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RITA ATRIA: UNA DONNA CONTRO L' OMERTA'

ATTILIO BOLZONI, 29 luglio 1992

MARSALA - Faceva una vita da reclusa, si sentiva abbandonata. Senza padre, senza fratello, con una madre che l' aveva ripudiata, prigioniera in un anonimo appartamento di una città lontana dal suo paese, lontana dalla Sicilia. E adesso non c' era più neanche lui, il magistrato che le era stato vicino in questi ultimi terribili mesi. Per morire ha scelto un pomeriggio di domenica. Il pomeriggio della domenica dopo, alla stessa ora, pochi minuti prima delle 17. Povera Rita, povera disperata Rita che a diciotto anni è volata nel vuoto lasciando sul comodino della stanza da letto due righe di addio: "Sono rimasta sconvolta dall' uccisione del procuratore Borsellino, adesso non c' è più chi mi protegge, sono avvilita, non ce la faccio più...". Anche lei aveva annunciato la sua morte. Appena due giorni prima, venerdì: "Piera, se me ne vado non piangere, non provare dolore..". Piera, sua cognata, altra ragazza guardata a vista dai carabinieri, altra giovane donna che aveva confidato i segreti della "famiglia". Povera gracile Rita senza più voglia di vivere. Questa è la storia di Rita Atria, nata a Partanna, valle del Belice, nell' anno 1974. Ragazza siciliana, minuta, piccolina, un bel viso ovale, occhi neri, capelli castani. Suo padre, Vito, era un pastore. Uno di quelli che stava dentro la vecchia, ferocissima mafia di quella zona. Stava, perchè è morto. Ucciso la mattina del 18 novembre del 1985 fra le vigne della campagna trapanese. Regolamenti di conti tra bande, si disse allora. Il maschio della famiglia era Nicolò, il ragazzo giurò di vendicare la morte del genitore. E ne parlava in giro, ne parlava sempre finchè uccisero anche lui. A Montevago, provincia di Agrigento, dentro la pizzeria che aveva appena aperto. Colpi di lupara, era il 24 giugno del 1991. E' in quell' estate, negli ultimi giorni del luglio dell' anno scorso, che nel paese di Partanna accade qualcosa che non era neanche immaginabile, qualcosa che stravolge tutte le regole di una comunità. Sono le donne della "famiglia", tre donne, che decidono di rompere il silenzio. La prima si chiama Rosalba Triolo, ha 21 anni, è la compagna di un killer che uccide per 500 mila lire. La seconda è Piera Aiello, ha 24 anni e una figlia di 3 rimasta senza papà. La terza è lei, è Rita, la figlia del pastore. La caserma dei carabinieri Le tre ragazze bussano alla porta di una caserma dei carabinieri, un maresciallo le porta da Paolo Borsellino, il procuratore capo di Marsala. E il magistrato le ascolta, le interroga, poi affida l' inchiesta a due giovani colleghe, Alessandra Camassa della procura di Marsala e Morena Plazzi della procura di Sciacca. Donne che si confessano con altre donne, donne che si fidano di altre donne. In Sicilia, sulla strada che da Partanna porta verso il mare africano, in una terra inesplorata e mai violata dalle indagini antimafia prende forma una delle ultime inchieste partite dalla stanza del procuratore Borsellino. Nella stessa stanza dove un giorno entra Rita Atria con quella sua aria un po' timida, con il coraggio che aveva dentro il cuore. E parla, parla, racconta almeno dieci anni di frasi sentite dal padre o dal fratello, di discorsi fatti a tavola, di strani incontri, di nomi pronunciati a bassa voce, di uomini politici coinvolti in omicidi, di minacce, di paure. E' la sua vita che Rita affida a Borsellino e alle due giovani donne magistrato. Rita si ribella, si rivolta anche contro la madre Anna che non vuole più vederla quando lei entra in una caserma dei carabinieri, una madre che oggi probabilmente non andrà neanche a riprendersi il cadavere della figlia "pentita". Comincia in quei giorni l' odissea di Rita, dai carabinieri ai giudici, dai giudici ai "protettori" dell' alto commissariato, da Partanna a Roma. Mesi di solitudine, passati al settimo piano di un palazzone di Roma nel quartiere Tuscolano. In compagnia solo di Piera, la moglie di Nicolò. Piera che aveva fatto la sua stessa scelta, Piera che aveva deciso di svelare i segreti che il marito le aveva lasciato. Un legame stretto fra le due donne, un legame che si era rafforzato fuori dalla Sicilia. Sempre unite, sempre insieme, tranne in un' occasione. Erano i primi di giugno di quest' anno e Rita voleva tornare a tutti i costi in Sicilia. "Devo farlo, devo scendere a fare gli esami...". La storia la racconta sulle pagine de "La Sicilia" il professore Salvatore Girgenti, insegnante di Lettere all' Istituto Alberghiero di Erice. "Io ero commissario di esami e Rita mi è venuta incontro una mattina accompagnata da 4 carabinieri armati...". La ragazza doveva sostenere come "esterna" gli esami. Ricorda ancora il professore Girgenti: "Quando l' ho vista ho chiesto in giro cosa mai avesse combinato per venire in aula circondata dai carabinieri...nessuno mi ha risposto, poi ho letto il tema di Rita, il titolo era...cosa ti ha colpito di più...Lei ha fatto un tema sulla morte di Falcone. Il racconto del professore Fra le righe si leggeva la speranza, scriveva che bisognava credere nei giovani, scriveva che bisognava infrangere il muro dell' omertà". Poi il professore Girgenti pensa a quando ha interrogato Rita: "I carabinieri sono rimasti fuori, io le ho chiesto: ' Ma perchè sei scortata, cosa hai fatto?. E lei mi ha risposto: ' Professore non glielo posso dire, è una cosa importante, lei lo saprà presto' . E qualche settimana dopo l' ho saputo...". Qualche settimana dopo, di notte, decine di mafiosi cadono nella rete dei carabinieri. E' la prima retata nella zona del Belice dopo anni di inerzia investigativa, si ricostruisce la faida fra il capomafia Stefano Accardo della cosca dei "Cannata" e gli Ingoglia. Parlano le tre donne e i cancelli delle case circondariali si aprono. Piera Aiello ricorda di avere visto suo marito Nicolò morirgli tra le braccia e fa i nomi dei killer, parla della figlia Vita Maria ("Piange, piange sempre..."), giura che prima o poi diventerà una poliziotta. E poi c' è Rosalba Triolo che confessa i peccati del suo amante Carlo Favara: "Uccideva anche per mezzo milione...tutti gli omicidi avvennero per ordine degli Accardo, ricordo anche che per ammazzare Antonino Russo gli diedero 2 milioni...". E poi c' è Rita che racconta al giudice Alessandra Camassa anche il movente dell' uccisione di un potente dc di Partanna, il vicesindaco Stefano Nastasi. Un delitto legato alla "volontà dell' onorevole Culicchia di restare sindaco del paese, onde a continuare a gestire il potere, anche economico, e scongiurare il pericolo che il Nastasi potesse scoprire gli illeciti e le sistematiche ruberie ascrivibili al Culicchia". Una confessione che ha convinto i magistrati a chiedere un' autorizzazione a procedere (poi concessa) per omicidio e associazione mafiosa contro Vincenzo Culicchia, deputato dc e per quasi 30 sindaco di Partanna. Ma Rita parla anche della madre Anna Trinciari, parla della moglie del pastore che non vuole più incontrare la figlia. Dalle parti di contrada Camarro, nella campagne dove una volta viveva la famiglia di Vito Atria, si dice che la madre di Rita si sia ritirata in un convento. E lei, Rita, prima di morire, avrebbe anche confidato alla sua amica Piera di non volerla vedere più. Nemmeno davanti all' altare della Madonna delle Grazie, la chiesa madre di Partanna dove domani un vecchio parroco celebrerà il funerale di una ragazza della Valle del Belice . - ATTILIO BOLZONI