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La villa di Riina sotto sequestro dopo sette anni

FRANCESCO VIVIANO, 15 marzo 2001

AGRIGENTO - Dopo sette anni, dopo sette anni di veleni e polemiche, il "covo dei misteri", è stato sequestrato. Era la casa di Totò Riina, la villetta di via Bernini 52 a Palermo, dove il capo di Cosa nostra aveva trascorso con la moglie Ninetta Bagarella e con i suoi tre figli, gli ultimi anni della sua lunghissima latitanza, durata oltre 25 anni. Fino al 15 gennaio del 1993, quando i Ros dei carabinieri l' arrestarono mentre usciva dalla villetta a bordo di una Citroen AX guidata dal suo autista, Salvatore Biondino. Il provvedimento di sequestro è della sezione misure di prevenzione del tribunale di Agrigento ed era stato richiesto dalla procura di Sciacca sulla base delle indagini dei carabinieri di Palermo e della città dei templi. Quella casa è di proprietà di Giuseppe Montalbano, mai inquisito né indagato per avere "affittato" la casa al ricercato numero uno di Cosa nostra, fino a due anni fa, quando venne arrestato (è stato scarcerato qualche mese fa per scadenza dei termini sulla custodia cautelare) per avere favorito la latitanza di un altro super boss, Salvatore Di Gangi. Adesso, a distanza di sette anni, il "covo dei misteri" e delle polemiche è stato sequestrato. Un covo sul quale c' è ancora aperta un' indagine della Procura di Palermo, avviata due anni fa, per capire se ci furono responsabilità sulla mancata perquisizione che, se fosse stata immediatamente fatta, avrebbe forse potuto fare scoprire alcuni segreti del capo dei capi di Cosa nostra. In quella casa, infatti, perquisita soltanto 18 giorni dopo la cattura di Totò Riina, non fu trovato nulla. Ninetta Bagarella ed i suoi figli ebbero tutto il tempo di lasciare la villetta di via Bernini ed accompagnati indisturbati a Corleone da uno dei killer della strage di Capaci, Gioacchino La Barbera, poi pentitosi. Quel covo, prima dei carabinieri, fu "perquisito" dagli uomini più fidati di Totò, Riina, guidati da Giovanni Brusca che comandava una squadra di "picciotti" trasformati in muratori. Quella casa fu messa a soqquadro. "Facemmo scomparire ogni cosa -ha poi raccontato il neo pentito Giovanni Brusca- furono anche divelti i pavimenti ed abbattute pareti, utilizzammo anche un aspirapolvere per evitare che i carabinieri potessero trovare anche qualche capello e risalire all' identità di chi frequentava quella casa". La squadra di Cosa nostra, agì indisturbata perché la villetta non era stata né perquisita né controllata dai carabinieri. E per questa ragione scoppiò una violentissima polemica tra l' allora procuratore di Palermo, Giancarlo Caselli e l' ex capo dei Ros, Generale Mario Mori. Cosa era accaduto? Subito dopo la cattura di Totò Riina il "Capitano Ultimo", l' uomo che ammanettò il capo di Cosa nostra, suggerì ai magistrati di non intervenire nel tentativo di arrestare altri mafiosi che avrebbero tentato di entrare nel covo di Riina, assicurando che la casa del boss sarebbe stata sorvegliata. Invece non andò così. Il generale Mori disse poi che tutti, magistrati ed investigatori, erano d' accordo per non perquisire il covo e che ci fu "forse un fraintendimento". di FRANCESCO VIVIANO