiettile mortale”.

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Dal momento che lo stesso pubblico ministero, nella richiesta di archiviazione, ha evidenziato che - malgrado tutti gli accertamenti tecnici - non si è riusciti a raggiungere l’obiettivo che ci si era prefissati (una ricostruzione certa e che trovasse d’accordo i consulenti tecnici di entrambe le parti), si deve concludere che è rimasta attuale la necessità di un accertamento tecnico definitivo.

I contrasti tra le consulenze effettuate dai vari consulenti tecnici - evidenziati dallo stesso pubblico ministero nella richiesta di archiviazione (p. 23) - non consentono di ricostruire in maniera univoca la dinamica degli eventi.

Non vi sono quindi i presupposti - di fronte a emergenze così contrastanti e contraddittorie e sulla base di una ricostruzione che “appare convincente” al solo pubblico ministero - per un provvedimento di archiviazione.

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Quanto alla prospettazione del pubblico ministero, secondo cui sarebbe ravvisabile la scriminante della legittima difesa - e ribadito che intanto può invocarsi una esimente in quanto si abbia precisa contezza dei fatti che hanno determinato l’evento (la mancanza dell’antecedente, in altre parole, rende impossibile la verifica del successivo) - si osserva che “in tema di legittima difesa, le espressioni “necessità di difendere” e “sempre che la difesa sia proporzionata all’offesa”, vanno intese nel senso che la reazione deve essere, nella circostanza, l’unica possibile, perché non sostituibile con altra meno dannosa, ugualmente idonea ad assumere la tutela del diritto (proprio o altrui) aggredito” (Cass. Pen., sez. I, 1.12.1995, n. 2554 e, in senso conforme, Cass. Pen., sez. IV, 25.5.1993 “… la reazione è necessaria quando è inevitabile, vale a dire non sostituibile da altra meno dannosa“).

Non sono condivisibili le argomentazioni del pubblico ministero, là dove ritiene che “in quei momenti Placanica aveva la giustificata percezione di essere in pericolo di vita” (cfr. richiesta di archiviazione, p. 32).

Posto che non è dato comprendere, in presenza delle contraddittorie dichiarazioni del Placanica, quali elementi dimostrino che lo stesso si sentisse in pericolo di vita, giova rilevare che il militare avrebbe dovuto sparare in aria e non, per ben due volte, ad altezza uomo.

Soprattutto se si considera che - come dallo stesso dichiarato in più occasioni - non aveva neppure visto Carlo Giuliani con l’estintore e, quindi, non aveva quella “giustificata percezione di essere in pericolo di vita” (p. 31 richiesta archiviazione) che ha determinato il P.M. a chiedere l’archiviazione.

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Il dettato legislativo parla di “pericolo attuale” di una “offesa ingiusta”: in merito all’attualità del pericolo, la dottrina nega che “possa dare luogo a pericolo la semplice possibilità di danno, poiché in tal modo si verrebbe ad ampliare in una dimensione smisurata il relativo concetto... pericolo significa ‘apprezzabile grado di possibilità di un evento temuto’...” (Grosso, Encicolopedia del diritto, sub voce Legittima difesa, p. 32).

SE L’INDAGATO NON HA FATTO ALCUN RIFERIMENTO, NELLE DICHIARAZIONI RESE INNANZI ALL’AUTORITA’ GIUDIZIARIA, AL GIULIANI, E TANTO MENO AD UNA PERSONA CON L’ESTINTORE, COME PUÒ AVER PERCEPITO IL PERICOLO COME ATTUALE?

Se, invece, la percezione del pericolo proveniva dal manifestante con l’asse di legno a lato del defender, come può invocarsi la legittima difesa là dove l’agente ha puntato e mirato in tutt’altra direzione?

“Agli effetti dell’applicazione dell’esimente ... il pericolo deve essere attuale..., con esclusione, quindi, del pericolo già esauritosi e di quello ancora futuro” (Grosso, Enciclopedia cit., p. 35).

“Ai fini della configurabilità della legittima difesa, la reazione dell’agente è giustificata e quindi legittima, soltanto quando il pericolo dell’offesa, oltre che oggettivamente esistente, sia anche incombente, nel senso che la commissione del fatto, costituente reato, rappresenti il solo mezzo per tutelare il diritto posto in pericolo dall’azione aggressiva della vittima ...” (Cass. Pen., sez. I, 7.10.1991).

Che tipo di pericolo incombente poteva rappresentare il Giuliani, che si trovava a più di tre metri di distanza dal Placanica? E come poteva prospettarsi un pericolo incombente da parte della vittima che - non ci stancheremo di ripeterlo - lo stesso Placanica non aveva neppure visto (tanto meno nell’atto di raccogliere l’estintore)?

“Tra i requisiti indispensabili della legittima difesa v’è l’attualità del pericolo quale fattore necessitante. L’esimente è esclusa quando il pericolo sia solo futuro o immaginario; è ravvisabile quando sia attuale ... non basta che il soggetto contro cui si reagisce abbia indosso un’arma al momento del fatto, ma è necessaria la prova che questi ne abbia fatto uso, minacciato di farne o che si sia comportato in modo tale da farlo credere, sì da creare per il soggetto che reagisce una situazione di pericolo incombente o una ragionevole apparenza di tale situazione e da fargli sorgere la necessità di difesa ...” (Cass. Pen., sez. I, 28.1.1991).

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Il pubblico ministero ha escluso la configurabilità dell’eccesso colposo, affermando che “la legittima difesa e l’eccesso colposo si differenziano unicamente in ordine all’elemento della adeguatezza della reazione” e che debba ravvisarsi l’eccesso colposo in luogo della legittima difesa “soltanto ove si dimostri che i mezzi adoperati potevano essere evitati e sostituiti da altri più proporzionati al pericolo” (richiesta archiviazione, p. 28).

Ribadito che, allo stato degli atti e in considerazione della contraddittorietà delle emergenze processuali, non dovrebbe essere possibile, per le argomentazioni già esposte, passare tout-court alla valutazione giuridica della sussistenza della scriminante invocata, ci si limita a richiamare l’orientamento giurisprudenziale secondo cui “l’eccesso colposo sottintende ... i presupposti della scriminante con superamento dei limiti a quest’ultima collegati; per stabilire se nel commettere il fatto si siano ecceduti colposamente i limiti della difesa legittima, bisogna prima identificare i requisiti comuni alle due figure giuridiche, poi il requisito che le differenzia: accertata la inadeguatezza della reazione difensiva, per l’eccesso nell’uso dei mezzi a disposizione dell’aggredito in un preciso contesto spazio-temporale e personale, occorre procedere ad una ulteriore differenziazione tra eccesso dovuto ed errore di valutazione ed eccesso consapevole e volontario, dato che solo il primo rientra nello schema dell’eccesso colposo delineato dall’art. 55 c.p., mentre il secondo consiste in una scelta reattiva volontaria, la quale certamente comporta il superamento doloso degli schemi della scriminante” (Cass. Pen., sez. I, 1997, n. 4781 e, in senso conforme, Cass. Pen., sez. I, 5.8.1992 “).

Superamento doloso” riconosciuto nella stessa richiesta di archiviazione, anche in presenza della prospettata, ma non condivisibile, deviazione del proiettile: “Infatti l’intenzione di Placanica era comunque quella di sparare e l’impatto della pallottola sul calcinaccio... non ha costituito una causa sopravvenuta da sola sufficiente a determinare l’evento e perciò idonea ad interrompere il processo causale originato dalla condotta dell’agente” (p. 31 richiesta archiviazione).

“... Occorre differenziare tra eccesso dovuto a negligenza, imperizia, imprudenza ed, in genere, a colpa nella valutazione dell’entità dell’offesa o della misura della difesa, ed eccesso consapevole e volontario. Nel primo caso ricorre l’eccesso colposo, nel secondo il delitto è doloso perché la condotta e l’evento sono volontari e previsti...”; cfr. anche Cass. Pen., sez. I, 5.7.1991; Cass. Pen., sez. I, 4.12.1991 “... non è invocabile l’esimente della legittima difesa, reale o putativa, neppure sotto l’aspetto dell’eccesso colposo, qualora la sproporzione della reazione rispetto all’offesa incombente non derivi da colpa, cioè da valutazione erronea della situazione effettiva, ma sia consapevole e volontaria...”.

Nel caso in esame, è emerso che il Placanica aveva tenuto puntata la pistola per un significativo lasso di tempo, urlato frasi del tipo “vi ammazzo tutti porci bastardi”, diretto l’arma verso altri manifestanti, che si sono immediatamente dati alla fuga, e successivamente sparato colpendo il Giuliani.

Detti elementi se, da un lato, dimostrano una precisa volontà di sparare - e, quindi, sono sufficienti per escludere la configurabilità dell’esimente della legittima difesa - dall’altro, non consentono di operare una valutazione giuridica tanto complessa quanto è quella di ravvisare un eventuale eccesso, colposo o doloso, se non attraverso una verifica dibattimentale che consenta, come più volte ribadito, dapprima, di ricostruire il fatto e, successivamente, di valutare la sussistenza degli elementi oggettivi e soggettivi richiesti dalla legge per integrare le ipotesi di cui agli artt. 52 e 55 del codice penale.

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Il Pubblico ministero ha ritenuto “non imputabile” di omicidio il Cavataio, “sia per mancanza dell’elemento soggettivo... sia perché tale condotta è stata ininfluente sull’evento” (p. 36), escludendo qualsiasi rapporto di causalità tra il duplice arrotamento del defender e la morte di Carlo Giuliani. Ciò sulla base di quanto emerso dalla consulenza tecnica del Prof. Torre e dall’esame autoptico (definito “superficiale” dallo stesso p.m.), che ha individuato la causa della morte nella ferita d’arma da fuoco non avendo, l’arrotamento, “determinato alcuna lesione interna apprezzabile” (cfr. autopsia 5.11.2001, Prof. M. Canale, Dott. M. Salvi, p. 14).

I filmati in atti dimostrano che dal corpo della vittima, già in terra, fuoriuscivano zampilli di sangue con cadenza ritmica (segno inequivocabile di attività cardiaca ancora in essere prima e dopo il passaggio del Defender).

A fronte di una serie di immagini dalle quali emergeva chiaramente che il Giuliani era ancora vivo, prima che il Defender lo arrotasse per due volte, sarebbe stato doveroso disporre una nuova consulenza tecnica medico legale, onde verificare se un mezzo blindato di così rilevante peso, poteva calpestare due volte un corpo esile quale era quello della vittima, senza procurare alcuna frattura o lesione interna.

La condotta del Cavataio non può essere considerata, così come ha ritenuto il pubblico ministero, “ininfluente”. Quanto, poi, all’elemento soggettivo, una verifica dibattimentale potrebbe portare - pur in mancanza del dolo - ad accertare una responsabilità o corresponsabilità per colpa.

Cavataio ha dichiarato di non aver neanche udito gli spari: circostanza smentita dal Maresciallo Amatori, il quale ha affermato che l’indagato gli avrebbe riferito, subito dopo i fatti, di aver udito i due spari (cfr. s.i.t. Amatori, 20.7.2001).

Appare pertanto necessario un supplemento di indagini al fine di acquisire nuovi elementi di prova sulle cause della morte di Carlo Giuliani e, in particolare, al fine di accertare se il Giuliani era ancora vivo prima di essere calpestato dal Defender; se il duplice arrotamento possa aver causato o concorso a causare la morte della vittima; se è possibile che un mezzo blindato calpesti per due volte un corpo umano senza procurare lesioni di sorta; se gli esami autoptici siano stati effettuati con metodologie scientificamente corrette e quale sia il grado di attendibilità - certezza, probabilità, possibilità - degli esiti degli stessi.

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Alla stregua delle considerazioni ora svolte, appare doveroso demandare al giudice di merito la valutazione sulla sussistenza della responsabilità penale in capo agli odierni indagati.

Ove così non fosse, si avrebbe un superamento dei limiti del ruolo del giudice per le indagini preliminari che, nel disporre l’archiviazione del procedimento, dovrebbe esprimere giudizi di valore tipici di altra e diversa fase processuale, sostituendosi al giudice del dibattimento.

Il pubblico ministero ha sostenuto che va richiesta “l’archiviazione ogniqualvolta all’esito dell’udienza preliminare il giudice sia tenuto a pronunciare sentenza di non luogo a procedere”: nel caso di specie, ove fosse celebrata una udienza preliminare, l’unico esito possibile - in considerazione della situazione di fatto e delle norme del nostro codice di rito - sarebbe, contrariamente a quanto sostiene il pubblico ministero, quello dell’emissione del decreto che dispone il giudizio.

E’ del tutto arbitraria l’affermazione del P.M. secondo cui, in caso di celebrazione di una udienza preliminare, il giudice perverrebbe ad una sentenza di non luogo a procedere e ciò per una serie di ragioni.

L’art. 425 c.p.p., per precisa scelta del legislatore, fa riferimento a “elementi acquisiti” e non a “prove”, evidenziando un parametro di giudizio che - nell’ambito di una decisione di natura processuale - deve essere profondamente diverso da quello di merito, proprio della fase dibattimentale.

Anche dopo l’eliminazione del qualificativo “evidente” dalla formulazione dell’art. 425 c.p.p., il giudice dell’udienza preliminare può pronunciare sentenza di non luogo a procedere soltanto quando gli elementi rilevatori dell’insussistenza del fatto, della sua irrilevanza penale e dell’estraneità dell’imputato emergono dagli atti in modo incontrovertibile, sicchè essi devono essere verificati per constatazione e non già a seguito di apprezzamenti, caratterizzanti invece il giudizio di merito” (Cass. Pen. sez. VI, 4.11.1997, n. 4319).

Nel caso in esame non solo non emergono in maniera incontrovertibile elementi tali da poter già in questa fase ipotizzare un provvedimento di non luogo a procedere ma, al contrario, vi sono elementi di tale complessità e contraddittorietà da rendere assolutamente necessaria una verifica dibattimentale.

Gli elementi evidenziati dal pubblico ministero a sostegno della non colpevolezza oltre a non essere, per le considerazioni già svolte, condivisibili, appaiono, tra l’altro, suscettibili di integrazione nella successiva fase del dibattimento.

Recentemente la Suprema Corte ha ribadito che “il giudice dell’udienza preliminare deve pronunciare sentenza di non luogo a procedere sia nel caso di prova positiva dell’innocenza sia nel caso di mancanza, insufficienza o contraddittorietà della prova di colpevolezza, a condizione, però, che essa non appaia integrabile nella successiva fase del dibattimento...” (Cass. Pen.,sez. 1, 18.11.1998, n. 1490).

Appare pertanto non solo legittima ma anzi doverosa la celebrazione di un dibattimento, atteso che solo il ricorso alle tecniche di acquisizione dibattimentale della prova potrebbe sanare l’insufficienza e la contraddittorietà del quadro probatorio, consegnando esiti cognitivi non più incerti. In un sistema processuale penale come quello vigente - ispirato, tanto più dopo la riforma dell’art. 111 Cost., all’idea che il principio del contraddittorio nel momento della formazione della prova rappresenti non solo una fondamentale garanzia per l’imputato ma anche la più efficace tecnica di accertamento dei fatti - una diversa soluzione sarebbe assolutamente inaccettabile.

Come è stato autorevolmente osservato, la prognosi di utilità del giudizio “costituisce l’unico (l’ultimo) elemento di diversificazione tra i parametri del giudizio di merito rispettivamente operanti nella fase dell’udienza preliminare e nella fase del dibattimento ... l’imprescindibile discrimen tra le fasi strictu sensu processuali, venendo meno il quale il sistema perderebbe ogni parvenza di ragionevolezza” (Grosso, Commento agli artt. 20-23 della legge 16 dicembre 1999, n. 479, DPP 2000, 287).

Tale soluzione è l’unica in grado di ridurre l’efficacia gravemente condizionante che, diversamente ragionando, il provvedimento di rinvio a giudizio finirebbe per avere sull’area del convincimento del giudice dibattimentale. Hanno sottolineato opportunamente tale criterio Di Chiara, Il contraddittorio nei riti camerali, Milano, 1994, 290 e Macchia, La ‘nuova’ sentenza di non luogo a procedere e il decreto che dispone il giudizio : tra ‘cripto-motivazione’ e dubbi di costituzionalità, in Cass. Pen., sez. 1993, 2415, i quali denunciavano il rischio che - ampliando gli spazi del non luogo a procedere - l’imputato “potesse pervenire al cospetto del giudice del dibattimento gravato da una seria ipoteca”.

L’argomento è oggi efficacemente ripreso dal Grosso che spiega: “se, sulla base del nuovo testo dell’art. 425 c.p.p., si dovesse ritenere consentita una sentenza di non luogo a procedere anche in presenza di risultanze conoscitive, pur se contraddittorie e insufficienti, che si prestino a soluzioni aperte, cioè ad integrazioni probatorie o ad ulteriori chiarimenti in sede dibattimentale (condizioni correttamente ritenute da Cass. Sez. III, 23 dicembre 1996, non compatibili con il proscioglimento all’udienza preliminare), l’epilogo in senso opposto ... verrebbe ad assumere la fisionomia sostanziale di una anticipazione di affermazione di responsabilità penale all’esito di un giudizio caratterizzato da una malcelata logica e dinamica inquisitoria. L’udienza preliminare finirebbe col trasformarsi in una sorta di primo grado di giudizio (o, se si preferisce, un ‘pre-giudizio’ di primo grado) sottoposto al riesame dibattimentale” (Grosso, Commento cit., DPP 2000, 288).

Il fatto che un processo possa concludersi ex art. 425 c.p.p. senza la benché minima attuazione del contraddittorio nel momento di formazione della prova oggi costituzionalizzato, si giustifica sulla base dell’economia processuale soltanto se si ritenga di poter escludere che l’attuazione del contraddittorio - che, nella dinamica processuale conseguente all’esame e controesame di imputati, testi, consulenti tecnici e periti ben può portare ad un chiarimento dei punti controversi e/o contraddittori - trasformi il quadro probatorio. Vale a dire se si ritenga di poter escludere che l’elemento probatorio, che è possibile acquisire solo attraverso il contraddittorio, possa comportare una chiarificazione degli elementi di dubbio emersi nella fase delle indagini. Ciò a maggior ragione stante il tenore dell’art. 111 comma 4° della Costituzione, per cui “il processo è regolato dal principio del contraddittorio nel momento di formazione della prova”.

Tornando all’assunto del pubblico ministero secondo cui va richiesta “l’archiviazione ogniqualvolta all’esito dell’udienza preliminare il giudice sia tenuto a pronunciare sentenza di non luogo a procedere”, giova richiamare il principio più volte ribadito dalla giurisprudenza di legittimità secondo cui “il giudice dell’udienza preliminare, una volta che risultino certe tanto la verificazione del fatto-reato, sotto il profilo della sua materialità, quanto la sua attribuibilità all’imputato sotto il profilo del rapporto causale, non è legittimato a valorizzare, nell’ambito della pur necessaria indagine in ordine all’elemento psicologico del reato, ipotetiche e incerte alternative, concernenti l’effettiva direzione della volontà, né ad operare scelte tra le molteplici ‘soluzioni aperte’, che sono viceversa riservate in via esclusiva al libero convincimento del giudice del dibattimento, in esito all’effettivo contraddittorio delle parti sulla prova ...” (Cass. Pen., sez. I, 21 aprile 1997, n. 2875).

Ne consegue che, diversamente da quanto sostenuto nella richiesta di archiviazione, all’esito di una eventuale udienza preliminare, il giudice non potrebbe altro che disporre il giudizio.

In relazione, infine, al richiamo che il pubblico ministero fa dell’art. 530, III comma c.p.p. che impone al giudice, in esito al dibattimento, di assolvere l’imputato ove vi sia anche una ‘semiplena probatio’ in ordine alla sussistenza di una scriminante, si osserva che il dubbio sulla esistenza di una scriminante, ove insorga in sede di indagini preliminari, non può altro che comportare la necessità di una verifica dibattimentale, in esito alla quale, rimasto tale, dovrà certo imporre una sentenza assolutoria, non offrendo, l’ordinamento, altri strumenti di accertamento.

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Fermo restando che spetta al giudice di merito stabilire la configurazione giuridica degli eventi, pare opportuno evidenziare, già in questa sede, quali elementi oggettivi e soggettivi possano essere considerati ai fini della valutazione di cui sopra.

Placanica e Cavataio sono stati iscritti nel registro degli indagati per il reato di cui all’art. 575 c.p.

Se il Placanica si è rappresentato la probabilità, o anche la semplice “alternativa”, del verificarsi dell’evento letale, quale conseguenza della sua condotta, accettando il rischio dell’accadimento - come emerge da quanto sopra evidenziato e come soltanto il dibattimento potrà acclarare - l’ipotesi di reato prospettata inizialmente troverebbe una conferma.

Il Placanica ha dichiarato di aver “messo il colpo in canna alla pistola che tene(va) in una fondina a coscia”; di aver intimato “ai manifestanti di finirla perché se no(n) avre(bbe) sparato”; di aver tenuto la pistola puntata “per circa un minuto”.

Posto che si tratta di un militare che ha ammesso di avere una certa pratica nell’uso delle armi (tant’è che per tale ragione “er(a) stato scelto come granatista”) e che quindi poteva agevolmente rappresentarsi la potenzialità letale di un’arma - e considerato che ha avuto un lasso di tempo relativamente lungo in cui ha tenuto l’arma puntata e, conseguentemente, ha avuto la possibilità di valutare l’esito dell’azione che stava per compiere - non può che giungersi alla conclusione che l’agente dovrà rispondere del delitto ascrittogli a titolo di dolo eventuale.

Chiunque sia minimamente esperto di armi è a conoscenza del fatto che, puntando la pistola con la mano dritta, è più facile, con una minima oscillazione della mano, che il colpo vada fuori bersaglio; al contrario, se la si tiene puntata lateralmente - come ha fatto il Placanica e come dimostrano tutti i filmati in atti - il bersaglio è più difficile da mancare in quanto il polso può muoversi solo in su e in giù, ma sempre in direzione di ciò che si è preso di mira.

Predonzani ha dichiarato che il carabiniere, mentre puntava la pistola, aveva urlato le parole “vi ammazzo tutti porci bastardi” (Cfr. audizione Predonzani, 6.9.2001, p. 3): la circostanza, ove non fosse stata del tutto trascurata, avrebbe dovuto portare alla conclusione della rappresentazione e volontà, in capo al Placanica, dell’evento che si è poi verificato.

Quanto alla configurabilità dell’omicidio colposo, si rileva che l’art. 589 c.p.p. sanziona la condotta di chi, per colpa, cagiona la morte di una persona. Ai fini della configurazione della fattispecie de qua, occorre richiamare l’art. 43 c.p., nella parte in cui specifica che il delitto è colposo, o contro l’intenzione, quando l’evento, anche se preveduto, non è voluto dall’agente e si verifica “a causa di negligenza o imprudenza o imperizia, ovvero per inosservanza di leggi, regolamenti, ordini o discipline”.

Perché possa ravvisarsi la colpa occorre accertare, in primis, il presupposto negativo della volizione dell’evento posto in essere dall’agente; poi valutare se, e in che termini, lo stesso era prevedibile e in che modo detta prevedibilità possa influenzare la struttura della colpa.

La giurisprudenza è divisa là dove, da un lato, ritiene che “per la sussistenza della colpa non è necessaria l’effettiva previsione dell’evento come conseguenza dell’azione o dell’omissione, essendo sufficiente solo la prevedibilità...” (Cass. Pen., sez. IV, 9 novembre 1979 e, in senso conforme, Cass. Pen., sez. IV, 18 settembre 1990); dall’altro, in senso diametralmente opposto, stabilisce che “la prevedibilità dell’evento è elemento estraneo alla nozione di colpa di cui all’art. 43 c.p., il quale per la sussistenza del reato colposo richiede esclusivamente una condotta antigiuridica che si ricollega, in virtù del nesso di causalità, con l’evento...” (Cass. Pen., sez. IV, 20 gennaio 1986).

“La colpa punibile, ai sensi dell’art. 43 c.p., si estrinseca non solo nell’inosservanza di obblighi imposti da leggi, regolamenti, ordini o discipline, ma anche in un comportamento negligente, imprudente o imperito o, comunque, violatore di regole fondamentali di condotta che, apprezzato rispetto sia alla situazione realistica in cui si è svolto l’episodio criminoso, sia alla relatività della situazione stessa riguardata sotto il profilo della condotta dell’imputato, si riveli tale da aver determinato un evento delittuoso estraneo alla volontà del predetto, nel senso che se detta condotta fosse stata regolare l’evento stesso non si sarebbe verificato...” (Cass. Pen., sez. IV, 1 marzo 1991).

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La giurisprudenza di legittimità ha più volte ribadito che “... in esito all’udienza camerale fissata a seguito di richiesta di archiviazione, ben può il giudice - osservato il principio iura novit curia, e considerate le norme che regolano i rapporti tra giudice e pubblico ministero nella materia in esame - qualificare il fatto portato a sua conoscenza in maniera diversa da quanto abbia prospettato la parte pubblica.

Ai fini della formulazione dell’imputazione coatta, per il pubblico ministero è vincolante la ricostruzione del fatto operata dal giudice per le indagini preliminari e la qualificazione giuridica da lui ritenuta tutte le volte che tale diversa qualificazione incide direttamente sull’esercizio dell’azione penale...” (Cass. Pen., sez. VI, 19.12.1995).

Alla stregua del principio giurisprudenziale di cui sopra e delle considerazioni che precedono, si chiede alla S.V. di non accogliere la richiesta formulata dal pubblico ministero e di disporre, ai sensi dell’art. 409 comma 5 c.p.p., che quest’ultimo formuli coattivamente l’imputazione nei confronti di Mario Placanica e Filippo Cavataio.

In via subordinata si chiede la prosecuzione delle indagini e si indicano, ai sensi dell’art. 410 c.p.p., quale oggetto di investigazioni supplettive e quali relativi elementi di prova:

- CONSULENZA TECNICA MEDICO LEGALE al fine di acquisire nuovi elementi di prova sulle cause della morte di Carlo Giuliani e, in particolare, di accertare se il Giuliani era ancora vivo prima e dopo essere “arrotato” per ben due volte dal Defender; se il duplice arrotamento possa aver causato o concorso a causare la morte della vittima; se è possibile che un mezzo blindato calpesti per due volte un corpo umano senza procurare lesioni di sorta (come risulta dall’autopsia); se gli esami autoptici siano stati effettuati con metodologie scientificamente corrette e quale sia il grado di attendibilità - certezza, probabilità, possibilità - degli esiti degli stessi;

- AUDIZIONE DEL CAPO DELLA POLIZIA, DE GENNARO, per poter conoscere, in generale, le direttive e le regole di comportamento impartite sulla gestione dell’ordine pubblico durante il G8 e, in particolare, se era regolamentare l’uso di “fondine a coscia” e, in caso affermativo, i motivi per cui ne era stato autorizzato l’uso;

- AUDIZIONE DEL S.TEN ZAPPIA in relazione all’utilizzazione, da parte dei militari dell’arma dei carabinieri, delle “fondine a coscia”;

- INDAGINI PER L’IDENTIFICAZIONE DELLA PERSONA CHE POTREBBE AVER LANCIATO IL “CALCINACCIO” CHE, SECONDO I CONSULENTI DEL P.M. AVREBBE DETERMINATO LA DEVIAZIONE DEL PROIETTILE.

Nella foto c.d. “D’Auria” (all. 9 e 10) si vede con chiarezza una persona, vestita di blu, collocata tra Giuliani e il defender, su un diverso asse, con un sasso nella mano destra, proprio mentre Carlo Giuliani sta sollevando l’estintore (all. 9). Se questa persona, come si ritiene - anche in quanto vi è la piena compatibilità temporale e spaziale e nei filmati si vede un unico sasso in aria - è quella che ha lanciato il sasso che, sulla base delle nostre consulenze, si è infranto sul defender, la sua deposizione potrebbe portare ad accertare la traiettoria del sasso con la possibilità di avvalorare la non corrispondenza alla realtà della ricostruzione geometrica effettuata dai consulenti del P.M.

- AUDIZIONE DI MASSIMILIANO MONAI, al fine di acquisire nuovi elementi di prova sulla dinamica degli eventi; sul comportamento tenuto dai militari all’interno del Defender; sul numero di manifestanti che erano vicini al defender (dai filmati emerge che tra le poche persone ancora presenti dopo l’estrazione della pistola da parte del carabiniere vi erano giornalisti e fotografi); su chi effettivamente, all’interno del defender, impugnasse l’arma (il Monai, in una intervista, ha dichiarato: “ho il dubbio che non fosse Placanica a tenere la pistola. Lui continua a dire che ha coperto un collega ma c’è una foto in cui io sto colpendo un carabiniere, un altro ha la pistola tesa verso la gente e c’è già una persona che copre il carabiniere che sta sparando. Chi è? Raffone? E’ impossibile perché lo sto colpendo io” (all. 11).

- AUDIZIONE DI EURIALO PREDONZANI, al fine di acquisire nuovi elementi di prova in ordine a dove era posizionati gli agenti all’interno del defender (in data 6.9.2001, pag. 19, ha dichiarato: “c’erano seduti 2 carabinieri davanti e uno di dietro”); al comportamento del Placanica negli attimi in cui teneva la pistola puntata; al comportamento di Carlo Giuliani (infatti, contrariamente a quanto affermato dal P.M., Carlo Giuliani non era sul lato sinistro del defender ma sul lato destro. Da una ulteriore visione del video filmato da Massimiliano Franceschini (“D52”), non emerge affatto che fosse “intento a colpire il mezzo”. In tale filmato, si vede Carlo Giuliani che si sta allontanando dal defender; quali vetri dei finestrini del defender fossero rotti (nella richiesta di archiviazione, a pag. 11, si legge che sarebbero stati infranti “i vetri laterali e quello posteriore”, mentre dai filmati risulta essere rotto un semivetro sul lato destro, l’oblò sul lato destro e il vetro posteriore. Su nove vetri non protetti da griglie ne risultano rotti due laterali a destra e nessuno a sinistra).

- AUDIZIONE DI MARCO D’AURIA, al fine di avere la conferma che - contrariamente a quanto ipotizzato dal Placanica - in piazza Alimonda non sono state lanciate “molotov” nonché per accertare la distanza da cui è stata ripresa la c.d. “foto D’Auria” (circostanza rilevante per dimostrare l’inattendibilità della ricostruzione dei fatti da parte dei consulenti del P.M., che collocano il punto di ripresa a 35 metri - sul punto cfr. consulenza parte offesa in data 9.8.2002 e all. 12).

- ACQUISIZIONE, al fine di chiarire punti controversi, e decisivi, sulla morte di Carlo Giuliani, delle riprese effettuate in piazza Alimonda dai due carabinieri che avevano telecamere sui caschi “etichettate e consegnate al Colonnello Leso” (cfr. s.i.t. Claudio Cappello - 11.9.2001, p. 2).

- DISPORRE NUOVI ACCERTAMENTI per verificare i tempi e le modalità della rottura del vetro posteriore del defender (il maresciallo Primavera ha dichiarato “ho visto una vampata di fuoco partire dall’interno della vettura e rompere il vetro posteriore che si è tutto incrinato” s.i.t. 20.7.2001).

- AUDIZIONE dell’appuntato Valerio Mattioli sui motivi della “perdita dell’incamiciatura del proiettile” (all. 13).

- CONSULENZA TECNICA sul defender per verificare le cause che hanno determinato il danno presente sul montante superiore dell’automezzo sopra la seconda “I” della scritta “CARABINIERI” (accertamento che può eliminare qualsiasi dubbio rispetto all’asserito, e ad avviso delle parti offese insussistente, impatto del proiettile con un “calcinaccio”).

- CONSULENZA TECNICA COLLEGIALE sui bossoli in reperto per accertare definitivamente - a fronte delle differenti conclusioni cui sono pervenuti i consulenti del P.M. - da quali armi sono stati sparati. Si fa fin d’ora presente che tale accertamento non deve essere limitato solo alle armi in dotazione ai militari che risultano all’interno del defender ma alle armi di tutti gli appartenenti alle forze dell’ordine presenti in Piazza Alimonda nel momento in cui è stato colpito Carlo Giuliani.

A conclusione dei motivi di opposizione alla richiesta di archiviazione, non si può non osservare che parte delle indagini, anche su circostanze particolarmente delicate, sono state condotte da appartenenti all’Arma dei Carabinieri. I rilievi tecnici sul defender dal quale è partito il colpo mortale, sono stati effettuati dai Carabinieri, all’interno della Caserma di San Giuliano.

Gli accertamenti tecnici effettuati sulla pistola del Placanica sono stati operati dal Nucleo Operativo dei Carabinieri del Comando Provinciale di Genova.

Varie deposizioni testimoniali sono state assunte da Carabinieri. In almeno una occasione, all’assunzione di sommarie informazioni testimoniali rese agli inquirenti erano presenti, in qualità di assistenti per la redazione dell’atto, militari dell’arma dei Carabinieri (v., ad esempio, le s.i.t. del Comandante Truglio del 20.7.2001).

Il metodo di indagine viola il principio reiteratamente stabilito dalla Corte Europea per i diritti dell’uomo secondo cui, in caso di delitti - in particolare omicidio - commessi da appartenenti alle forze dell’ordine, le indagini devono essere affidate a corpi che siano indipendenti da quelli che sono stati coinvolti nei fatti delittuosi.

The obbligation to protect the right to life under Article 2 of the Convention ( … ) also requires by implication that there should be some form of effective official investigation when individuals have been killed as a result of the use of force. The essential purpose of such investigation is to secure the effective implementation of the domestic laws which protect the right to life and, in those case involving State agents or bodies, to ensure thier accountability for deaths occuring under their responsibility (… ) For an investigation into alleged unlawful killing by State agents to be effective, it may generally be regarded as necessary for the persons responsible for and carrying out the investigation to be independent from those implicated in the events. This means not only a lack of hierachical or institutional connection but also a practical independence” (cfr. Hugh Jordan v. United Kingdom, 4.5.2001, §§ 105-106; Mc Shane v. United Kingdom, 28.5.2002, §§ 94 ff.).

Milano-Genova - 10 dicembre 2002

Elena Giuliani

Avv. Giuliano Pisapia